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 2023  giugno 23 Venerdì calendario

Biografia di Edoardo Vianello

Edoardo Vianello, nato a Roma il 24 giugno 1938 (85 anni). Cantante. Autore. Produttore. Oltre 60 milioni di dischi venduti. «Parliamo del razzismo, quello di cui tanti tacciano I Watussi. Riscriverebbe ancora le parole “gli altissimi negri”? “No, ovviamente: mi rendo conto della discriminazione verso le persone alte”» (Luigi Bolognini) • «Porto lo stesso nome di mio nonno paterno, un brillante giurista veneziano, l’avvocato Edoardo Vianello appunto, e sono nato a Roma il 24 giugno 1938. Per pochissimo sarei potuto nascere anch’io a Venezia, dove i miei genitori avevano vissuto fino a qualche mese prima, ma mio padre, impiegato alla Compagnia Aerea Transadriatica presso l’aeroporto di Venezia-Lido, fu trasferito a Roma proprio all’inizio di quell’anno. […] Mio padre si chiamava Alberto, figlio unico (ma forse no): è stato un apprezzato poeta futurista, pubblicato da Marinetti. […] Mia madre, Matilde, era una casalinga e cuoca straordinaria, ma aveva sempre sognato di fare la cantante lirica, in realtà senza mai provarci seriamente. […] Purtroppo mamma soffriva di una disfunzione alla ghiandola ipofisaria, per cui era obesa. Ha trascorso la sua vita a impegnarsi in diete dimagranti. È stata sotto cura di due luminari della medicina di quei tempi, il professor Nicola Pende e il professor Cesare Frugoni, ma senza riuscire a perdere un solo etto, nemmeno digiunando. Il prof. Frugoni, fra i tanti tentativi, le propose di provare a portare avanti una nuova gravidanza. Lei lo fece, naturalmente con la partecipazione straordinaria di mio padre, e io sono il risultato del suo esperimento. Neanche questo però è servito a nulla. Si divertiva a raccontarmi che dopo qualche tempo era tornata dal prof. Frugoni con me in braccio e, consegnandomi a lui, gli aveva detto: “Caro professore, adesso questo fagottello se lo tiene lei!”». «“Mio padre era figlio di NN da parte di madre. […] Ovviamente è la storia di un amore impossibile e di scelte difficili. All’epoca ci ha causato qualche incomprensione dentro la famiglia”. Tipo? “Raimondo Vianello era mio cugino, e la sua parte ci trattava un po’ con la puzza sotto il naso: in fin dei conti, lui era figlio di una marchesa e di un ammiraglio. Il nostro rapporto è sempre stato solo affettuosamente diplomatico: non è mai venuto a un mio concerto”. Non c’era simpatia. “Era un tipo abbastanza scuro, come accade spesso ai grandi comici”» (Alessandro Ferrucci). «Il ’44 segna il mio primo approccio con la musica e lo spettacolo. Mi regalano una piccola fisarmonica, di quelle da bambini con pochi tasti. […] Mi piace molto, trascorro tanto di quel tempo a strimpellarla che riesco finalmente a imparare a suonare una canzone intera, il successo del momento: La paloma. Con quella mi esibirò a Natale al cospetto dei miei familiari e alcuni parenti. Un successo». «Non so a quanti altri scolari sia capitato di essere rimandati in terza elementare in tre materie su quattro. Be’, io ci sono riuscito». Il padre «da uomo di cultura era interessato solo alla preparazione, e il mio andare male a scuola era il suo più grande dolore: ogni volta che gli consegnavo una pagella, mi puniva con un silenzio prolungato. Pure di mesi». «Papà è stato il mio nemico-amico. […] Il suo scetticismo mi sfidava continuamente, ma io, testardo e appassionato, con i primi soldi comprai una chitarra e andavo a suonarla di nascosto in cantina» (a Massimiliano Castellani). «Sognava un futuro come campione di basket, ma smise di crescere intorno ai 14 