Corriere della Sera, 7 luglio 2023
La vita da boss della mafia di Evgenij Prigozhin
La cosiddetta Marcia per la Giustizia è durata un solo giorno. Ma il mistero che circonda la sorte di Evgenij Prigozhin e della sua milizia mercenaria rischia di diventare una telenovela.
Cominciamo dalla fine. Alle 18 ora di Mosca, appare su uno dei pochi canali Telegram favorevoli ai «ribelli» un messaggio firmato Brigata Wagner, dai toni quasi baldanzosi. Questi i punti principali. Non è vero che stanno chiudendo, stanno soltanto affrontando «una ristrutturazione organizzativa e territoriale». Prigozhin manterrà una parte dei suoi affari in Russia, ma la sua presenza in campo politico e mediatico si ridurrà «drasticamente». Una parte significativa delle attività continuerà a svolgersi in Africa, come dimostra per altro l’annuncio di lavoro pubblicato sul loro sito che ricerca traduttori dall’arabo e dal francese, promettendo loro «l’opportunità di vedere il mondo e una sana abbronzatura». Verranno mantenute però delle unità operative sul territorio della Repubblica popolare di Lugansk, mentre in Bielorussia continuano i lavori per il trasferimento del personale, «uno spostamento approvato e concordato al più alto livello».
L’ambiguità
Qualche ora prima, era stato proprio Lukashenko a svelare l’ambiguità dell’accordo siglato tramite la sua mediazione che aveva fermato l’ammutinamento. «Per quel che riguarda Prigozhin, credo sia a San Pietroburgo» ha detto durante un incontro con i giornalisti a Minsk. «Forse è andato a Mosca, ma senz’altro non si trova qui». Ovvero, non è nell’unico posto dove dovrebbe essere, a prendere per buono il poco che si sa del patto siglato tra il capo dei mercenari e Vladimir Putin. Il presidente bielorusso ha detto anche che a Prigozhin sono stati restituiti soldi e armi confiscati in precedenza dalle autorità russe, di non credere che il reprobo farà una brutta fine per mano di Putin, e ha aggiunto che a suo parere i negoziati di pace potrebbero cominciare ad autunno inoltrato. Dmitry Peskov, portavoce dello Zar, ha invece scrollato le spalle mentre gli è stato chiesto dov’è Prigozhin. «Non seguiamo i suoi movimenti, non abbiamo alcuna voglia di farlo» ha detto, precisando che per il Cremlino resta valido l’accordo siglato sabato 24 giugno. Forse, è un modo per dire che qualcuno non li sta rispettando.
Le foto dei travestimenti di Prigozhin pubblicate negli ultimi due giorni dai media governativi sono così improbabili da far pensare a una mossa ben congegnata, non solo per gettare ulteriore discredito sul fondatore della Brigata Wagner. Ma per renderlo ridicolo. Gli oggetti rinvenuti nella sua lussuosa abitazione restituiscono le contraddizioni del personaggio. Un sacco di armi, scatole piene di denaro in contante, un martello formato gigante con sopra la targa «Per negoziare», che riassume un po’ la visione del mondo di Prigozhin e ricorda l’uso fatto di quell’utensile sulla testa dei disertori della Wagner. Non manca un alligatore impagliato, lungo un corridoio che conduce a una sala privata di preghiera piena di icone preziose. L’insieme delle immagini allontana l’immagine di Prigozhin uomo del popolo, quella a cui lui teneva tanto e che si era costruita in questi mesi di guerra, dipingendosi come un semplice soldato al fronte. E restituisce invece quella di un nuovo ricco, che ha accesso a privilegi impensabili per la gente comune. «Sembra la casa di un boss mafioso degli anni Novanta, quello che lui è sempre stato e ha continuato a essere», sostiene una persona che lo ha conosciuto bene, e che intende rimanere anonima.
La reputazione
Ma non si tratta di materiale del tutto inedito, è questa la vera notizia. Alcuni di questi scatti erano già stati pubblicati proprio durante la rivolta sul sito di informazione Fontanka, uno dei più letti di San Pietroburgo. Erano stati poi rimossi in fretta e furia, cancellando addirittura gli account di Telegram che li avevano ripresi. Si pensava che fosse una «ritrattazione» fatta in omaggio al patto di non belligeranza appena firmato tra Putin e il signor Wagner. Ma ecco che ora ritornano, con l’investitura ufficiale delle testate giornalistiche più vicine al Cremlino. La reputazione ha la sua importanza, e quella di Prigozhin ormai è distrutta. Ma questi segnali così contradditori dimostrano se non altro la difficoltà di smantellare una milizia privata che contava quasi cinquantamila soldati ben addestrati. E poi, forse, c’è anche il problema della gestione di un uomo ormai abbandonato da tutti, che però continua a custodire molti segreti.