Corriere della Sera, 4 luglio 2023
Fernanda Pivano raccontata dall’assistente Enrico Rotelli
Chi non ha avuto la fortuna di conoscere Nanda Pivano può leggere Nanda e io. I miei anni con Fernanda Pivano di Enrico Rotelli (appena pubblicato da La nave di Teseo), americanista e scrittore e traduttore e soprattutto assistente, in gioventù, della Nanda nei suoi ultimi cinque anni. Rotelli, attraverso una serie di coincidenze con le quali apre questo libro difficile da riporre, per chi l’ha conosciuta, ha avuto un posto in prima fila davanti a uno dei grandi spettacoli della cultura del Novecento, cioè la mente di Fernanda Pivano.
La Nanda vista da Rotelli, assistente-ragazzino perché davvero lei che era la persona meno diplomatica del mondo si fidava poco degli ultratrentenni, non è un santino buddhista né un oracolo né una sorgente continua di citazioni accademiche, tutte cose che a lei avrebbero fatto orrore. Con il rispetto che le è dovuto, Rotelli ritrae la Nanda senza filtri, con il suo carattere che definiremmo caritatevolmente non semplice, i suoi amori (l’antifascismo, la pace, Pavese, i libri, l’America, Fabrizio De André e Dori Ghezzi) e le sue antipatie. L’ex marito Ettore Sottsass, che amò fino alla fine, cavalcò entrambe le categorie. È una presenza incombente anche se remota, nel libro, come lo fu nella vita della Nanda dopo la separazione negli anni Settanta e il tardivo divorzio.
Rotelli ci accompagna nello studio della Nanda con i libri e gli scatoloni identificati dai nomi scritti di lato con il pennarellone: «Gore Vidal, Walt Whitman, Burroughs / Ginsberg / Kerouac, Bob Dylan + Patti Smith, S. River, Living + Lou Reed, Hemingway, Erica Jong, McInerney & Bret»; ci fa curiosare (come fece lui la prima volta) sulla scrivania alla quale lavorava quella mente formidabile: «Coperta da pile di carte che Nanda voleva avere sottomano. Notai: un paio di cartelline colorate – una rossa e una blu – dotate di fermagli per bloccare i fogli su cui lei aveva scritto a matita, tre bottigliette di plastica con il tappo già svitato, qualche lattina di Coca-Cola e dei portapenne colmi di vecchie Koh-i-noor in metallo ricaricabili. Da una lampada fucsia pendevano gingilli di ogni tipo – un cordino di cuoio con piume e perline indiane, una stella di Natale, una rosellina, un piccolo tamburo». E la fotocopia di una lettera infilata in una busta di plastica: «Si faccia una vita interiore – di studio, di affetti, d’interessi umani che non siano soltanto di “arrivare”, ma di “essere” – e vedrà che la vita avrà un significato», firmato Cesare Pavese, suo maestro e mentore e amico che per due volte la chiese in moglie, invano.
Andiamo con Rotelli e la Nanda alle cene newyorchesi, con Jay McInerney (gentleman che da sempre ammette il grandissimo aiuto ricevuto dalla Nanda, che lo adorava) e il laconico Lou Reed e tanti altri: «Nanda amava poco più di una manciata di pietanze: oltre ai tagliolini al nero di seppia e le fettuccine al pomodoro, adorava i tramezzini al salmone – chiedeva sempre che i bordi venissero tagliati via con il coltello – oppure i sapori che le stuzzicavano le memorie d’infanzia, come la focaccia genovese, le trofie al pesto, le gocce al rosolio, i fenuggetti di Romanengo o la memoria dell’anatra all’arancia che Alice B. Toklas preparava per lei nelle lontane visite a Parigi».
Soprattutto, Rotelli ci racconta l’umanissimo desiderio di essere nominata senatrice a vita, la contrarietà per le scelte di Ciampi (il poeta Mario Luzi) con l’interiezione della Nanda – sapeva sottolineare la sua disapprovazione con musicali parolacce – che contrariata sottolinea che «Non mi vogliono proprio, ancora una volta a me preferiscono un professore». La Fondazione Benetton che aveva raccolto la sua prodigiosa biblioteca aveva promosso una campagna perché venisse nominata senatrice a vita (tra i firmatari Carla Fracci e Fabrizio De André), ma né Scalfaro né Ciampi la scelsero (le nomine di Giorgio Napolitano e Sergio Pininfarina posero fine al suo umanissimo sogno impossibile).
Impossibile perché troppo poco diplomatica (understatement), enormemente appassionata alla politica che dall’antifascismo vissuto sulla propria pelle con l’arresto era passata sostanzialmente a posizioni anarco-buddhiste Nanda era però invisa alle istituzioni, alle quali era allergica: invisa all’accademia che per sciatteria o misoginia o ignoranza (o una combinazione delle tre cose) bocciò suoi scritti come la prodigiosa introduzione a Orgoglio e pregiudizio. Nanda ebbe dei problemi perfino a scuola, con quel grottesco voto «3» in Italiano toccato a fine anno a lei e al compagno di scuola Primo Levi che dice molto sui problemi (secolari) della nostra scuola.
Sulla politica, Rotelli ricorda un evento fondamentale nella vita della Nanda, la volta in cui da ragazza a Torino ascoltò di nascosto, alla radio il discorso sulle quattro libertà di Franklin Roosevelt: libertà di parola, di culto, dal bisogno e dalla paura, caposaldo delle sue idee per il resto della vita, e sull’arte ci ricorda che la letteratura ha avuto in dono la Nanda per un incidente della Storia – da grande Nanda voleva fare la pianista e prese anche il diploma al Conservatorio. Pavese e L’antologia di Spoon River cambiarono il corso della sua vita (Pavese le regalò quattro libri cardine: l’autobiografia di Sherwood Anderson, Spoon River di Edgar Lee Masters che aveva sul comodino della clinica il giorno in cui morì, Addio alle armi di Ernest Hemingway e Foglie d’erba di Walt Whitman).
Giganteggia, tra gli amici di Nanda, Gore Vidal, l’unico scrittore che davvero la trattò da pari a pari secondo Rotelli: testimone dell’ultimo urrà del Nanda & Gore Show, a Milano in una serata fredda e piovosa, la Feltrinelli gremita, Pivano già malata e Vidal in sedia a rotelle fin sotto il palco, poi col bastone. I due vecchi iconoclasti, gemelli nell’odio per le convenzioni e nella memoria prodigiosa, che trovano il tempo per l’ultima battuta, prima di salutarsi: «Cosa possiamo fare io e te insieme, Gore?». «Nanda, facciamo un bambino».
La fine è nota: i ricoveri sempre più frequenti, il lavoro fino all’ultimo a regalare a noi lettori del «Corriere della Sera» gli estremi gioielli del suo sapere, il dolore per la scomparsa di David Foster Wallace suicida come Pavese, «Un tempo ero la più giovane di tutti. Ora sono sempre la più vecchia» sussurrato dopo una delle ultime cene con gli amici nelle quali teneva sempre banco. E il mantra di Nanda — Om Mani Padme Hum, le sei sillabe del bodhisattva della compassione – e la benedizione del prete ribelle don Andrea Gallo al suo funerale, «Beati i costruttori di pace perché saranno chiamati figli di Dio».