anni. Avrebbe potuto emergere nel coro di S. Giovanni in Laterano, ma la sua voce era più vicina a una mitragliatrice che a un usignolo. Fu così che Edoardo Vianello si svegliò una mattina a 18 anni con l’idea risolutiva che sarebbe divenuto un cantante di musica leggera. Era così disperato che ci riuscì subito» (Marco Piatti). «Esordisce come cantante il 22 aprile 1956 al Teatro Flaminio di Roma, imitando i gruppi gospel americani e cantando anche Musetto di Domenico Modugno. Entra a far parte di alcune orchestre da ballo e fa esperienza come attore teatrale» (Enrico Deregibus). «Nel 1959 ci fu il primo contratto con la Rca, poi vinsi un’audizione con la compagnia Masiero-Volonghi-Lionello: cercavano un cantante-chitarrista-attore, io avevo la voce chiara, scandivo bene, e poi cantavo delle cose che per l’epoca erano piuttosto strane. Avevo già scritto Il capello, ma la Rca lì per lì non volle inciderla perché dicevano che era come una barzelletta: una volta sentita, poi la seconda volta non faceva più ridere» (a Gino Castaldo). «“Nel 1959 […] con i soldi guadagnati avevo comprato una Fiat 600 usata: con un amico decido di partire e girare l’Italia a caccia di cantanti ai quali proporre i miei pezzi. […] Una volta a San Benedetto del Tronto, vediamo uno striscione: ‘Giovedì Mina’. Era martedì. Ci accampiamo, raggiungiamo il locale, conosciamo il proprietario, gli spieghiamo il perché di quella gita, lui sorride e il giovedì ci presenta Mina. Che esordisce: ‘Edoardo Vianello? Ho sentito parlare di te’. […] La sera, a metà della sua esibizione, annuncia: ‘C’è qui un mio amico molto bravo’. E mi invita a cantare. Finito lo spettacolo, mi ferma: ‘Voglio ascoltare le altre tue canzoni. In che albergo sei?’”. Ahi… “Dal mio imbarazzo intuisce la verità: ci invita nell’appartamento che aveva affittato, e ci mette a disposizione la spider. Ho perso la testa per lei”» (Ferrucci). «In autunno faceva in televisione Gran Galà, io andavo sempre e lei mi faceva sempre un sacco di feste. Poi mandai una mia canzone a Sanremo: nella mia ingenuità pensavo che l’avrebbe cantata Mina, invece lei aveva già un pezzo, Le mille bolle blu. […] A Sanremo finì che andai io a cantarla, perché si decise che doveva essere l’anno dei cantautori: Bindi, Paoli, Celentano. Però non se ne accorse nessuno. Finalmente riuscii a convincere la Rca a incidere Il capello e andai a Studio Uno, in diretta il sabato sera». «“Prima di entrare in diretta ero agitatissimo. Arriva Mina, se ne accorge, e risolve la questione: ‘Prendi questa pillola’. ‘Va bene’. Risultato: sono rimasto sveglio due giorni”. E che era? “Boh”» (Ferrucci). «Dal giorno dopo scoppiò il finimondo». «“È stata una stagione breve ma intensa, in cui si respirava a pieni polmoni il vento del cambiamento epocale. C’era aria di euforia collettiva. Eravamo una generazione che aveva poco, ma, quel poco, sapeva apprezzarlo, e sognava di migliorare ancora. E questo si rifletteva anche nella musica”. […] Il suo primo grande successo fu proprio Il capello, che inaugura il sodalizio con Carlo Rossi. “Era un grande Carlo, un paroliere di 20 anni più grande di me. E si sentiva la differenza di età, però la mia musica con i suoi testi furono una miscela esplosiva. Se a questo aggiungi le trovate di quel genio di Ennio Morricone, ecco spiegate le ragioni del successo delle canzoni che vennero dopo”. Un poker di successi che scaldavano l’estate di sessant’anni fa: Pinne fucile ed occhiali, Guarda come dondolo, Abbronzatissima e I Watussi. “Tutte trattate dal grande Morricone, che ha letteralmente inventato l’arrangiamento. Ennio giocava con le mie