Il Post, 5 luglio 2023
Già il mese prossimo il Giappone potrebbe iniziare a disperdere nell’oceano Pacifico l’acqua radioattiva accumulata nell’ex centrale nucleare di Fukushima Daiichi, danneggiata dal grande tsunami del 2011
Già il mese prossimo il Giappone potrebbe iniziare a disperdere nell’oceano Pacifico l’acqua radioattiva accumulata nell’ex centrale nucleare di Fukushima Daiichi, danneggiata dal grande tsunami del 2011. Il 4 luglio l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (IAEA), un’organizzazione autonoma all’interno del sistema delle Nazioni Unite, ha detto che il piano giapponese per effondere gradualmente l’acqua nel Pacifico nel corso dei prossimi decenni rispetta le sue regole di sicurezza. Era l’ultima importante certificazione che serviva alla Tokyo Electric Power Company (Tepco), l’azienda energetica che gestisce la centrale, per cominciarne la dismissione.
L’acqua in questione è sia quella che è stata usata per raffreddare le barre di combustibile nucleare della centrale subito dopo l’incidente del 2011 e mantenerle alla giusta temperatura da allora in poi (ancora oggi), sia quella piovuta o penetrata dal suolo all’interno degli edifici dei reattori nucleari prima che fossero isolati. È contaminata da alcune sostanze radioattive, anche se è stata sottoposta a un processo di filtraggio che ne ha rimosse la maggior parte. Complessivamente sono 1,33 milioni di tonnellate (pari all’acqua contenuta in più di 500 piscine olimpioniche), che si trovano all’interno di più di mille grandi serbatoi.
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Per rimuovere dall’acqua quasi tutti i 64 elementi radioattivi assorbiti dal combustibile nucleare è stato usato un sistema chiamato ALPS, acronimo dell’inglese “Advanced Liquid Processing System”, che sostanzialmente è composto da una sequenza di filtri chimici che trattengono quasi del tutto le diverse sostanze. L’acqua che ne esce non è però priva di contaminazioni: alcuni elementi non possono essere rimossi né con ALPS né con altre tecnologie disponibili, almeno a certe concentrazioni. Il principale è il trizio, un isotopo radioattivo dell’idrogeno naturalmente presente nell’acqua del mare e nell’atmosfera: è estremamente difficile separarlo dall’acqua dato che chimicamente è molto simile all’idrogeno, uno dei due elementi che la compongono.
Il trizio è considerato poco pericoloso per la salute umana perché non può penetrare attraverso la pelle, sebbene possa avere degli effetti sulle molecole del DNA. Può però essere inalato o ingerito se si trova nell’acqua o nel cibo. Dato che gli scienziati pensano che in grandi quantità possa essere dannoso, in tutto il mondo sono stati fissati dei limiti sulla quantità di trizio che può essere contenuto nell’acqua potabile; variano molto tra i paesi in base al livello di cautela scelto.
In Italia e negli altri paesi dell’Unione Europea deve essere inferiore ai 100 becquerel per litro, negli Stati Uniti inferiore a 740, mentre il limite fissato dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) è molto più alto, pari a 10mila becquerel per litro (il becquerel è l’unità di misura dell’attività di un radionuclide, che corrisponde a un decadimento al secondo).
Il piano del governo giapponese prevede di diluire l’acqua contaminata di Fukushima con acqua di mare fino ad arrivare a una quantità di trizio inferiore ai 1.500 becquerel per litro prima di riversarla nell’oceano, dove sarà ulteriormente diluita, tanto da non influire in modo apprezzabile sulla naturale concentrazione di trizio nell’oceano. In Giappone il limite legale per la presenza di trizio nell’acqua è di 60mila becquerel per litro.
L’altro elemento radioattivo che non si riesce a rimuovere del tutto con il sistema ALPS è il carbonio-14, che secondo TEPCO nei serbatoi di Fukushima ha una concentrazione al di sotto del limite del 2 per cento fissato dalle regole internazionali: la società ha detto inoltre che la concentrazione sarà ulteriormente ridotta attraverso la diluizione con l’acqua di mare.
Nel rapporto diffuso martedì e realizzato dopo due anni di studi di esperti di sicurezza nucleare di 11 paesi, l’IAEA ha detto che la dispersione dell’acqua contaminata di Fukushima nelle modalità previste dal piano della TEPCO avrà un effetto trascurabile sull’ambiente e sulle persone.
Alcuni paesi vicini al Giappone e vari biologi hanno tuttavia espresso dei dubbi sulla sicurezza della dispersione dell’acqua e in particolare sulle possibili conseguenze dell’accumulo delle sostanze radioattive all’interno degli organismi marini attraverso la catena alimentare. Non preoccupa tanto la quantità di sostanze radioattive che un singolo pesce assorbirà dall’acqua, insomma, ma quella che si accumulerà soprattutto negli animali più grossi attraverso l’alimentazione, sebbene non si peschi più nell’area con raggio di 3 chilometri attorno alla centrale.
«L’effetto della chimica della diluizione è invalidato dalla biologia dell’oceano», ha detto a Nature Robert Richmond, biologo marino dell’Università delle Hawaii; è uno dei cinque scienziati che stanno facendo da consulente sulla questione dell’acqua di Fukushima per il Pacific Islands Forum, un’organizzazione intergovernativa che riunisce 18 paesi del Pacifico, tra cui l’Australia, le Fiji e la Papua Nuova Guinea. Secondo Richmond, che ha studiato il piano della TEPCO e visitato la centrale di Fukushima, rimangono alcuni dubbi sulla sicurezza della dispersione dell’acqua.
Shigeyoshi Otosaka, un oceanografo e chimico marino dell’Università di Tokyo, ha spiegato sempre a Nature che la comunità scientifica non conosce ancora con esattezza quali possano essere le conseguenze dell’accumulo di sostanze radioattive negli organismi marini. La TEPCO ha realizzato degli esperimenti di laboratorio in cui ha fatto crescere alcuni organismi all’interno di acqua trattata dal sistema ALPS e sostiene che le concentrazioni di trizio non superino le soglie di sicurezza. L’azienda e il governo giapponese hanno inoltre sottolineato più volte che in molte parti del mondo le centrali nucleari disperdono in mare acqua contenente trizio, anche in concentrazioni maggiori.
La ragione per cui nel 2021 la TEPCO e il governo giapponese avevano deciso di disperdere l’acqua contaminata di Fukushima nell’oceano era che lo spazio per mettere nuovi serbatoi nel sito della centrale stava finendo e quello attualmente occupato dai serbatoi esistenti servirà per realizzare nuovi impianti per il trattamento dei materiali radioattivi della centrale. Era necessario insomma trovare una destinazione alternativa per l’acqua: l’alternativa che era stata considerata era di lasciarla evaporare nell’atmosfera, come era stato fatto nel 1979 dopo l’incidente della centrale nucleare statunitense di Three Mile Island, ma così facendo si avrebbe avuto un minore controllo sui livelli di sostanze radioattive disperse nell’ambiente.
L’IAEA supervisionerà il processo di dispersione dell’acqua per tutta la sua durata, almeno quarant’anni, per controllare in maniera continuativa i livelli di radioattività. Avrà anche un ufficio permanente a Fukushima.