Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  luglio 06 Giovedì calendario

Berlusconi 8 miliardi di beni

Ecce Roba. Ci siamo, si è aperto il Testamento come un tempo fece il Mar Rosso. Tutte le agenzie battono l’elenco dei denari e dei forzieri. Nessuno che si chieda –in queste ore di massimo tripudio – da dove venga il grano e la grana del Dottore. Da quale giacimento. Da quale caverna di Ali Babà e i Quaranta Trilioni. Domanda impopolare. È il potere che giustifica l’oro. È l’oro che certifica il potere. Ogni esitazione non è cronaca, è invidia. Ogni dubbio una offesa alla memoria. A quella di lui, il Defunto, sempre sia lodato, e al suo lascito. Che da stanotte –a Borse chiuse –fini – rà nei forzieri della Famiglia Reale, nelle tasche della Corte, nei borsellini dei servi e delle pupe. Il notaio Arrigo Roveda s’è svegliato di buon umore e ha detto: ci siamo. Davanti ai cinque figli ha alzato il pane e il vino. Da quell’istante, dozzine di gnomi si sono messi al lavoro. A quanto ammonta il patrimonio, 6 miliardi di euro? No 7, forse 8. Tutti investiti in imprese, lingotti, azioni. depositati nel velluto delle Holding, nel silenzio funzionale delle banche, forse sepolti sotto certi boschi d’oltre confine. E quanti sono i mattoni all ’appello? Venti ville almeno, dalla Brianza fino a Antigua, passando per Lampedusa e per Bermuda. Tanto tempo fa Luigi Pintor, l’inarrivabile, si chiedeva cosa ci facesse quel miliardario con 7 ville nella sua Sardegna, 35 bagni per stare comodo, calcolava, ma può davvero un uomo avere 35 bagni a sua disposizione? Ah, ingenuo Pintor! I bagni sono 35, ma nella sola Villa La Certosa, quella dei cento ettari di parco, del finto vulcano, dei finti laghetti, dei 2 mila cactus dotati di un sistema di ventilazione per il riciclo dell’aria, il riciclo delle bimbe, il riciclo del topolone di Topolanek, scatto memorabile del fotografo Zappadu. E i quadri? Sono 20 mila. Di più. Sono 24 mila assicura il nostro “cacca, culo, pipì” Vittorio Sgarbi, il Lenny Bruce della Pubblica amministrazione, stivati in un hangar poco distante dal Mausoleo di Arcore, entrambi in zona Vita Eterna. Tutte opere d’arte catalogate, non solo i due o tre Canaletto, anche le croste che nelle notti insonni – da solo poveraccio, con il telefono sul comodino e una Rubacuori che gli ronfava accanto – comprava alle aste televisive: il finto Tintoretto e il vero Clown che piange, la Natura morta con l’Aringa. Quanto costa? Lo compro! E i libri? Non dimenticate i libri posseduti da uno che non ne aveva mai letto uno per intero, presi in blocco e per due lire insieme con il villone di Arcore che includeva la collezione secolare dei conti Casati Stampa, 10 mila libri ben archiviati, compresi quelli erotici, e con la libreria venne il primo segretario, un tale Marcello Dell’Ut r i, che i libri li spolverava ogni mattina e qualcuno persino lo leggeva. Poi ci sono le barche, i canotti, i motoscafi, gli scooter d’acqua per la scorta che presidiava i tramonti del Dottore visti dal ponte del Principessa VaiVia, veliero da 80 piedi, dal Morning Glory e dal Magnum 70. Tutto verrà varato di nuovo, con la bottiglia di Dom Pérignon lanciata sulla chiglia, evviva, mentre le strade, le piazze, gli aeroporti d’Italia, strilleranno il nome: Berlusconi Silvio, politico, imprenditore, miliardario. Tutti dimenticando che giusto 30 anni fa il futuro miliardario doveva portare i libri contabili in tribunale, come suggeriva Franco Tatò, l’ammi – nistratore imposto dalle banche. Dicevano gli analisti della Banca d’Italia che Fininvest aveva 5 lire di debito per ogni lira di capitale. Dall ’abisso – in compagnia di Fedele Confalonieri, Gianni Letta, Cesare Previti, Dell’Utri, tre televisioni e un Bettino Craxi in fuga – tirò fuori il coniglio e il partito. La sua parola d’ordine era: “Sono ricco, non ho bisogno di rubare”. I più poveri e i più ricchi d’Italia gli hanno creduto, anche se per ragioni opposte. Poi sono venuti gli anni di potere, le leggi fatte e disfatte, l’opposizione più stupida d’Europa a spianargli la strada. La santa amicizia con Vladimir Putin, lo Zar che pompa gas per tutti gli oligarchi russi e non russi. In trent ’anni, per il suo bene, ha coltivato soldi. Li ha moltiplicati. Ci ha regalato le barzellette, Emilio Fede, Lele Mora e Giorgia Meloni. La roba buona l’ha messa nel Testamento. Esultiamo.