la Repubblica, 4 luglio 2023
I misteri di Acamar, il sapiens trovato nel Po
Capita, se sei un paleoantropologo. Davide Persico, professore all’università di Parma e direttore scientifico del museo di storia naturale dell’ateneo, passeggiava lungo il Po per un’escursione di birdwatching. Anziché guardare in su, come gli altri compagni di gita, da buon cacciatore di fossili si è fatto attirare da una piccola macchia bruna che spuntava dalla sabbia del fiume. «Ho capito subito che era un reperto arcaico». Persico non poteva sbagliare, di fronte al frammento di un cranio di Homo sapiens del paleolitico, l’unico mai apparso nella valle padana. «Fosse stato due centimetri più sotto, non l’avrei visto». Il ritrovamento è avvenuto a settembre dell’anno scorso a Isola Serafini, poco a valle della confluenza con l’Adda, in provincia di Piacenza, durante una magra eccezionale del Po. Il teschio è stato battezzato Acamar, come la stella della costellazione Eridano, che ha una andamento simile a quel tratto del fiume.
«È la parte posteriore e superiore di un cranio umano. Nell’area occipitale, quella posteriore, si notava una sporgenza anomala. Nei sapiens moderni non è presente. Doveva trattarsi di un uomo molto antico». Le analisi per la datazione con il carbonio 14 inizieranno questa settimana al museo dell’università di Parma, dove il fossile si trova e dove sarà esposto dopo tutti gli esami. Solo oggi sono arrivati i permessi dalla soprintendenza, incluso quello per ricostruire forma e dimensioni del cervello tramite la Tac e per provare a estrarre del Dna, ricavando dettagli più intimi sull’identità di Acamar, come il sesso. Di questo si occuperà Elisabetta Cilli, esperta di genomi antichi dell’Università di Bologna. Per quanto riguarda l’età del nostro antenato, la stima è che si possa arrivare indietro nel tempo di 12mila anni, od oltre.
A permetterci di incontrareAcamar è stata la siccità che ha prosciugato il Po lo scorso autunno, allargando il territorio di caccia di Persico. «In genere il periodo migliore è dopo una piena, quando l’acqua si ritira e lascia i reperti sulle sponde» spiega. «Ma l’ultima magra è stata talmente eccezionale da ampliare di molto le zone ricercabili». La maggior parte dei resti spuntati dal Po negli ultimi anni appartiene a sapiens moderni (dal neolitico in poi), o animali come mammut, elefante, rinoceronte, leone delle caverne, iena, leopardo, lupo, cervo gigante e alce. Il preferito di Persico, apparso davanti ai suoi occhi sulla spiaggia nel 2018, è un cranio di lupo risalente al medioevo. Su di lui ha scritto il libro “Il lupo del Po”. La maggior parte di questi fossili oggi ci guardano dalle teche del museo di paleoantropologia di San Daniele del Po, cittadina di cui Persico è sia sindaco che rifornitore di reperti risalenti a un’epoca in cui la pianura padana era ricca di boschi e infestata di bestie feroci.
I fiumi, d’altra parte, sono importanti per i paleoantropologi oggi quanto lo erano un tempo per i cercatori d’oro, perché raccolgono e concentrano a valle le pepite della storia. «Ma amano anche giocare a nascondino con le tracce dei nostri antenati, s eppellendole e poi facendole riemergere» racconta Giorgio Manzi, paleoantropologo dell’università La Sapienza di Roma. Sempre dal Po, dopo una piena del 2009, era riemerso il teschio di Pàus (da padus, ovvero padano), un uomo di Neanderthal vissuto fra 300mila e 30mila anni fa. Pur non avendolo trovato lui, Persico fu uno dei primi a esaminarlo, con i suoi angoli di osso smussati dalla corrente. «Non è esclusoche anche qui, come nel resto d’Europa, sapiens e Neanderthal si siano incontrati e abbiano convissuto» spiega il ricercatore-sindaco. «Studiare reperti così antichi ci aiuta a capire le migrazioni dei nostri antenati dall’Africa all’Europa, fino all’Italia».
Immaginare da dove venga, un fossile trasportato dal fiume, è però spesso fatica vana. «Dopo aver trovato Acamar non sono tornato a scavare lì intorno» racconta Persico. «È impossibile che un corso d’acqua restituisca uno scheletro intero». La residenza del nostro antenato «non sarà facile da individuare, ma ci proveremo confrontando i sedimenti rimasti attaccati al frammento con quelli che affiorano in zona».