la Repubblica, 4 luglio 2023
Cosa resta di TeleKabul
Fra le meraviglie, sempre relative, della Repubblica televisionara si segnala dunque il passaggio di Bianca Berlinguer, 63, dal servizio cosiddetto pubblico (Rai) a quello dei Berlusconidi (Mediaset).
Due coincidenze, o forse tre, danno un rilievo supplementare al piccolo grande evento. La prima è che l’ingaggio da parte di Pier Silvio è avvenuto ad appena venti giorni dalla scomparsa del fondatore, “a babbo morto” come si dice per indicare che il cambiamento ha preso il via. La seconda, giù più sottile, ma fino a un certo punto, è la sincronia con il benservito delle reti berlusconiane a Barbara D’Urso, imperatrice del trash estremo.
Posto che ciascuno ha le proprie ragioni e si regola come meglio crede, ci sarebbe anche la circostanza, mai come in questo caso sospesa fra il pubblico e il privato, per cui Bianca fa di cognome Berlinguer, ciò di cui lei sarà da lungo tempo abituata, ma che comporta qualche responsabilità e qualche seccatura supplementare. Per molto meno, nella primavera del 2022, insorse Luigi Berlinguer, illustre giurista e ministro turbato da un certo clima effervescente di Cartabianca, su Rai3: «Chi porta quel cognome deve proteggerlo e tutelarlo» proclamò prima di pentirsi anche per iscritto con lei, che comunque gli rispose definendolo «un cugino di secondo grado di mio padre» che non vedeva «dal giorno dei funerali di papà, 13 giugno1984». Ora, non risulta che Berlinguer e Berlusconi si siano mai conosciuti; per certi versi appartenevano a due epoche e a due mondi, anche individuali, che con forzato eufemismo si possono definire differenti; altrimenti ostili in tutto: etica, estetica, antropologia, cultura, politica, stile, eccetera. Non è qui il caso di spiegare il come e il perché di questa vertiginosa e reciproca estraneità. Ma certo l’approdo di Bianca Berlinguer, già direttrice del Tg3, a Mediaset indica con sufficiente chiarezza quanto le distanze che un tempo si sarebbero definite ideologiche si siano inesorabilmente accorciate.
Non è colpa né merito di nessuno, se non della storia, che scorre e corre ignorando chi le ansima dietro con la lingua di fuori. Dalla ridotta di TeleKabul alla televisione commerciale, da Curzi-Kojack ai promo scintillanti di Cologno Monzese, dall’utopia della condivisione del sapere alla religione del Dio Profitto non restano che mute considerazioni fuori tempo. Poi sì, certo, nel corso di quarant’anni gli interessi comuni tra il mondo comunista (e post-comunista) e il berlusconismo ci sono sempre stati e sempre hanno avuto un loro peso, sia pure a bassa quantità di divulgazione, nel consolidarsi del duopolio. Affari, accordi, baratti, inciuci, scegliersi questo o quell’interlocutore, guardare dall’altra parte.
Ma al dunque, per quanto attiene al gran teatro della politica e in fondo della vita, o si stava da una parte o dall’altra; o contro l’impresario piduista e para-mafioso o contro i “cumunisti” – così suonavano nella dizione berlusconiana – che non ridevano, bollivano i bambini e li utilizzavano come concime. Ecco, adesso questo canovaccio è davvero invecchiato e a 45 anni dalla prima messa in onda nel cinemino di Milano2 e a 39 dai funerali di Berlinguer ci si risparmia la fatica di considerare Bianca come transitata nel campo degli infedeli, essendo venuta meno la fede, cosa non trascurabile.
La televisione, oltretutto, è davvero una brutta bestia e per chi ci campa mettendosi sotto la sua lente d’ingrandimento è difficile, se non impossibile, sfuggire – quando va bene – ai dispositivi di consacrazione dell’auditel, degli inserzionisti e dello spettacolo, specie se urlato, demente e sgangherato sotto il naso di un conduttore che fa finta di moderare – altro che l’approfondimento!
In altre parole da troppo tempo la Rai assomigliava tremendamente a Mediaset, e detto in tutta sincerità Cartabianca, con i suoi svalvolini e svalvoloni, era già bello pronto scivolare di là: «Il talk show deve fare casino – dixit il gran saggio Confalonieri – se no chi lo guarda?».