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 2023  giugno 06 Martedì calendario

Biografia di Damien Steven Hirst

Damien Steven Hirst, nato a Bristol il 7 giugno 1965 (57 anni). Artista e imprenditore britannico. Capofila del gruppo Young British Artists.
Titoli di testa «Se tutti ti dicono che sei un genio sei sulla buona strada per diventare un coglione».
Vita Figlio di un meccanico e di una stenografa cattolica praticante. Cresce a Leeds • Quando ha 12 anni il padre se ne va di casa • «Mia madre, Mary Brennan, dipingeva e disegnava: è stata prima di tutto lei a incoraggiarmi a seguire la mia ispirazione» [a Stefano Bucci, La Lettura] • Aveva tre o quattro anni quando rimaneva per ore a guardare sua madre mentre dipingeva un ciliegio in fiore. «In una tazza c’era un misto di acqua ragia e di colori, una volta si era anche bevuto quel liquido ed era stato “abbastanza male”» [Beatrice Hodgking, sole] • «Passa i pomeriggi immerso nei libri di patologia illustrati, tra sezioni di ghiandole e cellule tumorali» [Fontana, Inanimanti.it] • «Ho avuto un’educazione cattolica e la mia prima esperienza d’artista l’ho vissuta in un contesto estremamente religioso, avendo costantemente davanti le immagini che riempiono le chiese, immagini sempre viscerali e violente che continuano ad avere ancora oggi un grande effetto su di me» [Bucci, cit.] • «Quando ero piccolo collezionavo francobolli, poi minerali e scarafaggi [beetles], perché mi piacevano i Beatles anche se non erano così di moda, ma io ero troppo giovane per essere un punk» [Francesco Bonami, Sta] • Ha sempre desiderato essere un artista? «Volevo fare il subacqueo, ma poi ho scoperto che esistevano gli squali [con il film di Spielberg, ndc]. Ho pensato a lungo di fare l’architetto. Ho sempre amato l’arte ma non pensavo di fare l’artista» [ad Alain Elkann, Rep] • Entra nel mondo dell’arte a 16 anni posando nell’obitorio della scuola di anatomia del paese con una testa mozzata, con la quale mostra fin da subito estrema dimestichezza e familiarità. Da allora l’interesse per il deperimento fisico, specie quello altrui, sembra non averlo mai più abbandonato (Damien Hirst, With Dead Head, 1981) • «Ho seguito lezioni di disegno alla Jacob Kramer Art School di Leeds, e poi ho scoperto che c’era un museo di anatomia. Ci sono andato per disegnare i cadaveri, ed erano conservati nella formaldeide» [ad Alain Elkann, Sta] • Da giovane, anche qualche furto: «Una volta, a scuola, arrivando alla lezione di educazione artistica, ho trovato in aula la polizia che prendeva le impronte digitali dalle finestre, perché la notte prima ero entrato scassinando la porta e avevo rubato della roba – carta, penne, matite – e mi ricordo d’aver pensato: “Cazzo, mi sono scordato di mettere i guanti”» [Catherine Mayer, D di Rep] • Rubava anche del cibo da un magazzino dove lavorava per preparare a casa il pasticcio di carne. «Una volta mi hanno beccato per aver rubato un’intera rastrelliera di bistecche con l’osso» [Tim Adams, Rep] • Nel 1984 si trasferisce a Londra per studiare, frequentando la Goldsmiths University • «Ricordo un conoscente che mi comprò un dipinto per 50 sterline perché lui aveva un lavoro e io no – fu un gesto tenero. Ricordo che una volta andai con Angus Fairhurst, il mio amico morto suicida, a comprare un rotolo di plastica a bolle d’aria, e quanto fossimo felici dopo. Potevamo permetterci di impacchettare i nostri lavori» [Adams, cit.] • I suoi maestri sono Picasso, Soutine, Koons, Goya, de Kooning, Bacon e Koons • Alla Goldsmiths «vedevo intorno a me una comunicazione sparata, pop, sgargiante, una