Avvenire, 5 luglio 2023
Ora anche lo sportivo è un lavoratore
Sabato scorso (e a pensarci bene non poteva che succedere di sabato) è entrata in vigore una epocale riforma che introduce, finalmente, il “lavoro sportivo” nel nostro Paese.
E allora perdonatemi se, per una volta, parlo della mia esperienza personale, dei miei 25 anni dedicati allo sport. Forse sarà per tutti quei sabati e quelle domeniche passate in ritiro o sui campi di gioco. O per tutti gli altri giorni festivi, quelli in cui lavoratori e lavoratrici, giustamente, riposano. O per i pranzi di Natale passati in autogrill andando a giocare da qualche parte. Sarà, forse, per quel desiderio di dedicare la mia vita allo sport, nonostante chi mi consigliava di “trovarmi un lavoro vero”. Sarà perché dopo 25 anni di carriera, fra categorie minori, serie A e Nazionale, non mi sono mai potuto definire un lavoratore. Sarà perché per quei 25 anni non ho messo da parte un euro di previdenza, perché l’Inps, di quelli come me, ignorava l’esistenza. Sarà per la fortuna di non aver mai avuto un problema di salute serio che mi tenesse lontano da ciò che amavo fare e che mi permetteva di vivere. Sarà perché il problema più serio che ho avuto mi è successo proprio in palestra, quando mi ruppi il tendine di Achille e non potendo contare sulla tutela della mutua, andavo in panchina in sedia a rotelle. Sarà che per quelli come me il Tfr è un acronimo sconosciuto, mentre i contratti stracciati, le riduzioni arbitrarie di stipendio, gli stipendi che arrivano in ritardo, o non arrivano proprio, sono una realtà ben nota. Sarà perché quelli come me non potevano entrare in una banca per chiedere un mutuo, perché nessuna banca lo avrebbe mai concesso. Sarà perché sono nato uomo, perché se fossi nato donna probabilmente non avrei potuto fare quello che ho fatto.
Sarà per la somma di tutte queste ragioni che credo che il 1° luglio scorso sia un giorno epocale per lo sport. Sia chiaro, nessun rimpianto. Rifarei tutto, sono stato enormemente fortunato: ho avuto la carriera che sognavo, ho guadagnato bene, ho conosciuto persone straordinarie, ho girato letteralmente il mondo e ho imparato tutto ciò che so grazie allo sport.
Questa riforma, naturalmente, non ha valore retroattivo, per cui ciò che è stato è stato. Mi tengo tutto quello che lo sport mi ha regalato come un tesoro prezioso, nonostante non mi sia mai potuto definire un lavoratore. Tuttavia, proprio perché lo sport mi ha insegnato che quello che è stato non serve ad altro che a preparare quello che verrà, sperando che sia migliore, sono felice. Felice per chi da ora potrà dire, con orgoglio, di “lavorare” nello sport. Questa legge andrà certamente migliorata per garantirne la sostenibilità, senza pesare soprattutto sulle piccole società che svolgono un’insostituibile funzione sociale e spesso si fondano sul volontariato, ma il 1° luglio 2023 rappresenta un punto di partenza per tutto il mondo sportivo: quello del riconoscimento di diritti, tutele e, soprattutto, dignità di chi lavora (finalmente lo si può dire!) in alcuni fortunati casi per raggiungere una medaglia olimpica, ma che, sempre e senza eccezioni, lavora per regalare al nostro Paese, cultura, educazione, inclusione e benessere psicofisico