la Repubblica, 4 luglio 2023
Parla Tittìa, il fantino dei record del Palio
È il giorno dopo il trionfo al Palio di Provenzano e i contradaioli della Selva, quando lo incontrano, ancora lo abbracciano, se lo stropicciano un po’, fanno due parole e magari un selfie. Lui si presta, sempre sotto lo sguardo vigile dei “guardia-fantino”: un gruppetto di ventenni che lo segue ovunque, per evitare problemi in caso di incontri spiacevoli con le contrade nemiche.
Giovanni Atzeni a 38 anni è diventato un mito del Palio di Siena, per le sue cinque vittorie consecutive. In totale i trionfi sono stati dieci in 36 partecipazioni. Lo chiamano Tittìa ,cioè «che freddo»: l’esclamazione che faceva da ragazzo, appena arrivato dalla Sardegna, entrando al mattino nella stalla. «Di solito non parlo tanto», si scusa l’uomo che qui ormai chiamano leggenda mentre siede al tavolino di un bar di piazza del Campo. I guardia-fantino osservano e si rinfrescano con una birra.
Ha avuto tempo di ripensare al suo quinto Palio consecutivo?
«La “mossa” è stata lunga, circa 45 minuti, e difficile. Quando sono uscito, speravo di avere un buon posto al canapo e mi è andata bene.
Sapevo di essere favorito: avevo un cavallo forte, gareggiavo per una contrada importante. Un posto sbagliato al canapo avrebbe potuto sciupare tutto».
E invece è andata benissimo. È stato in testa dall’inizio alla fine.
«Ho solo pensato a mettermi davanti.
Dopo qualche metro sono scattato e sono andato molto bene. Conoscevo la cavalla, Violenta da Clodia, ci avevo già vinto un Palio. Mi sono detto: se non faccio errori grossissimi, questo lo porto a casa».
C’è spazio per la paura, mentre si corre sul tufo di piazza del Campo?
«No, non quando sei in gara. Quella ce l’hai, anche tanta, i giorni prima e fino alla mattina della corsa. Come dico a mio figlio: ho più paura di tutti.
Ma quando arrivi al canapo è vita o morte, non c’è mezza misura. A quel punto la paura non esiste più, al suo posto arriva la fame di vincere».
A proposito: lei è già recordman con cinque trionfi consecutivi. Quali sono, ora, i suoi obiettivi?
«Si va anno per anno. Ogni vittoria ti cambia la carriera e la vita in meglio.
Aceto, che ha vinto 14 Palii, ha corso fino a 52, 53 anni e io ne ho 38. Non mi pongo obiettivi, voglio fare bene e continuare su questa strada. Arrivare molto, molto in là. Ma devo stare attento: più in alto vai, più si aspettano da te e più la caduta può far male. Intanto correrò da favorito il prossimo Palio, speriamo bene».
Lei ha corso molto, in palii diversi. Perché Siena è particolare?
«È il massimo per qualsiasi fantino.
Perché ha una storia millenaria, perché questa piazza è unica, perché c’è la spinta delle contrade e di tuttala città. E poi è una sfida conosciuta in tutto il mondo. Qui si confrontano i dieci fantini più forti che ci sono».
Quando pesano sulla corsa le tensioni tra le contrade?
«Io imposto il mio Palio. Mi piace avere rapporti con le contrade. Ho vinto con tante, e porto sempre rispetto a quelle che mi stanno vicino. Ho ottimi rapporti con molti e questo mi dà tranquillità. Poi, quando scende il canapo, ognuno fa il suo».
Da quanto tempo vive a Siena?
«Da vent’anni, prima stavo in Sardegna. Sono nato in Germania.
Mio babbo, che faceva il muratore, era emigrato e ha conosciuto lì mia madre, che è tedesca. Lui ha sempre avuto cavalli da corsa. Io ho iniziato presto a partecipare in Sardegna apaliotti ,piccoli palii che a quei tempi si potevano correre anche da minorenni. Lì ho conosciuto il fantino Trecciolino, Luigi Bruschelli, che mi ha invitato a Siena. Il sogno è sempre stato quello di vincere un palio qui: è l’obiettivo da raggiungere per chi fa il mio lavoro».
Ha una scuderia . Quanti cavalli possiede?
«Tanti, troppi, ho perso il conto.
Comunque diciotto sono da gara.
Due hanno fatto l’ultimo Palio, gli altri sono da ippodromo».
Gli animalisti attaccano la manifestazione di Siena. Cosa si sente di dire a queste persone?
«Che devono venire qui a vedere come teniamo i cavalli. Sono bellissimi, curati come persone.
Siena ama i cavalli. Per noi che abbiamo le scuderie sono davvero come figli».
Quanto tempo passa a cavallo ogni giorno?
«Tanto. La mattina alleno quelli da corsa per sei o sette ore, poi la sera esco per allenarmi io. Inoltre cerco di mangiare sano e due o tre volte a settimana faccio un po’ di palestra.
Ma la preparazione non basta, per vincere ci vuole il talento naturale. Io crescendo ho imparato da tanti, ho avuto la fortuna di lavorare nella scuderia di Trecciolino, mi ha insegnato tutto. Adesso corro una decina di palii all’anno. Ho vinto tre volte quello di Asti».
Vorrebbe che suo figlio seguisse le sue orme?
«Va a cavallo da quando è piccolo. Ha un bel talento e anche passione ma io, come la mamma, spero che faccia altro. Vorrei che diventasse alto due metri, non 1.72 come me, e non si ponesse il problema, che prendesse un’altra strada. Dico sempre che a fine carriera voglio una vita serena.
Adesso affronto emozioni fortissime. Ma un conto è provarle sulla tua pelle, un altro è pensare che debba sopportarle anche tuo figlio. Ecco, non ho voglia di vederlo fare la mia vita. È troppo dura».