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 2023  luglio 05 Mercoledì calendario

Intervista a Nino Frassica

«La prima contentezza - dice Nino Frassica - è stata girare a Scicli, e quindi, nelle pause, poter fare una capatina a casa, riposarmi, tornare a lavorare». Nella commedia di Matteo Pilati L’estate più calda (da domani su Prime Video), ambientato in un’assolata Sicilia del sud, Frassica torna a indossare la tonaca e a declinare, ancora una volta alla sua maniera, una religiosità immersa nell’aria del tempo: «Sono Don Carlo, un tipo di prete che conosco, rispettato da tutti, un po’ stanco. Ho a che fare con un collega giovane, a volte lo capisco, altre no». Ci sarà di sicuro un motivo per cui la carriera dell’attore, nato a Messina nel ’50, è esplosa grazie al ruolo del frate Antonino da Scasazza, ospite fisso nel salotto di Quelli della notte, ed è andata avanti spesso attraverso uomini di fede, dalle diverse qualità. Guai, però, a teorizzare, a chiedere dei rapporti con la fede nella vita reale. Nino Frassica è più riservato di quanto sembra, forse anche perché la sua ricetta di risata sicura si basa sulla negazione di tutto, anzi, sulla distruzione: «Sono un vandalo della comicità, rovino le frasi fatte, i detti ripetuti, i ragionamenti normali. Non ci sto ad accettare la logica così com’è».
Non è la prima volta che fa il sacerdote. Secondo lei perché i registi le affidano questo genere di personaggi?
«È vero, ma non saprei dire perché succeda. In realtà i miei preti li faccio muovere come mi muovo io, bado sempre più all’uomo che alla fede, e mi trovo particolarmente bene quando sono collocati in un ambiente di provincia, come in questo caso, quando non vogliono fare carriera o avere a che fare con il Vaticano. Poi ci sono le eccezioni, nella serie tratta dalla Mafia uccide solo d’estate ero Fra Giacinto, un religioso colluso con la mafia. Non sono un fedelissimo, ma, certo, dopo tanti anni di Don Matteo, mi sono abituato a stare vicino a chi è religioso di mestiere».
Che cosa le ha dato, negli anni, quell’esperienza?
«Tanto. Sono l’unico attore al mondo che quando viene chiamato per girare un film accetta solo dopo essersi assicurato che le pose siano poche. Mi è successo anche ora, nel nuovo film di Leonardo Pieraccioni Pare parecchio Parigi faccio il padre del protagonista, ho chiesto subito la durata dell’impegno. Don Matteo è cresciuto con me, l’ho vissuto in tutto il suo arco, l’ho interpretato calibrandolo su me stesso, me lo sono fatto su misura, tenendo conto dei limiti dovuti al fatto che si tratta di una fiction, dicendo a me stesso "questa battuta la posso dire, quest’altra no". D’altra parte, anche nel cinema, i confini sono imposti dai personaggi che si interpretano».
Le piace di più la tv?
«Mi piace molto il tavolo di Fabio Fazio, che inizia tardi, senza il problema di doversi rivolgere a un pubblico generalista. Grazie a Fabio l’atmosfera è alta, intelligente, lì arrivo e oso, senza pormi problemi».
Dalla prossima stagione il programma non sarà più in Rai, come ha vissuto tutta la vicenda, è stato un trauma?
«Direi che trauma è una parola grossa. Avevo iniziato a sospettare già da un bel po’ che qualcosa stesse succedendo, non arrivavano chiamate né conferme, così Fazio, giustamente, ha deciso di non restare a spasso, di conservare la sua libertà, facendo le stesse cose, ma in un altro posto. E sarà così anche per me».
Qual è stato il più importante incontro professionale?
«Renzo Arbore è il mio padre artistico, devo tutto a lui. Anche se, in fondo, a sceglierlo sono stato io».
In che senso?
«Quando si lavora nello spettacolo è sempre così, si sceglie. Non a caso sono andato a bussare alla sua porta, avrei potuto farlo con Pippo Baudo o con Antonello Falqui, ma ho sentito che dovevo rivolgermi a lui. E lui, a sua volta, ha capito subito, voleva qualcuno che sapesse improvvisare. Sono cresciuto a pane e Alto e gradimento, guardando sempre verso la comicità di Cochi e Renato, con un sottofondo di Totò».
Come nascono le sue gag?
«Mi vengono in mente delle cose, le invento, se mi sembra che possano funzionare me le segno su un foglietto, oppure sul telefonino, poi vado a casa e le scrivo sul computer».
Tempi duri per la satira?
«Per il mio genere di satira no, il mio umorismo non ha la politica come punto di riferimento. La satira politica la fa bene Crozza, è un genere che richiede uno studio particolare, bisogna essere sempre informati. Facendo il vandalo mi sento più libero, distruggo e basta».
Nessuna preparazione?
«Seguo sempre i tg, leggo i giornali, soprattutto i titoli di prima pagina, e poi vado agli spettacoli. C’è una battuta bellissima di Walter Valdi, cabarettista e cantautore, in cui mi ritrovo molto : "Leggo sempre i giornali, se è morto qualcuno che conosco vado ai funerali, altrimenti vado al cinema"».
Le piacerebbe avere un film-consacrazione come è accaduto a Ficarra e Picone con «La stranezza»?
«Certo, sono qui, aspetto».