Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  luglio 05 Mercoledì calendario

Il Grand tout d’Europa (e d’Italia)

Il Grand Tour, o viaggio di cultura e di svago attraverso l’Europa, è una pratica assai diffusa le cui variegate, inconfondibili caratteristiche rispondono alla mentalità dell’epoca e alle sue mutazioni. In un arco di tempo che va dal Seicento al primo quarto dell’Ottocento, il Grand Tour ha lasciato tracce profonde nella cultura e, in particolare, nel romanzo, il genere con cui talora si è confuso. I motivi che fanno dei libri di viaggio il genere letterario più diffuso, specie nel Settecento, l’età della ragione, coinvolgono gli aspetti salienti di un’intera epoca. Quando Joseph Addison sostiene che non ci sono libri dai quali si trae maggior diletto di quelli che narrano di viaggi, manifesta lo spirito cosmopolita di un’epoca. Un’epoca, o una civiltà, che vuole conoscere il mondo, che crede nell’idea dell’uomo naturale al quale è possibile, grazie all’ipotetica uniformità della natura umana sotto ogni cielo, comunicare con realtà etniche e culturali diverse, superarne le barriere linguistiche e soprattutto comprenderle nelle loro peculiarità di usi e costumi. Questo ultimo aspetto costituisce, nel secolo dei Lumi, il senso di ciò che è giusto e di ciò che non lo è, promuove l’atteggiamento benevolo verso i propri simili e consente di cogliere ovunque il piacere del nuovo, della varietà, della diversità, nell’ottimistica fede in un comune linguaggio di riferimento e d’intesa.La pubblicazione nel 1768 diSentimental Journey di Laurence Sterne, incrocio fra relazione di viaggio e romanzo, inaugura un nuovo modo di sentire e di descrivere il mondo che ci circonda. Il viaggio di Yorick, protagonista della narrazione di Sterne, prende avvio da un’ottica settecentesca volta a cogliere la supposta comune identità degli uomini inscritta nella loro natura. Tuttavia, proprio nel dedicarsi a questa ricerca, Sterne capovolge l’ottica tradizionale del viaggiatore vecchio stampo, spostando l’indagine dal comportamento esteriore dell’uomo, dai suoi usi e costumi, alla sua vita interiore, focalizzando lo sguardo sulle emozioni, i sentimenti e i moti del cuore. In questo modo, come ogni altro autore, egli si fa specchio idoneo non tanto a riflettere il mondo circostante, quanto a proiettarvi, alterandolo in vario modo, il riflesso dei propri sentimenti e delle proprie reazioni emotive. In questo atteggiamento s’intravede all’orizzonte il viaggiatore romantico il quale, a differenza del suo simile dell’epoca del Lumi, è attratto proprio dall’irriducibilità delle differenze culturali e dei costumi dell’umanità dei paesi visitati. Inoltre, dinanzi al pittoresco, al sublime o all’orrido dei paesaggi che attraversa, prima ancora delle reazioni della ragione, è il suo sentimento a vibrare e, a somiglianza dell’arpa eolica – il celebre simbolo romantico – farsi canto che li descrive, li raffigura e, a suo modo, li ricrea.Per l’uomo contemporaneo il viaggio è un celere e più o meno comodo spostamento da un luogo all’altro del proprio paese, di un continente, del pianeta. Al tempo del Grand Tour dell’Europa, il viaggio di inglesi, francesi, spagnoli, tedeschi, russi, scandinavi, e in un secondo tempo di americani, era un’esperienza unica e basilare che richiedeva un’accurata preparazione, oculatezza e soprattutto organizzazione, a cominciare dalla scelta e dall’allestimento della carrozza. Nella Histoire de ma vie,George Sand ricorda che la carrozza della nonna, instancabile viaggiatrice, era una vera e propria “casa su ruote” le cui tasche erano sempre piene di dolci, profumi, libri, carte da gioco e fazzoletti; mentre John Ruskin narra inPraeterita delle mattinate trascorse con il padre nel rimessaggio di carrozze di Long Acre, a Londra, per procedere alla scelta della vettura che li avrebbe portati in Italia. Tale è all’epoca la passione per le carrozze da viaggio che nel 1816, alla ripresa degli spostamenti continentali dopo il Congresso di Vienna, viene esposto al pubblico londinese il veicolo con il quale Napoleone s’era spostato “come folgore” da una parte all’altra del continente. La stampa britannica lo presenta come il prototipo della carrozza da viaggio e come l’incarnazione dei sogni dei viaggiatori. In ogni stagione le strade dei paesi europei e dell’Italia sono quasi sempre disagevoli e sconnesse, e nei periodi di pioggia sono spesso allagate. Fino quasi a tutto il Settecento, rarissimi sono i ponti, specie quelli di pietra. Sul Reno, per esempio, non c’erano ponti sotto Strasburgo. A nord di Parigi la Senna doveva essere attraversata più volte su chiatte, e il Po, passata Torino, non aveva ponti fino a quello di legno di Ferrara. Fiumi e canali non venivano soltanto attraversati, bensì percorsi come vere e proprie vie d’acqua che supplivano a quelle di terra. Fra le più battute e descritte figura la rete di canali, con le debite chiuse, che collegavano Bologna con Ferrara e con Padova. Da Padova si proseguiva per Venezia navigando sul Brenta. Meta privilegiata del Grand Tour, l’Italia imponeva l’ardua impresa del superamento delle Alpi prima di concedere al viaggiatore la possibilità di godere delle sue attrattive. Dal Moncenisio al San Gottardo, al Sempione e al Brennero, il superamento dei passi viene descritto come una vera e propria prova iniziatica attuata con mezzi e in maniere diverse.Una componente del viaggio materiale è costituita dalle locande di posta le quali, oltre ad essere luoghi di ristoro e di pernottamento, assicuravano il cambio dei cavalli senza il quale sarebbe stato impossibile procedere. Questa è la ragione per cui gli itinerari dei viaggiatori lungo la penisola sono sempre gli stessi, vale a dire quelli serviti dalle locande di posta con i relativi cambi di cavalcature. I viaggiatori del Grand Tour hanno lasciato numerose, divertenti testimonianze su queste locande che molto spesso, specie nei percorsi solitari fra una città e l’altra, si rivelano delle vere e proprie stamberghe e perfino luoghi di ritrovo dei briganti. Stendhal si sofferma sulla malfamata locanda di Pietra Mala, sull’Appennino fra Bologna e Firenze, dove l’ostessa, in combutta con il prete del villaggio, faceva sparire gli avventori dopo averli derubati. Ai confini fra il Granducato di Toscana e lo Stato Pontificio si trovava la locanda di Radicofani che godeva di pessima fama per l’alloggio e per il vitto, Laurence Sterne scrive infatti di esserci rimasto mezzo avvelenato a causa del cibo guasto. Tutto questo ci ricorda che, come ogni altro viaggio dell’epoca, il Grand Tour era sempre un’impresa che richiedeva spirito d’iniziativa e capacità di sopportare i disagi. Era pertanto una pratica che metteva i viaggiatori di qualsiasi categoria, aristocratici e ricchi compresi, su uno stesso piano di temporanea parità. A metà del Settecento, al figlio che si lamenta perché gli si è rotta la carrozza ai piedi delle Alpi, il padre, lord Chesterfield, risponde che questo inconveniente è solo un assaggio di ben altre difficoltà che dovrà affrontare nel viaggio della vita.Il testo, di cui pubblichiamo un estratto, è stato scritto in esclusiva per il volume Grand Tour d’Europa edito da Franco Maria Ricci e pubblicato in collaborazione con Van Cleef & Arpels