16 giugno 2023
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Biografia di Newt Gingrich (Newton Leroy Gingrich
Newt Gingrich (Newton Leroy Gingrich, nato McPherson), nato a Harrisburg (Pennsylvania, Stati Uniti) il 17 giugno 1943 (80 anni). Politico (Partito repubblicano). Accademico. Saggista. Scrittore. Già presidente della Camera dei rappresentanti federale (1995-1999) e rappresentante federale per la Georgia (1979-1999). «Ideologo del Grand Old Party (Gop, il Partito repubblicano) e profeta del trumpismo» (Massimo Faggioli). «Io odio il compromesso. Voglio la lotta» • «Sua madre era una ragazzetta di 16 anni, suo padre un operaio, un po’ alcolista, povero, che se ne era andato a fare la guerra in Europa. Il padre si chiamava McPherson e il bambino fu battezzato come Newton McPherson. Quando il signor McPherson tornò dalla guerra la madre lo cacciò di casa, e Newt non lo vide mai più» (Piero Sansonetti). «La mamma di Newt si risposò nel ’46. Sposò un tenente colonnello dell’aviazione che decise subito di adottare Newt. Questo colonnello Bob era figlio anche lui di una ragazza madre, morta giovanissima. Bob era stato adottato da una coppia di anziani coniugi senza figli. I due vecchi si chiamavano Gingrich. […] Il lavoro di Bob porta Newt e le sorelle in giro per il mondo. Vanno in Europa nella seconda metà dei ’50: Germania e Francia. Nel ’58 sono a Orléans. Newt studia al liceo, e una volta va in giro a Verdun a vedere il museo della famosa battaglia del 1916. Resta impressionato, e lo racconterà cento volte ai suoi amici. Lo colpiscono due cose. Primo, l’ossario sterminato. […] Secondo, la determinazione dei francesi. […] Due anni dopo Gingrich confida a un amico: “Ho capito due cose in quel museo: che bisogna fare di tutto per evitare le guerre, e poi che non bisogna arrendersi mai. Anzi, non ho capito due cose: ho capito tutto”» (Sansonetti). «Poi, tornato in America, fu mandato dai genitori a fare l’Università ad Atlanta. E qui Newt si innamorò della politica e della sua insegnante di geometria, una signora che aveva quasi dieci anni più di lui. Si chiamava Jackie Battle. Newt sposò Jackie e sposò anche la politica» (Sansonetti). Laureatosi e specializzatosi, nel 1970 iniziò a insegnare presso l’Università della Georgia occidentale: dapprima Storia, poi Geografia. Tuttavia «ormai a Newt interessa solo la politica. È il ’68. Oggi Newt nega, ma il ’68 sfiorò anche lui. Si sa che fumava marijuana (“Lo facevo per gioco e perché ero giovane”) e si sa che non era favorevole alla guerra del Vietnam (“Non è vero: non andai a fare il soldato solo perché avevo due figlie”). Chissà se è così. Alcuni suoi biografi dicono che Gingrich fu sicuramente contro la guerra del Vietnam, ma non per pacifismo: semplicemente perché sapeva che era una guerra persa» (Sansonetti). «Era un ragazzo conservatore e si schierò subito coi repubblicani. Però non era un reazionario. Anzi, per molti aspetti era un liberal. E infatti si mise dalla parte del senatore Rockefeller, che nel partito repubblicano rappresentava l’ala progressista, quasi kennediana. Nei primi anni Settanta Gingrich fece politica da “sessantottino di destra”. […] Newt tentò di farsi eleggere al Parlamento nel ’74 e poi nel ’76. Ma si trovò contro un democratico potentissimo, un certo John Flynt, che lo stracciò tutte e due le volte. Il bello è che Flynt era un reazionario totale, un nemico della leadership del partito (McGovern, Carter), e sconfisse Newt, il quale invece era un moderato. Lo sconfisse da destra. Nel ’78 Newt ci riprovò, anche se tutti lo sconsigliavano. […] Gingrich disse: “È la mia ultima chance: lasciate che me la giochi”» (Sansonetti). «Non aveva un soldo in tasca perché aveva perso anche il posto di insegnante […] all’università (licenziato per le continue assenze) e doveva mantenere due figlie. Allora propose a un editore di dargli 15 mila dollari di anticipo per scrivere un libro di fantascienza. L’editore accettò, e Newt spese i soldi per fare la campagna elettorale. Il libro? Ne ha scritti tre capitoli e poi l’ha buttato via. Pare che fosse un pessimo libro. Il seggio? Preso» (Sansonetti). Memorabile durante quella campagna elettorale, e paradigmatico di tutta la sua parabola politica, il discorso tenuto ad Atlanta il 24 giugno 1978 al cospetto di un’associazione di studenti repubblicani. «Il Partito repubblicano non è nella sua forma migliore: sei anni prima era scoppiato il caso Watergate, decine di repubblicani erano stati spazzati via e i pochi sopravvissuti stavano