il Giornale, 7 luglio 2023
Le statue non si toccano. Un saggio
I monumenti finiscono sempre per avere due destini molto antitetici. Il primo, per usare le parole della classicista Mary Beard, è quello di diventare una sorta di «costosa carta da parati». Vengono assorbiti dal contesto e non li guarda più nessuno. L’altro è quello di suscitare un vespaio, di diventare da subito o dopo lungo tempo divisivi e di far scatenare l’opinione pubblica. Ora, ad esempio, gli Usa sono attraversati da una sorta di «iconoclastia di ritorno», quella che comunemente chiamiamo cancel culture. Ha colpito un numero limitato dei più di 50mila monumenti statunitensi censiti ma è comunque un fenomeno che fa discutere e che presuppone un’idea di riscrittura della Storia, che è una cosa ben diversa da un ripensamento critico sulla Storia (i ripensamenti critici non abbattono o nascondono, al massimo aggiungono una targhetta di spiegazione).
Da questo punto di vista, per capire il rapporto complesso dell’America con i suoi monumenti viene molto utile un volume appena pubblicato dal Mulino a firma di Arnaldo Testi ed intitolato, con molta ironia, I fastidi della storia (pagg. 266, euro 20). Lo storico, che ha insegnato all’università di Pisa, ripercorre tutto il complesso rapporto tra la prima democrazia moderna ed i suoi monumenti. Un rapporto sempre difficile, sempre complesso e proprio per questo incancellabile. E più un monumento è controverso più l’eliminarlo è una follia.
Tra le tante vicende - incise nel marmo, dipinte, o costruite in cemento armato raccontate da Testi, una delle più interessanti, per capire cosa si nasconde dietro un monumento, è quella del Monte Rushmore. Per tantissimo tempo gli Usa avevano avuto molta paura della personalizzazione del potere, del culto dei presidenti Si preferivano sobri memoriali in stile «classico». Se i nativi americani avessero dovuto giudicare da chi stavano venendo invasi, a partire dai monumenti di Washington, l’unica risposta plausibile sarebbe stata: dagli antichi ateniesi o da Giulio Cesare. Poi ai primi del novecento si fece avanti lo scultore modernista Gutzon Borglum. Di origini danesi era cresciuto nel west e voleva un’arte diversa: gigantesca. E tutta fatta di eroi americani, basta «prestiti» dall’iconografia europea. Niente di meglio di proporre statue dei presidenti, fondamentali per la storia degli Usa, alte 18 metri e da costruire sul monte Rushmore. Vennero scolpite a colpi di dinamite tra il 1927 ed il 1941. La scelta cadde su tre presidenti molto celebrati Washington, Jefferson e Lincoln e una novità, affine come spirito e intraprendenza a Borglum: Theodore Roosevelt. Nel 1941 ci si fermò non perché l’opera fosse ritenuta completa ma perché era morto Borglum e i costi erano diventati insostenibili. Del resto all’impresa lavoravano ben 400 persone coordinate da un capo mastro italiano: il friulano Luigi Del Bianco. A quel punto agli americani non restava che fare i conti con un monumento che incarnava tutte le possibili contraddizioni. Il monte è nel mezzo delle Black Hills, terre sacre dei Sioux, il possesso delle quali era stato loro riconosciuto e poi sottratto col tradimento. Lì vicino Custer ha perso la battaglia di Little Big Horn, sempre lì il generale Sheridan -soggetto di un’altra grande statua equestre fatta da Borglum avrebbe pronunciato la frase: «I soli indiani buoni che abbia mai visto erano indiani morti». Quindi le statue sono state occupate più volte dagli indiani che, va detto, non hanno mai compiuto atti vandalici veri contro di esse, ci hanno fatto solo pipì sopra per sfregio. Quanto a Borglum, lo scultore, che dire: è stato egli stesso una contraddizione vivente. Voleva per gli Usa un arte più moderna, ma oggi molte delle sue opere risultano quasi kitsch nella loro enormità, era stato vicino al Ku Klux Klan e orribilmente antisemita, però con i nativi ebbe alla fine un rapporto paternalistico ma in qualche modo affettuoso (lo chiamavano Capo Aquila di Pietra), voleva un santuario della democrazia ma pensava che i presidenti che stava scolpendo della democrazia fossero gli Dei E il monumento resta visitatissimo e ogni tanto qualcuno propone di aggiungerci il volto di un nuovo presidente, di una donna come la suffragista Susan B. Anthony, di un capo indiano... Non se ne è mai fatto niente, l’ultima proposta fu quella di inserire il volto di Barack Obama che liquidò la faccenda, con molta ironia, dicendo che sul monte non c’era abbastanza roccia per scolpire le sue orecchie a sventola.
Risulta chiaro da quanto abbiamo detto sin qui quanto degli Usa ci sia dentro il monumento e quanto si perderebbe se venisse «cancellato». Di monumenti nel saggio ne compaiono molti altri, si va da George Washington scolpito in posa da antico romano a Roosevelt (a tratti vicino alle idee del corporativismo fascista) rappresentato con il cagnolino fino ai controversi monumenti dedicati alle guerre o a quelli dedicati a Sacco e Vanzetti. Insomma, i monumenti sono il centro di una guerra per le idee. Persino quello per i martiri del comizio popolare di Haymarket a Chicago, che commemora degli anarchici condannati senza giusto processo, non piace. A chi? Soprattutto agli anarchici che ci vedono una trasformazione dei loro compagni del 1886 in socialdemocratici accettabili per lo Stato. Però la scultrice Mary Broggers, come spiega Testi, ha messo le mani avanti. Si è assicurata che la patina che copre la scultura sia resistente e facilmente lavabile se imbrattata. Anche le statue se non vogliono fare tappezzeria devono sapersi difendere.