il Fatto Quotidiano, 4 luglio 2023
Ancora su Sgarbi, Morgan e Giuli
Però le scuse sono un po’ penose.
Le repliche non stanno meglio.
Così i commenti, l’arrangiarsi, il fingere imbarazzo, il richiamare all’appello gli ultimi brandelli di un antico timore. È tutto un teatrino sbiadito quello che gira attorno al settantenne Vittorio Sgarbi e al cinquantenne Morgan dopo l’esibizione sul palco del Maxxi.
Partiamo dall’inizio.
Alessandro Giuli è un giornalista con l’aura del professionista di destra in possesso di alcuni “però” fondamentali, sui quali gioca da tempo: è di destra “però” è intelligente, “però” è preparato, “però” è simpatico, “però” alla fine è democratico, “però” è meglio di molti altri giornalisti di destra, meno intelligenti, meno preparati, meno simpatici e meno democratici.
Insomma, rassicura, mette la famosa intellighenzia di sinistra in condizione di respirare e credere che in fondo si può convivere (convivere nel senso di sopravvivere).
Alessandro Giuli, il nuovo modello culturale che avanza, è avanzato con la grandissima novità di invitare Vittorio Sgarbi e Morgan al Maxxi, un museo che dovrebbe offrire una visione non solo contemporanea, ma uno sguardo migliore sul futuro.
E cosa c’è di più futuribile di un settantenne che replica se stesso da oltre trent’anni?
E di un cinquantenne, in teoria di sinistra, che da circa venti cerca, in ogni modo, un riflettore per sopravvivere (pure lui…)?
E qui è scontato l’effetto stupefacente e a cascata la nascita delle altre posizioni inevitabilmente scontate: i sorrisi complici di Giuli, gli arrocchi successivi di Sgarbi che parla di stupide accuse della sinistra; e ancora di alcuni articoli che scomodano il tema dell’arte. Perché Sgarbi sarebbe (secondo condizionale) arte, in ogni sua forma, perché alla fine è provocatorio come Dalì, situazionista come Gallizio, va al bagno come Manzoni (l’artista, per carità), illumina le tenebre dell’anima come Caravaggio, conquista le donne meglio di Picasso, aggredisce con più baldanza di Van Gogh, ribalta la realtà come neanche Magritte. E chi non lo capisce è una capra, per dirla alla Sgarbi.
Capra pure chi non coglie l’orecchio musicale di Morgan. Lui canta De André, mica i Ricchi e Poveri, cita Enzo Jannacci, mica Toto Cutugno, conosce a memoria Luigi Tenco, non uno sbarbatello qualsiasi.
Una mente del genere non può che essere un genio non capito da questa società di mediocri.
E ancora sono scontati i commenti sui giornali scritti quasi solo da donne, come se il vivere comune e civile fosse solo appannaggio del sesso offeso e gli uomini dovessero scusarsi o quantomeno tacere.
E no, qui siamo coinvolti tutti.
Allora non sono scontate le parole scritte dai dipendenti, sono loro a rischiare in prima persona, la faccia l’hanno messa, anzi più della faccia: c’è uno scritto. E i documenti restano, conquistano uno spazio stabile negli archivi e nella nostra memoria; e poi non è scontata la replica di Amadeus, uno da sempre non schierato, ora obbligato ad alzare il dito. Così come resteranno nella memoria le risate dei presenti davanti al consumato teatrino dei tre maschi: neanche un fischio, dei begli applausi, come se fossero a un concerto degli Who o dei Rolling Stones, come a dire, con non velata benevolenza a misto stupore: hai visto questi? Ancora sono in grado di replicare se stessi.
Ecco, Petrolini aveva ragione: il problema non è lo scemo che fischia dalla balconata, ma gli altri che non lo buttano di sotto.