ancora recitando la parte della “minoranza permanente”. […] Secondo lui i repubblicani non saranno mai in grado di riprendersi la Camera finché continueranno ad accettare i compromessi dei democratici. Newt Gingrich, insomma, vede il male nelle coalizioni bipartisan, negli accordi tra partiti e nelle battaglie comuni. […] Gingrich pronuncia un discorso per fomentare una vera e propria rivoluzione repubblicana» (Elisa Ghidini). Disse, tra l’altro: «Uno dei grandi problemi che abbiamo nel Partito repubblicano è che non ti incoraggiamo a essere cattivo. Ti incoraggiamo a essere pulito, ubbidiente e leale e fedele, e tutte quelle parole del boy scout, che sarebbero grandiose intorno al fuoco ma sono pessime in politica. Per avere successo, la prossima generazione di repubblicani dovrà imparare a suscitare l’inferno, dovrà smettere di essere simpatica. La politica è soprattutto una guerra per il potere: bisogna comportarsi di conseguenza». «Vinse. E da quel momento la sua ascesa politica non si fermò più. Corse rapidamente a destra, prima a far pace con Nixon e poi a schierarsi con Reagan. Anzi, riuscì persino a fare la fronda a destra a Reagan, perché riteneva che il presidente dopo i primi anni all’arma bianca si fosse un po’ seduto. Diventò il campione del conservatorismo puro, quello che rifiuta i compromessi, che vuole l’abbattimento dello Stato sociale, la riduzione drastica dello Stato, il capitalismo puro» (Sansonetti). «Via lo Stato sociale, via le tasse, via i corrotti. Questi sono i tre obiettivi, e Gingrich è convinto che siano legati tra loro. […] Gingrich non è stato sempre un reazionario e basta. […] Lui ha votato le leggi più coraggiose in materia di ecologia. Lui ha fatto la fronda nel Partito repubblicano e ha votato per intitolare a Luther King un giorno festivo del calendario americano. Lui ha fatto di nuovo la fronda per imporre le sanzioni al Sudafrica di Botha. Lui chiede al partito di sospendere le campagne contro i gay» (Sansonetti). Tuttavia «gli anni ’80 volano, e Newt diventa sempre più un duro» (Sansonetti). «Gingrich attua una nuova strategia: inizia a chiamare i suoi nemici con soprannomi infantili ma sorprendentemente efficaci. Sempre più politici repubblicani vogliono “parlare come Newt”. Si crea un nuovo vocabolario per una nuova generazione di conservatori. Newt Gingrich diffonde audiocassette e appunti, con il titolo Lingua: un meccanismo chiave di controllo. In queste annotazioni ci sono elenchi di parole raccomandate per descrivere i democratici in pubblico, tra cui figurano aggettivi come “malati”, “patetici”, “bugiardi”, “anti-bandiera”, “traditori”, “radicali”, “corrotti”. L’obiettivo di Gingrich è quello di ripensare i noiosi dibattiti di Washington e trasformarli in un’eterna battaglia tra bene e male, in cui in gioco vi è la sopravvivenza stessa dell’America, facendo leva sulle paure dell’elettorato. Ogni notizia inizia a essere utilizzata a scopo politico. […] La base del suo consenso, intanto, si allarga sempre di più, anche se alcuni tra i repubblicani rimangono scettici, scandalizzati dalla bassezza della strategia. I democratici, intanto, non stanno a guardare. Nel ruolo di speaker eleggono lo spietato Jim Wright. Inizia la guerra: Gingrich scatena contro Wright una campagna diffamatoria, che però si rivela in qualche modo fondata e travolge Wright in uno scandalo fiscale da 6 milioni di dollari evasi, regalando a Gingrich il ruolo di leader de facto del Partito repubblicano» (Ghidini). «Ha rapporti burrascosi con tutti. Non stima più neanche Reagan, troppo amico di Gorbaciov. Considera Bob Dole (l’altro leader storico del partito) […] un “raccoglitore di tasse”, di Bush non parla mai perché pensa che non ne valga la pena. Si oppone anima e corpo comunque alla linea soft del successore di Reagan, e quando Clinton vince le elezioni pretende la guida del partito. “Bush vi ha portati alla sconfitta”, dice ai suoi, “io vi riporterò ad avere la maggioranza in Congresso dopo 40 anni”. Una promessa da sbruffone. Mantenuta» (Sansonetti). «Siamo a metà del 1994: Gingrich ha l’idea geniale di trasformare il giorno delle elezioni in un referendum nazionale. Riesce a radunare 300 candidati fuori dal Campidoglio per firmare il “Contratto con l’America”, […] un documento che delinea 10 progetti di legge promessi dai repubblicani in caso di vittoria alla Camera. Intanto, l’imperativo è uno solo: non collaborare. Non firmare nulla, non concedere nulla ai democratici e dare loro la colpa per l’immobilismo del Congresso: