Avvenire, 7 luglio 2023
Sloterdijk e le risorse del grigio
Il colore grigio, cioè tutto ciò che si colloca, a seconda del rapporto di mescolamento, tra il bianco e il nero è di solito associato a qualcosa di negativo o comunque di non desiderabile. A chi piace, d’altronde, essere apostrofato figura grigia o sentirsi dire continuamente che i capelli sono grigi quando invecchia? Chi è felice di guardare costantemente un cielo grigio o essere tormentato da pensieri grigi? Che il grigio, in tutta la sua non appariscenza e indifferenza, il suo non bianco e non nero, la sua posizione tra il chiaro e lo scuro, possa essere visto, trattato e talvolta connotato da molte sfumature e significati, lo dimostra Peter Sloterdijk nel suo nuovo libro, appena edito da Marsilio, intitolato Grigio. Il colore della contemporaneità (Marsilio, pagine 298, euro 20,00). Lungo tutte le sue pagine, il filosofo tedesco racconta la versatilità e la natura multiforme di questo colore, prendendo le mosse da un’affermazione di Paul Cézanne che, alla fine del XIX secolo, in una conversazione con Joachim Gasquet, disse che «finché non si è dipinto un grigio, non si è pittori». Di riflesso egli ritiene ci si possa considerare filosofo solo dopo aver pensato il grigio, analizzandolo quale «valore cromatico determinante del presente». Sloterdijk inizia così a pensare e a inoltrarsi, metaforicamente, nelle zone grigie non solo della filosofia, ma anche della politica, della fotografia, della letteratura e della teologia, da Angela Merkel a Marcel Duchamp, da Melville a Piero Manzoni, da Mani e Scoto Eriugena a Andy Warhol. Prendendo le mosse dal mito della caverna, con le ombre che Platone getta su «su duemilacinquecento anni di storia del pensiero vetero-europeo», Sloterdijk segue il grigio come colore della filosofia in Hegel, affronta Heidegger come il più importante interprete dei toni grigi e poi insegue Nietzsche, che valorizzò il grigio delle rocce e delle pietre dell’Engadina come espressione di liberazione. Fino al XIX secolo, nell’immaginario collettivo, il bianco radioso ricopriva una posizione speciale, ultimo rifugio dell’antica metafisica della luce. Poi è iniziata la grande de-gerarchizzazione e de-simbolizzazione anche nel campo dei colori. Al bianco si affianca il rosso rivoluzionario dei giacobini, dello stalinismo
e degli esperimenti del socialismo reale e della socialdemocrazia. Un rosso che si è sempre più radicato nel corso della storia del Novecento, alla fine del quale però «il grigio arrivò ad abbracciare ogni cosa e divenne la confessione, di produzione endogena, di un’impresa che era cominciata nel rosso intenso». Al giorno d’oggi, al posto di una sequenza liturgico-allegorica di colori, dal bianco al blu e al rosso, regnano all’apparenza gli United Colors of Everything, un idillio policromatico di totale tolleranza che, per Sloterdijk, inganna.
Della desiderata società, fondata sul mescolamento, l’arcobaleno non sarebbe il simbolo appropriato.
Dalla liberalità del moderno che invita al mescolamento non emerge un luminoso omnicolore bensì, come dimostrano le sperimentazioni empiriche miscelando i colori, un apatico grigio, che restituisce la Stimmung depressiva e impotente dei nostri tempi. «Se un rinascimento anarchico non interrompe il trend in corso o non si alza una forte brezza liberale – ammonisce Sloterdijk – il futuro apparterrà a una politica di regolamenti ecoburocratici che impongono una direzione che conduce a una menopausa postdemocratica», in cui «mettere like, cinquant’anni dopo Warhol e duemila anni dopo i pollici dell’arena romana, è il gesto universale dell’approvazione indifferente di ciò che, bene o male, non è granché». Eppure mettere like rivela quanto l’«omnicolore privo di colore» dei nostri tempi richieda l’adozione di un’arte di vivere adeguata che possa individuare dei percorsi eccedenti l’apatia postdemocratica. «Non esiste un sé che non si trovi davanti alla scelta di dissolversi nella deriva dei rapporti, grigio per dimissione, o di ritirarsi nella medietà attiva, grigio per modestia, al servizio di un evento più grande». Ma come è possibile riconoscere questo evento? Risiede qui, per il pensatore tedesco, la portata della riflessione sul grigio, che dovrebbe stare al cuore della filosofia.
La predominanza attuale del grigio dovrebbe spingere i filosofi a non abbandonare il campo del pensiero, secondo Sloterdijk, ma a farsene carico andando oltre gli attuali tic moralistici perché «chi non ha ancora pensato il grigio non ha ancora affrontato la domanda “da dove viene il bene?”, che rappresenta il cuore della domanda sull’essere».