la Repubblica, 5 luglio 2023
Nell’azienda italiana che produce i proiettili per Kiev
Era la fabbrica del disonore, quella delle “bombe insanguinate” che uccidevano i civili nello Yemen. Quattro anni dopo la stessa azienda è diventata un «baluardo della democrazia occidentali», con i vertici dell’Unione europea che la spronano a produrre più ordigni per sostenere la resistenza ucraina. Il ritorno della guerra in Europa infatti ha cambiato la bussola etica, capovolgendo la scala di valori creata nella lunga stagione di pace: oggi stiamo tornando rapidamente alle dinamiche degli anni Ottanta, quelle che hanno preceduto la caduta del Muro. All’improvviso le industrie che costruiscono cannoni, missili e soprattutto munizioni non sono più scomode, né reiette: la reputazione è stata smacchiata, con tanto di benedizione delle istituzioni europee e nazionali che concedono fondi per moltiplicare le catene di montaggio. Così la RWM Italia, testa a Ghedi (Brescia) e impianto principale a Domusnovas in Sardegna, da negletta si è ritrovata protagonista. Non più messa all’indice, ma corteggiata dai governi che ambiscono all’oggetto più richiesto nel continente: i proiettili per l’artiglieria pesante, indispensabili per fermare l’esercito di Putin e rifornire gli arsenali vuoti della Nato.
È una società antica, che ha fatto la storia degli esplosivi civili e militari nel nostro Paese e poi è stata ceduta al gruppo tedesco Rheinmetall, mantenendo management e gestione completamente italiane. Nel 2016 è entrata all’improvviso nell’occhio del ciclone per le forniture di bombe d’aereo destinate ad Arabia Saudita e Emirati Arabi: un contratto approvato dall’esecutivo Renzi con tutti i crismi di legge ma diventato intollerabile nel 2019 per quello guidato da Giuseppe Conte. Le denunce sui massacri di civili nello Yemen avevano alimentato una campagna d’opinione condotta da numerose Ong, trasformata in iniziativa parlamentare dal M5S e poi approvata dalle Camere senza voti contrari. «Davanti alle immagini di quel che accade in Yemen ormai da diversi anni, non posso restare in silenzio. Se lo facessi, sarei un’ipocrita», aveva scritto sui social l’allora ministra pentastellata della Difesa Elisabetta Trenta.
Il bando alle esportazioni aveva causato una profonda crisi diplomatica con gli Emirati Arabi, con ripercussioni sui rapporti militari ed economici. E col tempo gli interessi in gioco nel Golfo sono stati più forti della mobilitazione umanitaria: una trattativa iniziata dal premier Mario Draghi e conclusa da Giorgia Meloni ha cancellato questi divieti all’export bellico, prendendo atto della tregua che ha migliorato le condizioni nello Yemen.
Contrariamente alle voci, nel frattempo la RWM Italia non ha né licenziato, né delocalizzato all’estero gli impianti, che danno oggi lavoro a 480 persone. All’inizio del 2022 erano trecento e adesso potrebbe assumerne altre cento, perché l’invasione russa e le altre tensioni geopolitiche nel mondo, in particolare nel Sud-Est asiatico, l’hanno sommersa di richieste di ogni tipo di munizionamento. L’azienda ha ampliato e diversificato la propria produzione: in questo momento ha commesse per confezionare 23mila proiettili destinate all’Ucraina. Probabilmente si tratta del contributo più importante del nostro Paese all’esercito di Kiev. Sono colpi da 155 millimetri per l’artiglieria campale e da 120 millimetri per i tank Leopard 2: gli elementi decisivi da cui dipende l’esito della controffensiva per liberare i territori occupati.
Contrariamente ad altre società europee che non trovano materie prime ed esplosivi, RWM ha una filiera mondiale che comprende anche gli Stati Uniti e così può soddisfare subito gli ordini. In teoria, potrebbe più che raddoppiarli e passare da 10mila a 25mila munizioni l’anno da 155 millimetri e altrettanti da 120 millimetri con pochi investimenti, senza mettere a rischio le altre commesse strategiche per la Nato e per gli alleati come le bombe per i caccia F-35, Eurofighter e Rafale. A Domusnovas infatti con un investimento di 50 milioni è stato costruito un secondo impianto: dopo averlo terminato, il Consiglio di Stato ha però ritenuto insufficienti i permessi già rilasciati da Comune e Regione imponendo ulteriori autorizzazioni. La struttura resta ferma mentre i rappresentanti dell’Ue sollecitano ai dirigenti dell’azienda di trovare un modo per aumentare i ritmi e sostenere l’impegno europeo a trasferire quanto prima un milione di proiettili all’Ucraina: la sola fabbrica sarda potrebbe garantirne il 5 per cento. «Il conflitto è alle nostre porte – ha detto a Bruxelles il ministro della Difesa svedese Pål Jonson, a nome della presidenza dell’Unione – L’industria militare europea sta affrontando sfide senza precedenti per far fronte alla nuova realtà e alle lacune esistenti. Dobbiamo fare tutto il possibile per aiutare la base industriale a produrre di più, per la nostra sicurezza e per la capacità dell’Ucraina di respingere un’ingiusta aggressione». Corsi e ricorsi storici. Il Parlamento che nel 2019 ha messo al bando le bombe, ora discute la ratifica della legge Ue che impone la «disponibilità tempestiva» dei proiettili: sarà votata oggi. «L’invasione dell’Ucraina ha cambiato tutto – ha detto ieri la presidente della Commissione Esteri Stefania Craxi – La pace disarmata non esiste: senza la sicurezza non possiamo difendere i nostri valori».