facile e altrettanto sfacciato. Il piano, per quanto assurdo ed estremo, funziona. I repubblicani ottengono una delle vittorie più importanti della storia americana moderna: per la prima volta in 40 anni, i conservatori prendono il controllo di entrambe le Camere. Gingrich diventa presidente della Camera dei rappresentanti il 4 gennaio del 1995» (Ghidini). All’epoca, mentre vari commentatori ipotizzavano una sua candidatura alla Casa Bianca, dichiarò: «Io presidente americano? No, non mi interessa. A me piace combattere, non mediare. Voglio fare il presidente della Camera perché voglio sradicare un vecchio vizio dei congressmen: cercare il compromesso». «Il Time intanto nomina Newt Gingrich uomo dell’anno del 1995. A dare man forte alla spregiudicatezza comunicativa, arriva nel 1996 il canale Fox News, fondato da Rupert Murdoch. Da sempre de facto allineato ai repubblicani, in ogni momento tira fuori lo scandalo giusto e il polverone che serve per annientare i democratici. Gingrich, poi, ne inventa un’altra: il ricatto dello shutdown. I dipendenti statali vengono convinti a non andare al lavoro nel momento in cui si discute di finanziamenti statali. Nel 1995 centinaia di migliaia di statali rimangono a casa durante il periodo natalizio e i repubblicani usano i loro stipendi come mezzo di ricatto nei negoziati con la Casa Bianca. La strategia questa volta fallisce, ma assicura alla minaccia dello shutdown un ruolo fondamentale nelle successive battaglie politiche. Arriva il 1998: […] si presenta su un piatto d’argento una questione che è per Newt Gingrich manna dal cielo e che risponde al nome di Monica Lewinsky. I repubblicani più agguerriti vogliono praticamente la testa del presidente Clinton e Gingrich si getta a capofitto contro il presidente fedifrago e bugiardo. […] Qualcosa però inizia a scricchiolare: l’impeachment di Bill Clinton non viene approvato. […] Qualcosa non ha funzionato. Anziché guadagnare i potenziali trenta seggi intravisti dai sondaggi, i repubblicani ne perdono addirittura quattro. […] Il veleno iniettato in modo certosino nel sistema per anni, ora, inizia a fare i suoi effetti anche contro Gingrich stesso. Inizia a perdere un po’ di popolarità e saltano fuori dettagli che dipingono un uomo spregiudicato anche nella vita privata, che divorzia dalla moglie quando questa è in ospedale per un cancro, per stare con la donna con cui l’ha tradita. Alcuni malumori in seno al Partito repubblicano stesso lo costringono a dimettersi. Rinunciando alla carica di parlamentare, afferma di “non volere presiedere un gruppo di cannibali”» (Ghidini). «Gingrich fu costretto a dare le dimissioni nel 1999, dopo un richiamo formale per uso illecito dei fondi elettorali e la batosta subita dai repubblicani alle elezioni di midterm, di cui fu considerato in parte responsabile» (Alessandra Farkas). «Da allora si è diviso tra l’attività di lobbista e quella di politico, ed è stato più volte accusato di conflitto di interessi» (Enrico Pedemonte). «Gingrich si è rifatto una verginità politica grazie alla visibilità sulla Fox. Ha potuto recuperare consensi anche nel Tea Party, il movimento anti-Stato e anti-tasse i cui seguaci sono una audience affezionatissima della Fox» (Federico Rampini). Sull’onda di questa nuova popolarità, tentò persino di conquistare la candidatura del Partito repubblicano in vista delle elezioni presidenziali del 2012: tuttavia la sua corsa, iniziata l’11 maggio 2011, si arrestò ufficialmente il 2 maggio 2012, quando Gingrich si rassegnò ad annunciare il proprio sostegno a Mitt Romney. «Si è battuto, forse anche troppo a lungo, ma, alla fine, ha dovuto cedere. […] Vincitore in due soli Stati (uno dei quali la sua Georgia), Gingrich è apparso davvero tra i papabili “pour l’espace d’un matin”» (Mauro della Porta Raffo). Strenuo sostenitore di Donald Trump sin dalla prima ora (tanto che nell’estate 2016 si ipotizzò una sua candidatura alla vicepresidenza), lo ha appoggiato anche nel rifiuto di riconoscere la vittoria di Joe Biden all’indomani delle elezioni del 2020, giungendo persino ad adombrare l’incarcerazione per i parlamentari incaricati di indagare sull’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021. «Per più di quattro anni, l’intero establishment si è mobilitato contro il presidente eletto degli Stati Uniti come se fosse un sistema immunitario che cerca di uccidere un virus. Ora costoro ci accusano di minare la democrazia. […] Non ho alcun interesse a legittimare il padre di un figlio che i membri del