Corriere della Sera, 6 luglio 2023
la destra e la svolta che non c’è
È dal giorno della presentazione del suo governo in Parlamento che Giorgia Meloni non si rivolge al Paese. Consumata da una micidiale girandola di incontri internazionali e di impegni istituzionali, sottoposta alla necessità di tamponare gaffe, gesti malaccorti, inadeguatezze di molti dei suoi ministri, aiutata esclusivamente da pochi stretti collaboratori di valore, in tutto questo periodo la sua immagine è arrivata al pubblico solo attraverso qualche dichiarazione/illustrazione di circostanza a proposito di questo o quell’atto di governo, ovvero per qualche improvvisato, casuale, scambio di battute. Non è così però che si rappresenta quella svolta storica che la destra prometteva di essere. Non è così che si rappresenta la guida di una nazione anziché di un partito. Non è così che si costruisce una leadership. Tutte queste cose, infatti, si costruiscono intorno a una visione e alle parole per comunicarla e animarla. Si costruiscono immaginando un’idea del futuro per il Paese. Evocando le speranze che esso nutre, le risorse da mettere in campo per realizzarle, i traguardi da prefiggersi. E si costruisce anche non tacendo le verità scomode, non alimentando illusioni, non nascondendo le difficoltà e gli ostacoli che si frappongono. Le leadership democratiche e le svolte politiche degne di questo nome, quelle che lasciano il segno, si costruiscono così: pensando in grande seppur parlando con la voce di ogni giorno.
E p oi cercando di unire: cioè chiamando a raccolta intorno a sé anche i lontani e gli avversari, non respingendo chi non era tra quelli della prim’ora. Non discriminando ma coinvolgendo.
Non so se Giorgia Meloni sia capace e soprattutto se abbia voglia di cimentarsi con una simile difficile impresa, lei che certamente ha un temperamento di scontro, che predilige la parola immediata e magari aspra piuttosto che essere incline a mettere insieme, alla prospettiva ampia e lunga, al discorso che guarda lontano. Quel che però mi pare di capire è che un gran numero di italiani amerebbe ascoltare proprio quanto ho appena detto. Il voto che nove mesi fa ha premiato in così larga misura Fratelli d’Italia, infatti (e il voto che forse domani potrebbe ancora aggiungersi a quello), non è stato un voto che ha inteso premiare il profilo contrappositivo sul quale FdI aveva fino a quel momento costruito il suo profilo. È stato senz’altro un voto contro la sinistra, contro la sua presa paralizzante e conformista sulla vita pubblica del Paese, ma non è stato perlopiù il voto di anticomunisti arrabbiati (oltretutto con i comunisti ormai scomparsi!), non è stato perlopiù il voto di chi pensa che il bipolarismo debba significare la prosecuzione della guerra civile con altri mezzi o l’apertura della stagione di caccia ai posti occupati finora dall’avversario. In larga maggioranza il voto che ha portato Giorgia Meloni al posto che oggi occupa è stato il voto, viceversa, di chi ha preso sul serio il suo proposito di fare un grande partito conservatore. Ma proprio per questo non ha potuto che essere in gran parte una scommessa anche su di lei, sulla sua persona, sulle sue capacità di cambiare: non solo il Paese ma di cambiare anche se stessa e la sua propria storia (da qui il valore che la posizione immediatamente presa sull’aggressione russa all’Ucraina ha subito acquistato agli occhi di molti). È stata insomma una scommessa sulla sua capacità di dar vita a un partito cauto nel parlare quanto deciso nell’agire, difensore degli interessi nazionali ma non nazionalista, un partito nemico del conformismo progressista ma non del progresso, del giustizialismo ma non della giustizia, interessato più alla crescita dell’economia e dei salari che a quella dei conti in banca dei balneari o degli evasori fiscali. Ma tale scommessa su Giorgia Meloni conteneva anche l’attesa per qualcosa d’altro, per qualcosa di più nascosto e più profondo (e si è trattato di un’attesa, se non m’inganno, condivisa all’indomani del voto in qualche modo anche da chi aveva espresso un voto contrario).
Conteneva la speranza di ascoltare una voce dal timbro nuovo capace di disegnare una prospettiva in cui potessero riconoscersi in molti al di là dell’appartenenza di partito, capace di parlare agli italiani del futuro del loro Paese, capace più che di elencare promesse di chiamare a nuovi impegni ed evocare nuovi orizzonti in vista di quella rifondazione della Repubblica che ormai da troppo tempo è all’ordine del giorno.
Ma questa voce ancora non si è udita. Questa Giorgia Meloni, capace di parlare alto e di guardare lontano, ancora non si è vista. Al suo posto, invece, un presidente del Consiglio sempre un po’ in affanno e pronto a dare sulla voce, dall’aria sempre un po’ corrucciata, una persona sempre più chiusa nel ristretto cerchio dei suoi fedelissimi da un lato e nel circuito del potere e dell’ufficialità dall’altro.