Corriere della Sera, 5 luglio 2023
Il ritorno del Niño
Nelle ultime settimane i segni erano evidenti ma ora non ci sono più dubbi. L’ancora in parte misterioso fenomeno «El Niño» è adesso in pieno svolgimento riscaldando le acque dell’Oceano Pacifico meridionale. Le preoccupazioni per le sue conseguenze climatiche sul continente americano e nel Sud del pianeta si accentuano man mano che la «Noaa», la National Oceanic and Atmospheric Organisation statunitense fornisce i dati in crescita sulle temperature oceaniche raccolte dai satelliti. «El Niño» (il bambinello), battezzato così perché avviene a cavallo dell’inverno, è un fenomeno che interessa il Pacifico e l’atmosfera soprastante sovvertendo la nomale circolazione delle rispettive correnti innescando eventi meteorologici estremi e devastanti.
Il fenomeno nasce nella fascia equatoriale davanti alle coste peruviane ed è ben conosciuto sin dalla civiltà Inca che costruiva fortificazioni per difendersi meglio dal clima impazzito scatenato. Avviene in media ogni cinque anni (ora mancava da 7) e si alterna con la «Niña», che invece di far salire il termometro lo abbassa. Con «El Niño» la temperatura delle acque si alza da mezzo grado a un grado e mezzo a seconda dei momenti e dei punti trasferendo il calore all’atmosfera, ma può andare anche oltre. Di conseguenza la maggiore umidità nell’aria alimenta tempeste sempre più violente in diverse zone del globo oppure, per lo stravolgimento climatico conseguente, siccità in altre. Maggiori precipitazioni e frequenti tornado interessano l’America centro meridionale.
Imponente uragani crescono sull’intera area del Pacifico meridionale investendo l’Australia settentrionale creando le condizioni per estesi periodi di siccità nell’Africa centro-occidentale fino all’Indonesia. Negli ultimi 15 anni i danni causati da «El Niño» solo negli Stati Uniti sono stati valutati in 25 miliardi di dollari.
Le peggiori manifestazioni degli ultimi decenni sono avvenute nel 1983/84, nel 1997/98 e nell’ultima del 2017/18 quando l’oceano è sale addirittura di tre gradi centigradi.
Questo nell’atmosfera. Nelle acque, invece, la corrente calda diventa povera di alimenti nutritivi influendo sugli equilibri degli animali marini fino a provocare conseguenze altrettanto negative all’economia delle popolazioni sudamericane di Ecuador, Perù e Cile che vivono della pesca. «Le spiegazioni sulle cause di questo fenomeno caotico possono dipendere dalla geometria e dalle dimensioni dell’oceano, dalle sue profondità – spiega Antonio Navarra, presidente del Centro Euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici e docente di climatologia all’università di Bologna». Ma negli ultimi anni siamo riusciti a studiarlo meglio riuscendo anche a prevedere quando si innesca». «Quando la temperatura oceanica raggiunge dei record – prosegue Navarra – l’effetto diventa completamente planetario e quindi può raggiungere anche l’Europa spostando verso sud le correnti aeree normalmente più settentrionali».
Intanto sull’Italia si profila l’arrivo di un’ondata di calore per l’weekend provocata dall’anticiclone africano che investirà tutta la Penisola. Ma questa non ha alcun legame con «El Niño» ancora alle fasi iniziali. «Passeremo dai temporali di metà settimana – precisa Carlo Cacciamani, direttore dell’agenzia meteorologica nazionale Italia Meteo – al supercaldo che potrebbe portare le temperature in alcune zone della pianura padana e in Sardegna intorno ai 40 gradi soprattutto se il caldo persisterà».