Partito comunista cinese si vantano di essersi comprati. Né ho alcun interesse a fingere che il risultato attuale sia legittimo o corretto. È semplicemente il colpo finale di una corsa quadriennale al potere della coppia establishment-media. È stato perpetrato da persone che hanno infranto la legge, falsificato l’informazione e diffamato quelli di noi che credono nell’America e non nella Cina, nella storia e non nel revisionismo, nell’ideale liberale della libertà di parola e non nella distruzione della cultura. […] Questa insolita quanto minuziosamente pianificata presa del potere minaccia il tessuto del nostro Paese e la libertà di ogni americano» • Autore di numerosi saggi politici e coautore di vari romanzi, per lo più di genere ucronico, scritti a quattro mani con altri scrittori • Sposato in terze nozze dal 2000 con Callista Bisek, già ambasciatore degli Stati Uniti presso la Santa Sede (2017-2021); due figlie dalla prima moglie. «Gingrich tradì la sua prima moglie, che era una sua ex insegnante al liceo, e le chiese il divorzio quando questa era malata di cancro (lei ha detto addirittura che le portò in ospedale le carte da firmare poco dopo l’intervento chirurgico). Si sposò con quella che era stata la sua amante e poi tradì anche lei, proprio negli stessi giorni in cui accusava Bill Clinton per via della sua infedeltà e del suo aver mentito sotto giuramento. Successivamente divorziò di nuovo e sposò la sua amante. […] Durante un’intervista, spiegò così la sua infedeltà coniugale: “Non c’è dubbio che in certi momenti della mia vita, in parte a causa della passione che provo per questo Paese, ho lavorato troppo: questo ha fatto sì che succedessero cose inappropriate”» (Francesco Costa) • Cresciuto nella fede luterana, fu in seguito battista e infine, il 29 marzo 2009, ricevette il battesimo cattolico, grazie alla Bisek, cattolica, e a papa Ratzinger. «La visita compiuta da Papa Benedetto XVI negli Stati Uniti d’America nell’aprile 2008 ha costituito per me un punto di svolta. […] Ciò che mi colpì furono la gioia e la serenità che da lui promanavano. Ecco, la presenza lieta e radiosa del Santo Padre fu per me il momento della conferma di molte cose che ero andato meditando e sperimentando per diversi anni». «Devoto in particolare a san Giovanni Paolo II, che vede inevitabilmente accompagnato alla figura di Reagan, il santo del conservatorismo» (Mattia Ferraresi) • «Gingrich è il rappresentante di una razza poco diffusa in America: quella dei politici intellettuali. […] Come tutti i politici intellettuali, è affascinante. Normalmente inizia i suoi discorsi leggendo, poi alza gli occhi e si mette a parlare a braccio. […] Gingrich parla due lingue: quella ufficiale e, quando è ad Atlanta, quella Dixie, un misto di parole strascicate e sospiri trattenuti alla fine della frase. Ed è affascinante vederlo parlare “sudista” di fronte alla donne della buona società di Atlanta, sia bianche sia nere. Ha un suo certo fascino da gentleman birbone, Gingrich, che ricorda tanto Rhett Butler» (Enrico Beltramini). «Una vecchia volpe della politica americana. […] Un uomo di idee, artefice di mille battaglie condotte dal partito, un abile e affascinante parlatore» (Pedemonte). «Genio e sregolatezza. […] Ama parlare di sé in terza persona» (Massimo Gaggi) • «In molti vedono in lui l’uomo che ha minato il funzionamento della democrazia negli Stati Uniti, accelerandone la polarizzazione. […] Si può dire che l’attuale situazione della politica americana sia la conseguenza di quanto seminato da Gingrich: in Trump, c’è l’incarnazione del darwinismo applicato alla politica. C’è il repubblicano cattivo, arrogante e indifferente, senza nessuno degli odiosi tratti da boy scout di cui già Gingrich parlava nel 1978» (Ghidini) • «L’America di Trump e la società post-americana che la coalizione anti-Trump rappresenta non sono in grado di coesistere. […] Uno semplicemente sconfiggerà l’altro. Non c’è spazio per il compromesso. Trump lo ha capito perfettamente fin dal primo giorno» (dal suo saggio Understanding Trump, pubblicato nel 2017) • «Io – come altri conservatori – non sono in disaccordo con la sinistra all’interno di un mondo comune. Noi viviamo proprio in mondi diversi. Quello della sinistra è fondamentalmente il mondo messo in piedi delle forze che sono state dominanti per la maggior parte della mia vita. Il mio mondo è la ribellione populista che crede che stiamo per essere distrutti, che le nostre libertà vengano cancellate e le nostre religioni siano sotto attacco».