canzoni e le ha caratterizzate, una per una, rendendole di fatto immortali”. Stregato dalla luna di Vianello anche Dino Risi, che nel suo film cult Il sorpasso (1962) inserì Pinne fucile ed occhiali e Guarda come dondolo “Non sapevo che le avrebbe messe nella colonna sonora, e quando lo incontrai gli chiesi cosa lo avesse spinto a farlo. E Risi rispose: ‘Quelle due canzoni rappresentavano esattamente l’estate che volevo raccontare’. Un altro genio assoluto”» (Castellani). «Faceva anche l’autore puro. Per esempio, La partita di pallone “Pochi sanno che l’avevo pensata per Mina. Era una canzone che doveva per forza cantare una donna. Però mi dissero che non l’avrebbe incisa. La incise la Pavone e fu un successo clamoroso. Mina si offese”» (Castaldo). «Quando si lanciò come solista, si dice che lei andasse personalmente a gettonare le sue canzoni nei juke-box… “Beh, non proprio. Prezzolavo degli amici. Temevo di essere riconosciuto e sorpreso in flagrante ‘autopromozione’! All’epoca era importante far sentire nelle spiagge brani come Guarda come dondolo o I Watussi”» (Mario Luzzatto Fegiz). «Qual è stata la svolta della sua carriera, quando ha capito che avrebbe fatto il cantante? “Quando mio padre ha finito di ostacolarmi. […] Dopo il successo di Abbronzatissima e dei Watussi – nel ’63, il miglior anno della mia carriera –, si è rassegnato che potesse essere un mestiere: lì ho capito che ero sulla strada giusta”» (Renato Franco). «Cambio in corsa: […] passa dalle canzonette alla “mistica” O mio Signore. Una conversione improvvisa? “Macché. Al Quo Vadis conobbi Mogol, che mi diede un consiglio azzeccato dei suoi: ‘Edoardo’, disse, ‘finora hai fatto cose divertenti, ma adesso è il momento di dare uno schiaffo al pubblico con qualcosa che non si aspetta…’. Andammo a casa mia, e quella notte venne fuori questa ‘preghiera laica’ in cui c’è tanto della mia educazione cristiana e di quella fede che mi ha aiutato a superare momenti terribili, come la perdita di mia figlia Susanna…”. Lei è stato il primo a credere […] in Franco Califano. “Lo spinsi a incidere la sua prima canzone, Da molto lontano. Franco, mio coscritto del ’38, era un ragazzo fantastico. La prima volta che lo incontrai, lui era ‘il bello’ e io ‘il famoso’. Mi chiese se poteva leggermi una sua poesia… Beh, rimasi stupito: quel testo era l’esatto contrario del personaggio che lo rappresentava. Gli spiegai come scrivere una canzone e dopo pochi giorni tornò, e alle sue parole aggiunsi la mia musica”. Insieme diventaste produttori. “La notte dell’allunaggio, 20 luglio 1969, davanti alla diretta Rai decidemmo che la nostra etichetta (una delle sette satellite che facevano capo alla Rca) si sarebbe chiamata come la navicella spaziale americana: Apollo Records. Mettemmo sotto contratto Renato Zero, Amedeo Minghi e quei quattro ragazzi amici di Franco, i Ricchi e Poveri”» (Castellani). «“Da giovane soffrivo di complessi di inferiorità, legati principalmente alla mia altezza, al mio aspetto fisico. Quando ho cominciato a fare musica e ad avere successo l’unico obiettivo era quello di rimorchiare!”