la Repubblica, 7 luglio 2023
Il topless da piscina in Italia resta un tabù
Un seno nudo è ancora oggi un problema. Mentre dalla Catalogna arriva la notizia del divieto di discrimazione delle donne che vogliono accedere nelle piscine comunali in topless, in quasi tutto il resto del mondo – e soprattutto in Italia – questa libertà non è ancora concessa. Eppure la legge italiana parla abbastanza chiaro.
«Il topless non costituisce assolutamente reato, salvo ordinanze comunali su tutto ciò che accade in pubblica via. In spiaggia o in piscina, pubblica come privata, una donna può liberamente stare in topless ad eccezione dei regolamenti interni che possono riguardare in generale il dress code,come accade in alcuni circoli privati che impongono ad esempio l’uso della cravatta», spiega l’avvocato Gian Ettore Gassani.
Semplice a dirsi ma non altrettanto a farsi. Contattando alcune piscine italiane la possibilità di esporre il seno nudo all’interno delle strutture non sembra essere concessa. Al circolo Villa De Sanctis di Roma «non si può, ci sono i bambini. Ma se si sta a pancia in sotto forse si può provare»; alla Fulvio Bernardini di Roma «non esiste un vero e proprio divieto ma si preferisce sconsigliare il topless perché la struttura è frequentata da famiglie»; all’Acquachiara Frullone di Napoli «si porta il costume intero, non perché sia scritto nel regolamento ma perché nessuno ce lo ha mai chiesto» mentre alla Saini di Milano «vige il divieto assoluto come stabilito dal regolamento del buoncostume. Mica siamo al mare».
«Purtroppo il seno finisce per riguardare il decoro, così come tutto il corpo femminile. Va quindi coperto, ma non troppo, come dimostra la vicenda opposta che riguarda le critiche per i costumi da bagno integrali spesso indossati dalle donne di religione islamica», spiega Jennifer Guerra, giornalista e scrittrice che si occupa di tematiche femministe.
Insomma, nonostante il primo monokini indossato da Peggy Moffitt e i seni nudi mostrati da Brigitte Bardot a Saint-Tropez negli anni Sessanta; nonostante il clamore dell’ordinanza del 1982 del sindaco di Tropea che permetteva il topless in spiaggia ma soltanto per i “seni belli”; nonostante i busti esposti politicamente come quelli delle attiviste Femen, il seno femminile continua a essere un simbolo della battaglia per la parità di genere.
Non in Catalogna, però, dove la Generalitat de Catalunya ha appena ribadito che è vietato vietare il topless femminile nelle piscine comunali. La direttiva è arrivata come risposta alle richieste del collettivo “Mugrons lliures”, ovvero capezzoli liberi, che da due anni denunciava la mancata applicazione della legge approvata nel 2020 contro la discriminazione di genere che consente il topless femminile, l’allattamento al seno e l’utilizzo di burkini negli impianti pubblici. «Nessuna ordinanza municipale che proibisce queste pratiche verrà applicata», ricorda il governo della comunità autonoma spagnola, pena procedimenti amministrativi verso i comuni fino a 500 mila euro.
«Perché il corpo di una donna deve essere controllato mentre gli uomini possono indossare tutto quello che vogliono? La legge deve essere uguale per tutti e non si può imporre ad alcune persone di coprire il corpo a causa del genere», spiega aRepubblica Bel Olid, del collettivo “Mugrons lliures”.
Lo scorso marzo anche il governo dello Stato di Berlino ha autorizzato il topless libero per tutti nelle piscine pubbliche. La misura è stata adottata dopo una denuncia per discriminazione presentata da una donna a cui non era stato permesso di restare in topless in una piscina della città. Ma anche qui ora l’attenzione è tutta sull’applicazione del dispositivo.
«Bisogna scorprisi sì, ma secondo percentuali stabilite da tribunali morali – continua Guerra – il discorso è tutto sul valore che si da al corpo e alla sua sessualizzazione. Oggi la battaglia non è soltanto in piscina ma anche sui social dove i capezzoli femminili vengono oscurati senza fare distinzioni, come se fossero contenuti pornografici che non possono essere visti dai minorenni». Una discriminazione alla quale Meta, l’azienda americana che controlla Facebook, Instagram WhatsApp, sta lavorando su impulso di vari movimenti #frethenipples ma con risultati ancora incerti. «Non è soltanto liberazione sessuale ma normalizzazione del corpo. Il regolamento di Meta è entrato molto nello specifico, ora si può pubblicare la foto di una mano che si appoggia su un seno ma non che lo stringe. È concesso mostrare i capezzoli per fini artistici o per prevenzione, come nel caso del seno post-mastectomia. Finché c’è un intento superiore si può ma se trasliamo il discorso alla vita reale, una donna che va in piscina in topless non deve avere un ideale ma deve solo poter stare bene così come fa un uomo».