pubblicità orribile e aggressiva. La medicina, invece, aveva un’estetica così minimale, controllata e bella, ti offriva una speranza, sia nella sostanza che nella forma. Per molto tempo ho desiderato fare arte con quell’estetica. Poi quando ho visto gli aspirapolvere di Jeff Koons nelle vetrine ho pensato: ok è lì, basta farlo. Basta prendere i medicinali e metterli in galleria e così ho fatto» [Cloe Piccoli, Rep] • Nel 1988 ha messo in piedi la collettiva Freeze all’interno dei Dock Offices, gli ex uffici portuali da tempo abbandonati. «Per molti quella mostra ha segnato la nascita del gruppo degli Young British Artists ma allora per me era solo il modo per dimostrare la mia professionalità. Non volevo che diventasse una mostra di fine corso. Volevo che i nostri lavori fossero visti dai galleristi e non solo da chi ci conosceva. Alcuni li ho portati fisicamente io in taxi» [Bucci, cit.] • «La fortuna lo ha lambito assai presto: la sua costante sperimentazione di nuove forme di arte gli valse nel 1990 l’attenzione del gallerista Charles Saatchi. Rimase profondamente colpito e affascinato dall’ultima installazione di Hirst. Il titolo dell’opera è Un millennio» [a John Lloyd, Rep] • «In molti si sono scandalizzati. Eppure quell’opera non è altro che la rappresentazione dell’assurdità del ciclo vitale: una colonia di larve prima e di mosche poi che tenta di raggiungere una testa di vitello mozzata, collocata nella seconda metà della teca, superando lo sbarramento di una griglia moschicida elettrificata. Moriranno. E io stesso, quando ho visto che la prima mosca era morta, sono rimasto confuso; allora ho ripensato a come ci siamo abituati a questa assurdità: chi di noi resta colpito al pensiero che migliaia di ristoranti usino quotidianamente la stessa macchina per uccidere le mosche? A thousand years fa scandalo solo perché ci mette faccia a faccia con l’idea di una morte inutile» [Bucci, cit.] • Apprezzato da Francis Bacon, che in una lettera scriveva al pittore Louis le Brocquy: «Caro Louis, alla Saatchi c’è un’installazione molto interessante di un giovane chiamato Damien Hirst, l’installazione si chiama A Thousand Years» (lettera del 20 marzo 1992) • «A un certo punto volevo fare un quadro iperealistico dello squalo. Ma non funzionava. Poi ho pensato di portarne uno vero, in formalina. Il più grande e terrorizzante che fossi riuscito a trovare. Ho fatto ricerche su ricerche. Ho stilato una lista dei migliori pescatori di squali dell’Australia. E poi ho scelto quello che mi sembrava più promettente. Gli parlavo al telefono ogni giorno. Volevo sapere se l’aveva trovato, se era riuscito a pescarlo. Alla fine l’ho comprato, al telefono, per seimila sterline, e me lo sono fatto spedire a Londra. Cinque metri di squalo» [Piccoli, cit.] • Saatchi che gli aveva commissionato il lavoro, lo espone: «La mostra scatenò polemiche su polemiche, non si può immaginare. Eravamo contenti perché c’era anche un grande entusiasmo» [ibid.]. Nel 2004 verrà venduto per otto milioni di dollari (altri dicono 12, ndc). Qualche anno dopo dovrà rifarlo: «All’epoca Saatchi mi disse che non era necessario iniettare la formaldeide nello squalo, bastava immergerlo nel liquido. Io non ero d’accordo ma l’ho ascoltato e non ha funzionato» [cit.] • Del 1991 In and out of Love, installazione in cui novemila farfalle volano (e muoiono) in due stanze senza finestre • Nel 1995 vince il Turner Prize con Mother and Child (Divided) (1993) • Realizza il suo primo e unico video per la canzone Country House dei Blur • Sono anni di gloria, quelli dei bagordi: «Mi sentivo immortale». Abusa