La Stampa, 5 luglio 2023
Zorro al parcheggio
Il vendicatore di Porta Furba è già una leggenda. È un eroe senza nome che punisce con una bomboletta spray i rei di parcheggio selvaggio. La sua fama sta tracimando dal perimetro di una fermata della metro A sulla via Tuscolana, qualcuno lo ha battezzato «Free Park», che è il tag dell’ignominia che imprime con vernice nera sulle fiancate delle auto, indebitamente lasciate negli stalli riservati ai disabili, sui marciapiedi, ovunque suggerisca la tecnica, tipicamente romana, del «parcheggio creativo».
A volte scrive pure «Fre Park», denunciando una possibile ansia da prestazione, tipica di un neofita del danneggiamento finalizzato alla civilizzazione del coatto. In realtà il nostro scalcinato giustiziere ricorda tra paladini dei reietti più Superciuk che Zorro, il senso del suo suggello d’infamia vorrebbe nell’intenzione forse significare «Free Parking», più coerente come dileggio del bieco parcheggiatore a mentula canis. Non è detto, però, che il suo deturpante monito debba necessariamente corrispondere a un refuso, nel suo eco-fantasticare forse immagina un grande parco libero dove sia concesso a chiunque di muoversi con libertà, anche se con abilità limitate.
Dell’eroe misterioso di Porta Furba in realtà sono passate alle cronache solo poche vittime: la leggenda che sta prendendo corpo narra di un Suv bianco che aveva occupato uno stallo per disabili, senza alcun altro diritto che quello conferito dalla legge dell’«io sono io e voi non siete un c.». Prontamente castigato ora dovrà riverniciare la fiancata, ancor di più sarà additato come una vittima di «Free Park», nessun carrozziere prenderà in carico l’opera di riverginamento di quel simbolo di millantata ipertrofia priapea, senza l’umiliante motteggio consumato dietro alle spalle di chi si sentiva impunibile per immunità da status burino, così in alto nella scala dei valori attribuibili all’ostentatore di opulenza, da farlo fluttuare in alto come il punto di vista di chi guida il suo macchinone, in un empireo di «socaz...ia” collocato assai ben oltre il diritto al parcheggio di persone fragili. Altra sua vittima una Mazda Mx-30 blu buttata in mezzo alla strada, tanto se qualcuno non riesce a passare è perché ha preso la patente alla «Scuola Radio Elettra», non perché chi la parcheggia è un cafone.
Bisogna essere sinceri, per un attimo siamo tutti con lui. È brutto lo so, per primo mi sento in colpa solo di aver per un istante sorriso immaginando la faccia dei buzzurri inviperiti che si ritrovano l’auto così cesellata. Il lato tragico è che nemmeno si renderanno conto del perché.
Lavoro di fantasia, racconto un mondo di favole in cui i cattivi, gli incivili, i prepotenti sono tutti descrivibili nello standard dei due tifosi della Roma, quelli che carica in macchina l’interista Massimo Boldi in «Fratelli d’Italia» (è un film di Neri Parenti, nessuno si agiti!). Purtroppo non è così, o almeno se così fosse forse «Free Park» avrebbe un suo ruolo giustificabile in una grande commedia, sarebbe il nostro Mister Hyde, l’artefice del nostro più belluino istinto a farsi giustizia ripagando brutalità con brutalità. Colui che fa per noi lo sporco lavoro a cui, da civilizzati, ci rifiutiamo di metter mano.
Purtroppo le cose non vanno sempre come nei film. Ogni volta che mi capita di trovare occupato il posto per disabili di mio figlio, il che accade spesso, mi prefiguro sempre chi arriverà alla fine di quell’attesa.
Sogno sempre di trovarmi davanti un essere rozzo e bestiale che almeno mi permetta il lusso immenso di sentirmi migliore di lui. Quasi mai accade, anzi è più facile che arrivi un avvocato azzimato assieme alla sua bella di ritorno dall’apericena, che prova a mettere in discussione il mio diritto a occupare quel parcheggio dopo le 19 (forse confonde un disabile con lo scarico merci). Capita invece che sia una ragazza in tiro da provino, facile per chi vive nel quadrilatero delle tv, colei che ha lasciato la Smart infilata nella rampa per salire un marciapiede, pare che sia proprio della misura giusta e capisco che la tentazione sia tanta. Ancora più spesso mi confronto con le frasi disarmanti di persone esattamente facenti parte della «brava gente», che raccontano di un nonno disabile, di avere un appuntamento dal medico, di un improrogabile impegno di lavoro. Vorrei ogni volta avere avuto la vindice bomboletta a portata di mano, ogni volta però mi confermo nella certezza che non l’avrei comunque usata.
Per questo ora mi vergogno davvero tanto di immaginare, senza pudore alcuno, che «Free Park» spossa allungarsi con la metro, almeno una volta, anche fino a Ottaviano.