Corriere della Sera, 5 luglio 2023
La strategia della Russia sul grano, spiegata bene
L’accordo sul grano tra Ucraina e Russia sin dalla sua firma quasi un anno fa è sempre stato motivo di grandi speranze e allo stesso tempo cocenti delusioni. Oggi Mosca torna a puntare i piedi, protesta per l’embargo sui suoi porti, e dichiara che non prolungherà il suo impegno, dopo l’ultimo rinnovo due mesi fa. Salvo ripensamenti, pare dunque che l’accordo sia destinato a terminare il prossimo 17 luglio. Va aggiunto che già in passato l’intero meccanismo del trasporto dei prodotti agricoli è sembrato più volte fallire, salvo poi venire rimesso in vita grazie all’intervento della comunità internazionale e in particolare di Turchia e Nazioni Unite, che ne sono i promotori e garanti diretti. Proprio a causa della sua fragilità, di fatto le navi militari russe hanno ripetutamente interrotto il traffico con i porti ucraini del Mar Nero, il governo di Kiev negli ultimi mesi ha aperto e potenziato vie di comunicazione alternative con i porti rumeni sul delta del Danubio e incrementato l’export via terra sia con la Romania che la Polonia.
Bisogna però sottolineare che i negoziati all’inizio dell’estate scorsa per cercare di garantire l’apertura dei porti sul Mar Nero al Paese noto come «il granaio del mondo» vennero salutati come il possibile inizio di un concreto dialogo tra Mosca e Kiev per arrivare al cessate il fuoco e alla fine della guerra. L’invasione voluta da Putin stava infatti grandemente preoccupando la comunità internazionale anche per le ripercussioni sulla fame nel mondo e la carenza di grano sui mercati. Il governo Zelensky accusava Putin di stare trasformando il ricatto del grano in un’arma letale destinata a gravare sui poveri della Terra. In Africa, America Latina e Asia l’aumento del prezzo del pane stava destabilizzando intere regioni già penalizzate dalla siccità e dai mutamenti climatici. Nel giugno 2022 l’Onu denunciava che la guerra stava affamando quasi 50 milioni di persone e ricordava che i 45 milioni di tonnellate di grano e mais prodotti annualmente dall’Ucraina erano adesso bloccati nei silos minacciati dalle bombe russe. I media ucraini sottolineavano che circa 20 milioni di tonnellate erano ferme nella zona di Odessa. L’impossibilità di immagazzinare nuove derrate nei silos già pieni per il mancato import spingeva i contadini a rimandare il raccolto col rischio di perdere un’intera annata di lavoro.
Già a metà aprile il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, e il segretario dell’Onu, Antonio Guterres, avviarono colloqui informali per cercare di trovare una via d’uscita. L’impegno umanitario divenne così la chiave di volta per la loro mediazione tra Putin e Zelensky, che comunque non ebbero mai colloqui diretti. Così, il 22 luglio 2022 venne firmato a Istanbul l’accordo per il trasporto del grano e altri prodotti ucraini attraverso il Mar Nero con la presenza del ministro della Difesa russo Sergei Shoigu e del ministro delle Infrastrutture ucraino Oleksandr Kubrakov. Per Erdogan fu un momento di grande prestigio internazionale: parve che potesse a quel punto giocare da mediatore tra Zelensky e Putin. Ma fu lo stesso presidente russo poche settimane dopo a fare capire che non c’era spazio per alcun compromesso e negoziato di pace.
L’accordo in ogni caso partì bene. Un centinaio di navi cargo bloccate nei porti attorno ad Odessa sin dall’inizio dell’invasione russa poterono salpare alla volta degli scali turchi lungo il Bosforo dove, come previsto dalle intese, alcuni team di commissari russi, ucraini, turchi e dell’Onu avevano il compito di verificare i carichi nelle stive. Da allora un migliaio di navi hanno potuto transitare, trasportando circa 33 milioni di tonnellate di prodotti agricoli inviati in oltre 45 Paesi.