di tequila e cocaina, Fiona Rae lo ricorda «sempre pronto a divertirsi e dare scandalo, ti chiamava da dentro un cassonetto dicendoti di raggiungerlo per un drink: “Sono in mezzo alla spazzatura, vieni a berti una cosa” […]. C’era una gag che Damien Hirst amava ripetere. Tirava fuori il prepuzio attraverso un buco nella tasca, quindi, simulando allarme, esclamava: «E questo cos’è?». «La gente mi diceva: “Hai del chewing gum sui pantaloni”. Poi lo toccavano, ed era tutto un: “Ma che cazzo!”», dice con un ghigno. I suoi bersagli preferiti erano i palloni gonfiati del mondo dell’arte» [Meyer, cit.] • The History of Pain del 1999, installazione di un pallone misteriosamente sospeso su affilate lame di coltello, metafora di un artista che ha deciso di correre sul filo tra la rappresentazione della tragedia e l’evanescenza del sé [Bonami, cit.] • Noto anche per i suoi pallini, gli Spot paintings. Quanti ne hai veramente dipinti tu dall’inizio alla fine? «Solo cinque: poi mi sono annoiato e ho chiesto di farli prima ai miei amici poi ai miei assistenti» [Bonami, Vanity] • «Disegna i suoi spot su carta millimetrata, scrivendo dimensione della tela e dei pallini per poi consegnarla ai suoi ragazzi, circa 250, che realizzano materialmente le tele. Per questo è stato criticato da molti [Bucci, La Lettura 2012] • Da dove arriva l’ispirazione? «Dai libri, dai miei figli, negli aeroporti, nei supermarket. Insomma, da tutto; perché non c’è niente che non possa essere o diventare arte. L’arte è la vita» [Bucci, 2017] • Suoi anche gli spin paintings, i dipinti circolari realizzati su superfici rotanti • Nel 2006 si disintossica • «For the Love of God, il mio teschio tempestato di diamanti, ha preso il titolo dall’esclamazione di mia madre quando le avevo annunciato il mio progetto: “Per l’amor di Dio, cosa vuoi fare”» [Bucci, cit.] • «Con il suo teschio di diamanti, stimato più di 100 milioni di dollari, è riuscito a mettere in crisi anche il mercato dei diamanti, scegliendo una per una le 8.601 pietre che lo compongono, più quella grande sulla fronte a forma di pera. Stando molto attento a selezionare solo quelli purissimi sia dal punto di vista della pietra che da quello morale, ovvero evitando i diamanti che arrivavano da Paesi in mano a gente democraticamente, diciamo, sottosviluppata […]. È il miglior lavoro che tu abbia mai fatto o solo quello scandalosamente più costoso? «La ragione per cui mi piace non ha niente a che fare con il denaro. È che sembra così nuovo, caldo e invitante che fa sembrare tutto il resto ok, compresa la morte, che credo sia un po’ un’illusione… vero?”» [Bonami, cit.] • Nel 2008 crea con il suo amico Banksy l’opera Keep It Spotless che viene battuta all’asta per 1,8 milioni di dollari. Ha lavorato anche con David Bowie • Sempre nel 2008, stufo di lasciare tra il 40 e il 60% dei proventi delle sue opere ai galleristi, ha messo all’asta da Sotheby’s 223 pezzi ottenendo un successo che ha superato ogni pronostico, la notte del crack della Lehman Brothers manda in asta presso Sotheby’s un’intera mostra Beautiful Inside My Head Forever, scavalcando gallerie e dealer. Cosa che lo renderà inviso al mercato, ma che gli fa ottenere la somma record di 111 milioni di sterline e allo stesso tempo fa rilanciare le quotazioni della casa d’aste: «Oggi posso dirlo, la stessa asta in fondo non era altro che un’opera o una performance. Quando ho fatto questa scelta ho pensato a una “prova di democrazia” che rendeva l’arte accessibile a tutti. Perché detesto la snobberia di certe gallerie: l’arte è di tutti e per tutti» [Bucci, cit.] • Nel 