. E, di cuori spezzati, Vianello, con il collega e amico Franco Califano, deve averne collezionati: “Giravamo per i lidi d’Italia e portavamo a spasso le nostre canzoni facendo concerti nei locali e nelle piazze. Ogni tappa era una strage! […] Non era infrequente che io e il Califfo ci scambiassimo la ragazza di serata in serata”» (Michela Maisti). «Da Sanremo 1966 uscì […] il suo primo successo internazionale, Parlami di te. “Fu un insuccesso sanremese, anche se entrammo in finale, ma grazie alla versione francese di Françoise Hardy ha girato il mondo. Quando andai in Brasile, fu la prima canzone che mi chiesero di eseguire”» (Castellani). «Lei era a Sanremo nel 1967, l’anno di Tenco e della sua morte, che ancora fa discutere. “Un’esperienza terribile. La mia sensazione è che Luigi fosse fuori di testa per sostanze e alcol e abbia pasticciato con la pistola. La certezza è quel che successe il giorno dopo: io non volevo cantare, e invece fui costretto. Per di più il titolo della mia canzone era Nasce una vita, e non devo aggiungere altro”» (Bolognini). «Ce l’ha avuto, un momento di buio? “Sì, ancora negli anni Sessanta. Un grosso vuoto dal ’66 al ’72, anche perché quando è arrivato il ’68 le mie canzoni diventarono improponibili. Mi venivano a contestare, o meglio sentivo una certa ostilità, così smisi. Mi sono messo in disparte, poi nel 1971 inventai la formula dei Vianella. Mi ero sposato con Wilma Goich nel ’67 e i pochi spettacoli che facevo li facevamo insieme, così venne l’idea di pensare qualcosa per tutti e due. Così nacquero ‘I Vianella’: sentivamo che l’atmosfera del pubblico cambiava quando cantavamo insieme. Le cose che piacevano di più erano quelle romane. Nel frattempo avevano carcerato il Califfo (Franco Califano, ndr): dopo la prigione ottenne di stare in una clinica, così potevamo andare da lui, con la certezza di trovarlo. Lavorammo insieme e nacque Semo gente de borgata. Era ripartito tutto”. Ma c’è stato un momento in cui hanno cominciato a richiedere le canzoni da spiaggia… “Anche lì fu una coincidenza. Con Wilma ci separammo nel ’78. Continuammo a lavorare insieme ma non c’era più la stessa atmosfera. Poi smettemmo. Nel 1982 un impresario mi convinse a ricostruire un mio percorso. Nel frattempo si ricominciò a parlare di anni Sessanta. Ivan Cattaneo incise un disco sugli anni Sessanta, Italian graffiati, Gianni Minà a Blitz non parlava d’altro, poi incontrai Jerry Calà che stava per fare Sapore di mare, mi chiamarono e curai tutta la colonna sonora. Improvvisamente ripartì l’interesse, e dal 1982 a oggi non è mai più finito”» (Castaldo). Dopo aver festeggiato l’ottantesimo compleanno con un concerto in Campidoglio, in cui ha eseguito anche l’inedito Piano piano («un elogio della lentezza», scritto insieme al nipote Andrea Vianello, noto giornalista e conduttore), sorprendentemente nel 2022, «a 84 anni, Edoardo Vianello torna protagonista dell’estate musicale italiana. Impossibile fare un giro sui social senza imbattersi in video di balletti in spiaggia con in sottofondo la sua Il capello. […] Il merito è di Myss Keta, la rapper mascherata milanese, che nel suo […] singolo Finimondo ha campionato il vecchio successo della voce di Abbronzatissima. […] “Privi di idee, ai cantanti non resta che recuperare il passato. Nelle canzoni di oggi ci sono tanti effetti speciali inutili, ma manca la cosa più importante”. Qual è? “La melodia”. […] “Mi piacerebbe far ascoltare qualche canzone nuova. Sono trent’anni che agli autori che mi invitano in tv propongo di farmi cantare brani inediti: ‘Ma quali inediti, il pubblico vuole ascoltare I Watussi’, mi rispondono. È demoralizzante”» (Mattia Marzi) • Nel 2022 ha pubblicato l’autobiografia Nel continente c’ero. La favolosa storia vera del re dell’estate (Baldini+Castoldi). «Non parlano per lei i suoi successi, 60 milioni di copie vendute? “Non è tutto oro quel che luccica: racconto le sofferenze dietro quelle canzoni, che hanno fatto da colonna sonora a certi cambiamenti della società”» (Marzi) • Sposato in terze nozze con Elfrida Ismolli (classe 1975). Una figlia, Susanna, morta di cancro a 49 anni nel 2020, dalla prima moglie Wilma Goich e un figlio, Alessandro Alberto, dalla seconda moglie Vania Muccioli. «Adesso basta matrimoni? “Il gendarme che ho adesso non mi fa più muovere… e poi: ma dove vado?”