Corriere della Sera, 6 luglio 2023
Biografia di Luigi Illica
«Chi son? Sono un poeta./ Che cosa faccio? Scrivo./ E come vivo? Vivo./ In povertà mia lieta/ scialo da gran signore/ rime ed inni d’amore./ Per sogni, per chimere/ e per castelli in aria/ L’anima ho milionaria» canta Rodolfo nella Bohème, ma le parole le ha scritte lui, sono autobiografiche. Bohemienne come uno studente Erasmus, scapigliato come un rapper, giornalista da «tre righe a volo», avventuriero come un naufrago che salpa sedicenne dal porto di Livorno diretto verso mari salgariani, Indie o Americhe che siano, dai quali torna poliglotta, rotto a ogni esperienza, indurito nel carattere ma con savoir faire da signorotto di campagna, mattatore istintivo nell’odio e nell’amore. Bovary c’est moi, disse Flaubert, Rodolfo di certo è lui, Luigi Illica da Castell’Arquato, colline della coppa e dello gnocco fritto, librettista di Puccini, gente a cui piaceva andare in macchina schiacciando forte l’acceleratore della vita, piacevano le donne, piacevano, da guasconi, i sentimenti forti.
In anticipo sul centenario della morte di Puccini (2024) il giornalista e editorialista del «Corriere» Giangiacomo Schiavi ha dedicato a Illica una biografia (Il genio ribelle, edito dalla Fondazione Donatella Ronconi ed Enrica Prati), arricchito di carteggi e con una lettera inedita sul destino dell’artista scritta a Toscanini (è stata ritrovata in un fondo comprato all’asta e aperto un mese fa). Il libro comprende anche testi di Gianni Canova, Massimo Baucia e Carlo Fontana. Nel 1879 Milano odora ancora di fieno e stallatico e davanti ai Magazzini Bocconi ci sono i tram coi cavalli. Illica, ventitreenne, sbarca in stazione, non sa cosa fare e fa il giornalista con uno stile sempre più d’effetto, verista. Finisce pure al «Corriere della Sera» di Torelli Viollier dove poi, alla «Lettura», lavora un altro futuro librettista di Puccini, Giuseppe Giacosa. È il giornalismo, prima del teatro, a dare all’autodidatta Illica la spinta a battersi contro i falsi miti del progresso, quelli del Ballo Excelsior, corrispettivo dell’odierna celebrazione del globalismo. Radicale, ultrademocratico, nazionalista, filoirridentista, Illica fonda il giornale «Don Chisciotte». La tipografia è un’ex stalla di via San Damiano. Tra le rubriche ce n’è una di gossip.
Geniaccio ribelle – fin dalla scuola – Illica lancia una sottoscrizione per gli operai in lotta a Marsiglia, cavalca le proteste di piazza dei giovani garibaldini, finisce sotto processo (assolto) ma ci rimette la direzione del «Don Chisciotte». Con la benedizione dell’amico Giosuè Carducci debutta nella narrativa con Intermezzi drammatici che firma Luigi della Scorziana, uno pseudonimo. Milano lo ha accolto: salotti, caffè Cova, Scala, la conoscenza di Giacosa, che nel 1882 è già un venerato maestro dell’ambiente culturale, prolifico commediografo e multitasking nei generi. Giulio Ricordi, il grande editore musicale, ha messo in gestazione l’idea di portare in sena una Manon Lescaut: spinge un giovane talento di Torre del Lago a uscire dall’indolenza per essere il successore di Verdi: Giacomo Puccini. Per lui, con Giacosa, Illica comporrà i libretti di quattro capolavori: Manon Lescaut, La Bohème, Tosca e Madama Butterfly. Della Bohème i critici scrivono «opera mancata», «non lascerà traccia nella storia della musica», mentre la Butterfly sarà un fiasco.
Con la fama da librettista tutto cambia, salvo lui: il 27 agosto 1884 Illica e Antonio Cuzzocrea si danno appuntamento dietro l’Arcoveggio di Bologna per una sfida a duello «al primo sangue» (si finisce appena uno è ferito). Questioni d’onore e reputazione: il poeta piacentino aveva insultato da un palcoscenico l’avversario. A guardar loro le spalle i padrini: Carducci è a fianco di Illica. Sarà il poeta-accademico a stoppare il duello vedendo Illica sanguinare dal capo. Ha l’orecchio mozzato, «ma tanto non serviva a nulla», commenta dopo la medicazione. Ci sono anche le ferite d’amore, attrici e attricette, e poi ci sono le donne in scena, come la sciagurata Butterfly vittima del turismo sessuale dell’americano Pinkerton. Ma per le donne nei bordelli il libertino Illica chiama alla liberazione: sogna per le sue protagoniste un destino diverso da quello dei suicidi che mette in scena. Acciaccato nella salute, ma vitale nelle idee, a sessant’anni si agita ancora. L’Italia in guerra riaccende i suoi occhi d’acciaio, che già una volta avevano preso la mira dalla trincea. Il 25 maggio 1915 il governo Salandra schiera l’Italia con Francia e Inghilterra contro Austria e Germania e lui chiede di partire volontario per il fronte. In condizioni di normalità sarebbe riformato, anche per l’artrosi. Invece viene arruolato e assegnato alla Terza batteria del 21 artiglieria da campagna. Continua a scrivere ai direttori dei giornali parlando di libertà e quando torna dal fronte si ritira a Castell’Arquato. «Scriveva, scriveva e non dormiva mai», ricorda il musicista Franco Alfano (quello che concluse la Turandot di Puccini), che insieme a Pietro Mascagni, Puccini e alla moglie di Toscanini gli è vicino. Illica muore il 16 novembre 1919. Funerali due giorni dopo. Mascagni in lacrime lo saluta «come un fratello». Telegrammi di cordoglio da Toscanini («amatissimo amico»), Umberto Giordano («indimenticabile») e Giacomo Puccini («tremenda sciagura»).
Anche nei giovani d’oggi c’è molto della sua ribellione e del suo azzardo, il letto sporco di vino, i morsi alla pelle, gli occhi da vipera..., ma non ci sono le opere, e non è differenza da poco.