2012 300 dei 1.400 Spot paintings realizzati fino ad allora vengono messi in mostra nello stesso momento in tutte le undici gallerie di Larry Gagosian sparpagliate per il mondo. I critici più conservatori tendono a liquidare gli Spot paintings come una barzelletta o una semplice trovata per saturare il mercato. Ma nonostante tutto, osservati con attenzione da vicino, questi lavori hanno molto poco a che fare con la meccanicità e la freddezza della produzione in serie. Infatti la creazione di uno di questi quadri è più simile a un qualcosa che esce dalla bottega di un artigiano che da una catena di montaggio [Bonami, Vanity] • A proposito di mercato, lei ha parlato della carriera del suo collega molto quotato Damien Hirst, definendola “un fallimento”... «Sì, è vero. Le sue opere sono noiose, si tratta ormai di parodie di parodie. È possibile disporre di così tanti soldi e continuare a ripetersi?» [Jeremy Deller a Dario Pappalardo, Rep] • In passato David Hockney l’ha accusata di non realizzare tutte le opere con le sue mani. «È una questione complicata. Se sei soltanto un pittore, lo puoi fare. Uno scultore meno. Io mi considero più simile a un architetto. Mi piacerebbe saper fare tutto quello che c’è al British Museum e al Museo di Storia naturale. Con le mie sole mani sarebbe impossibile. Ora ho una quarantina di collaboratori. In passato erano anche più di trecento. Ma poi: siamo sicuri che Bernini scolpisse interamente da sé? Alla fine, conta realizzare qualcosa che sia esattamente conforme a quello che vuoi» [Pappalardo, cit.] • Accusato più volte per plagio ha dichiarato, dopo aver risarcito i querelanti: «Tutte le mie opere sono rubate, comunque. Anche i pallini colorati. Sto pensando se li ho rubati da Larry Poons o da qualcun altro» [Soffici, Sta] • Nel 2012 firma, con una sua interpretazione dell’Union Jack, la cerimonia di chiusura delle Olimpiadi di Londra. Nel 2015 apre il suo museo Newport Street Gallery a Vauxhall, Londra, dove espone opere della sua collezione: «Ho sempre desiderato una galleria come la prima Saatchi in Boundary Road» [Meyer, D di Rep] • Nel 2017, Hirst organizza una grande mostra a Venezia nei due musei di proprietà dell’amico Pinault - Palazzo Grassi e Punta della Dogana - presentando Treasures of the Wreck of the Unbelievable, ossia una raccolta di centinaia di oggetti nella finzione che sarebbero stati ritrovati in fondo all’oceano nel relitto di un’antica nave e simulanti la loro appartenenza a lontane civiltà [Trione, cit.] • Nel 2017 torna a dipingere i Cherry blossoms. Verranno esposti nel 2021 alla Fondazione Cartier di Parigi: «Sulla tela Hirst combina pennellate spesse alludendo a Impressionismo e puntinismo, sovvertendo, e al tempo stesso rendendo omaggio, ai grandi movimenti artistici di fine Ottocento e inizi Novecento, portando avanti le esplorazioni pittoriche di inizio carriera» [De Martin, arte.it] • «“Nel 2009, Lucian Freud mi aveva avvicinato all’inaugurazione di Blue Paintings alla Wallace Collection”, dice ricordando quella mostra di quadri dall’atmosfera cupa che fu quasi universalmente stroncata, “e mi aveva detto: ‘Non sapevo che fossi in grado di dipingere’. Mi ero chiesto: “Lo dice con sarcasmo?”