Corriere della Sera, 6 luglio 2023
Intervista a Zaki che s’è laureato
Felice e rilassato per questo traguardo («e del voto, 110 e lode»). È finalmente dottore Patrick Zaki che ieri ha discusso la sua tesi in collegamento dal Cairo. Niente cerimonia in presenza all’Alma Mater della sua Bologna, dopo che la giustizia egiziana gli ha negato il permesso di lasciare il Paese, mentre su di lui ancora pende l’accusa di diffusione di notizie false. Lui però, da inguaribile ottimista quale è, cerca di concentrarsi «sul lato positivo delle emozioni» e, al telefono, racconta come ha vissuto il giorno della sua laurea.
Durante la discussione hai citato Nelson Mandela e la sua frase «Tutto sembra impossibile, finché non si realizza» pronunciata dal premio Nobel dopo 27 anni nella prigione di Robben Island. Un riferimento personale ai tuoi 22 mesi di cella?
«Sì, ho voluto rendere omaggio a questa figura storica. Mentre ero rinchiuso nel carcere di Tora (uno dei peggiori del mondo, ndr) non sapevo come sarebbe andata a finire, ma non ho mai perso la speranza e ho continuato a lottare. In questo senso una figura così importante è stata sicuramente fonte di ispirazione, una luce cui guardare per non perdersi nell’oscurità della paura».
Prima di essere arrestato ti sei iscritto al master Gemma dedicato agli studi di genere e alle letterature moderne comparate postcoloniali. Per la tesi hai scelto di dedicarti al giornalismo nei Paesi del Medio Oriente e alle discriminazioni delle minoranze. Cosa farà il «dottor» Zaki ora?
(Ride) «In realtà ero già dottore prima (ha conseguito una laurea in Farmacia in Egitto, ndr). Ovviamente quanto accaduto mi ha influenzato incredibilmente. E credo mi abbia anche insegnato parecchio. Sono convinto di voler continuare il mio percorso accademico e allo stesso tempo di voler restare un difensore dei diritti umani; quindi mi candiderò per le posizioni che mi permetteranno di seguire questo percorso».
L’aula dell’Università di Bologna con cui ti sei collegato ieri era al completo. C’erano i tuoi compagni di master, i tuoi amici. Ma anche artisti, attivisti e molti giornalisti. Che effetto ti ha fatto vedere così tanto affetto?
Lo studio rende liberi
Appartengo all’Egitto ma anche all’Italia, alla sua società civile che tanto ha combattuto per me. E all’Università di Bologna che mi ha insegnato cosa l’ambiente accademico può mettere in campo per difendere i diritti umani
«Mi ha riportato ai giorni in cui camminavo in Piazza Maggiore e parlavo con i miei compagni di corso. Spero che un giorno potremo tornare a farlo, da colleghi più consapevoli e maturi di prima ma anche con la stessa spensieratezza degli studenti che eravamo. Io appartengo all’Egitto ma appartengo anche all’Italia, alla sua società civile che tanto ha combattuto per me. E all’Università di Bologna che mi ha insegnato più di tutto cosa l’ambiente accademico può mettere in campo per difendere i diritti umani».
Il tuo processo – dopo una serie infinta di rinvii – non è ancora terminato. E sei ancora sotto accusa per un articolo sulla discriminazione della minoranza copta cui appartieni, per il quale rischi 5 anni di carcere. Cosa ti aspetti?
«La prossima udienza è fissata il 18 luglio. Mi auguro che si risolva al meglio e che mi venga revocato il divieto di espatrio affinché io possa anche continuare la mia carriera accademica, sempre riconoscente del sostegno che ho ricevuto dall’Italia».
Remy la tua fidanzata ieri ha conseguito il tuo stesso diploma ma in presenza a Bologna. Lei, ma anche tua madre e tua sorella: la presenza femminile nella tua vita sembra essere una costante e una certezza. Quanto ti ha influenzato nelle tue scelte?
«Remy è rimasta al mio fianco anche quando sarebbe stato comprensibile non farlo. Da mia madre Hala e mia sorella Marise ho ricevuto forza e sostegno nonostante la situazione fosse pesante e difficile per loro tanto quanto lo era per me. Come non essere grati: mi hanno dato la forza necessaria. E c’è anche un’altra donna che devo ringraziare…»
Alma mater
A Bologna la madre, la sorella e la fidanzata «Spero di tornare in Piazza Maggiore»
Credo si sapere chi è. La professoressa Monticelli, relatrice della tua tesi e tua mentore. Sbaglio?
«Assolutamente no. Mi sono emozionato a vederla dall’altra parte dello schermo e allo stesso tempo mi ha dato forza come sempre: a lei devo tantissimo. Soprattutto per avermi insegnato quanto lo studio renda liberi e quanto la diversità sia ricchezza, forse il regalo più bello che ho ricevuto in questi anni».