La Stampa, 6 luglio 2023
Biografia di Stephen Schwarzman
Il 2022 è stato un anno in chiaroscuro per molti investitori, eppure i guadagni dei top manager delle grandi società non hanno conosciuto la parola crisi anche se la distribuzione della ricchezza non è stata omogenea e il regime fiscale ha consentito a molti di incrementare i propri profitti.
Secondo un’analisi della società C-Suite Comp pubblicata dal Wall Street Journal sono nove i Ceo delle oltre quattromila società prese in esame che possono contare su un reddito potenziale di 100 milioni di dollari annui. Nel 2021 erano invece venti. Un calo dovuto al “dimagrimento” dei premi per i top manager che tuttavia non ha impedito ad alcuni di loro di incassare assegni (o detenere stock options) superiori a quelle dell’anno precedente.
Il primo dell’elenco dei Paperoni d’America è Stephen Schwarzman, 76 anni, fondatore e Ceo del gigante del private equity Blackstone, che ha messo insieme fra stock options, azioni vincolate, contanti (ovvero il salario di base vero e proprio), partecipazione dei dividenti e i cosiddetti carried interest (una particolare forma di remunerazione dei manager legata all’utile generato da investimenti e a tassazione avvantaggiata) ben 253 milioni di dollari, staccando di 27 milioni Sundar Pichai, top manager di Alphabet.
Il portafoglio di Schwarzman è aumentato del 50% rispetto al 2021, grazie alle commissioni sugli investimenti e ai carried interest che da soli hanno fruttato 190 milioni di dollari. E proprio quest’ultima forma di retribuzione per i top manager di Wall Street è al centro di un braccio di ferro fra il mondo della finanza e l’Amministrazione Biden. La Casa Bianca la considera una scappatoia per via della bassa tassazione che garantisce. Da qui la volontà di impedire ai consigli di amministrazione delle società di private equity di farvi ricorso. Nel settembre del 2021 Jared Bernstein, consigliere economico senior della Casa Bianca aveva detto in un’intervista alla CNBC che “queste scorciatoie devono essere chiuse”. La linea dell’Amministrazione è che i profitti delle private equity devono essere tassati come reddito personale e non come capital gain, che ha un’imposizione fiscale inferiore. Ma l’opposizione di Wall Street è granitica e le azioni di lobby su Congresso e Amministrazione sono sinora riuscite a far mantenere intatte le norme.
Fra i nove Ceo che hanno guadagnato oltre 100 milioni di dollari – ben sei su dieci gestiscono società che non fanno parte dell’indice S&P 500 – vi sono anche i leader di aziende che non hanno avuto performance favorevoli per gli investitori lo scorso anno. Due sono i casi più evidenti: Hertz e Peloton. Il colosso dell’autonoleggio ha avuto un andamento in Borsa peggiore della media dell’S&P 500 cedendo lo scorso anno ben il 22%. Nei primi sei mesi di quest’anno le quotazioni sono risalite sino a segnare più 20%. Stephen Scherr, ex capo finanziario a Goldman Sachs e ceo di Hertz dal febbraio del 2022, può comunque contare su 182 milioni di paga, di cui 3,4 milioni fra bonus e salario vero e proprio. Il grosso risiede in azioni vincolate che potranno essere riscosse solo a partire dal 2026 e se il valore delle quote sarà per novanta giorni superiore all’attuale livello. Altro caso di società in difficoltà ma con manager potenzialmente ben retribuito è Peloton, le cui azioni nei primi sei mesi sono scese del 3% ma che nel 2022 erano precipitate del 79% per il crollo delle vendite. Barry McCarthy, già financial officer a Spotify e Netflix, ha assunto l’incarico di amministratore delegato nel febbraio del 2022 garantendosi una retribuzione – principalmente in stock options – di 168 milioni di dollari che matureranno mensilmente nell’arco di quattro anni. Entrambi comunque, Scherr e McCarthy, hanno guadagnato più di Tim Cook, che malgrado guidi l’unica compagnia al mondo valutata oltre tremila miliardi di dollari, si deve accontentare di 99 milioni di dollari, due milioni meno di Bill Ready, il numero uno di Pinterest.