. Naturalmente no, non era così, perché lui veniva da quella generazione e da quel periodo. Mi ricordo di aver poi pensato: “In realtà è un complimento, non è un’osservazione negativa”. Però mi ero sentito a disagio» [Hodgking, cit] • In pieno Covid anche lui, come i bambini, si butta sugli arcobaleni Butterfly Heart e Butterfly Rainbow. Le copie originali vengono vendute all’asta e il ricavato è andato al sistema sanitario britannico • Nel 2021 Archaeology Now alla Galleria Borghese di Roma con 80 opere dell’artista allestite accanto ai capolavori di Caravaggio, Bernini e Canova • Lei sembra sempre più interessato all’arte digitale. Ma l’arte non dovrebbe essere qualcosa di materiale, di concreto? «Non vedo la differenza tra un NFT e il Fiato d’artista di Piero Manzoni. Se Bernini vivesse oggi farebbe NFT, ne sono sicuro. Lo so: la criptoarte o si ama o si odia. Pazienza» [Pappalardo, cit.] • Con il progetto The Currency (valuta), ha messo in vendita 10.000 fogli A4 pieni dei suoi caratteristici pallini colorati. Il prezzo è di 2.000 dollari l’uno. Chi li acquista può scegliere se tenere l’opera fisica o il token digitale, che può essere rivenduto su varie piattaforme. Per Hirst è stato un esperimento «affascinante». «Ho duemila persone online che ne parlano di continuo», ha detto al New York Times. «I token sono sempre in movimento, salgono e scendono di valore. È come un culto e io sono il leader» [Paola De Carolis, CdS]. Nel 2022, in pantaloni metallici argentati, bretelle intonate su maglietta bianca e guanti ignifughi, ha mandato al rogo i 4.851 quadri fisici rifiutati in una diretta su Instagram. «Che cosa vale di più: l’opera fisica o la versione NFT? Ancora non lo so», recita Hirst mentre alimenta il rogo [Pappalardo, Rep] • «A lungo è stato considerato da molti come un eroe negativo: tra i responsabili della (presunta) degenerazione estetica del nostro tempo, un bluff costruito dai galleristi con abile cinismo» [Vicenzo Trione, la Lettura] • Hirst è vissuto in costante movimento. Ha ampliato la sua rete di studi, fondato una casa editrice, inaugurato negozi, acquistato proprietà nel Regno Unito, in Messico e in Thailandia • Due ristoranti, entrambi chiusi • Non ha la patente. Non ha mai imparato a guidare • Ha rifiutato di diventare Comandante dell’ordine dell’Impero britannico, «ma ho rifiutato. Ho una casa a Regent’s Park e i miei figli mi chiamano già “sir”. Che cos’altro mi serve?» [Adams, cit] • Nel Gloucestershire, dove vive, coltiva l’orto e alleva gli animali nella stalla (per piacere e non per trasformarli eventualmente in opere). Fa il pendolare con Londra e lavora dalle 9 alle 5 [Pappalardo, cit.] • Il suo classico preferito è il Leviatano di Thomas Hobbes (d’altra parte Leviathan è anche il titolo di una delle sue opere più famose).
Collezione Possiede opere di Picasso, Warhol, Giacometti, Richard Prince e Frank Auerbach • La prima opera che ha acquistato? «Jeff Koons, un single hoover» […]. Altri lavori nella collezione che di cui è particolarmente fiero? «Una crocifissione di Francis Bacon. È incredibile! Quando ero giovane non avrei mai immaginato di poter avere un’opera di Bacon». Quali opere sogna di poter avere? «Saturno che divora i suoi figli di Goya». Ma è al Prado, non si può comperare. «Stavamo parlando di sogni» [Bonami, Sta] • È geloso di altri artisti? «Lo sono stato di Koons. È nella natura umana. Poi penso che se hai un dipinto di Picasso in casa è fantastico, punto. Non c’è storia, è meglio di me» [Elkann, cit.]
Amori Nel 2012, dopo vent’anni di vita insieme e tre figli, è stato abbandonato dalla compagna Maia Norman. Trovava l’Hirst sobrio imborghesito e noioso ed è scappata con un ex-colonnello delle Guardie Scozzesi • Da allora diverse compagne tutte bellissime e con la metà dei suoi anni come Roxie Nafousi (23 anni nel 2013), Katie Keight (26 nel 2016). Da ultimo fidanzato con la ballerina Sophie Cannell, 28 anni.
Titoli di coda «Della morte io mi occupo nell’arte, non nella vita»