. Il primo matrimonio fu con Wilma Goich. […] Avete anche attraversato un dolore che ogni genitore non vorrebbe vivere: la morte di vostra figlia Susanna a causa di un tumore. […] “Un dolore terribile. Anche perché è stato un evento improvviso, che mi sembra ancora non accaduto, in pieno Covid, in un momento in cui non ci si vedeva nemmeno. La sua morte mi sembra una cosa solo sospesa, non avvenuta: pensare così è l’unica cosa che mi consola”» (Franco) • «Lei è uno dei pochi cantanti ad avere dichiarato simpatie di destra, e in tempi non sospetti, alla nascita di An. Contento del governo Meloni? “Anzitutto mi lasci precisare che non sono mai stato fazioso né aggressivo: mi sono anche tranquillamente esibito alle Feste dell’Unità. Poi certo ho le mie idee, e in questo momento veramente buio per l’Italia credo e spero in Giorgia Meloni: è l’unica che può darci uno scossone”» (Bolognini) • «“Mi piace cantare, lo faccio anche gratis con gli amici. Adoro stare sul palco, non bevo e non fumo. Conduco una vita sana. Che aiuta la concentrazione. Niente eccessi, ma nessuna dieta particolare”. […] Lei sembra avere un ottimo carattere. […] C’è mai qualcosa che la innervosisce? “Sì, una sola. Che qualcuno cerchi di aggiustarmi i capelli o la cravatta o la giacca, insomma che mi si tocchi prima di andare in scena per darmi il tocco finale. Divento una belva”» (Luzzatto Fegiz) • «Il mio hobby è la fotografia delle fontane di Roma. Ebbene, le ho censite tutte: sono 5 mila 360» (a Fabio Santini). «Cosa le piace? “È l’unico monumento che si muove”» (Ferrucci) • «Un’ironia sottile, vivace e intelligente» (Franco) • «Autore e interprete disimpegnato. […] Scrive e interpreta una sequenza impressionante di successi estivi, a ritmo di twist, hully gully e cha cha cha. […] Una serie di brani che non solo entrano nella storia della canzone italiana più leggera, ma anche in quella del costume del nostro Paese, accompagnandone il boom economico» (Deregibus). «Ha fatto ballare tre generazioni con canzoni facili, leggere e orecchiabili» (Luzzatto Fegiz). «I cromosomi di ciascun brano sono gli stessi, ossia semplicità immediata, nessuna pretesa testuale e infine perfezione musicale, perché, ebbene sì, rispetto ai tormentoni di oggi questi sono autentici capolavori. Tanto per capirci, l’arrangiamento de Il capello del 1961 è di Luis Bacalov (un premio Oscar), mentre quelli dei successivi 5 anni sono di Ennio Morricone (2 Oscar). Difficile criticarli. […] Vianello è ormai parte del nostro patrimonio musicale, anche alla faccia di chi per anni ha denigrato le sue canzoni “facili” ma poi ogni estate si scopre in spiaggia a cantarle al tramonto. Come tutti» (Paolo Giordano) • Il bilancio della sua vita è «“quello di chi ha ottenuto molto più di quel che si aspettava e molto meno di quel che desiderava”. Traduciamo. “Ho fatto musica senza sperare in nulla, solo per divertirmi e riuscire a rimorchiare. Quindi ho avuto un successo incredibile. Ma al contempo non ho ottenuto un riconoscimento ufficiale del fatto che le mie canzoni contenessero sia cose sofisticate che popolari: se le analizza, non erano così banali nella melodia”» (Bolognini) • «Le canzoni preferite? “Io sono credente per educazione, ma sono anche preoccupato che dopo non ci sia nulla. Quindi i brani sono O mio Signore, per cominciare l’avvicinamento a Lui, e Guarda come dondolo, per scatenarci fin che possiamo”» (Luzzatto Fegiz).