Corriere della Sera, 3 luglio 2023
Parla il figlio di Walter Chiari
Simone Annicchiarico, 52 anni, musicista e presentatore in tv. Una volta ha detto che tra voi due il vero bambino era suo padre, Walter Chiari. «Conservò intatto il bambino che era in lui. Carlo Vanzina mi diceva che quando da casa di suo padre Steno andava via Walter, lui si metteva a piangere. L’avresti voluto come amico, padre, fratello».
Eravate diversi di carattere?
«No, simili. Due nomadi. Non mi ha dato regole se non nell’alimentazione sana e nel mettere la maglietta se ero sudato. Era un eterno Peter Pan, semplice e complicato, mi ha insegnato a essere libero, lontano dai partiti. Infatti non voto da una vita».
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Però lei da giovane era di sinistra e lui si arrabbiò.
«Stiamo parlando di fine Anni ’80, impossibile non schierarsi. C’erano i cortei...».
E suo padre invece era molto di destra.
«Era nato nel 1924, prima dell’entrata in guerra diceva che si viveva bene, era il rimpianto di una giovinezza felice e avventurosa. Sua madre, cioè mia nonna, era fascista. Walter è un nome tedesco che vuol dire condottiero del popolo, il fratello di papà si chiamava Benito».
E alla fine degli spettacoli, suo padre...
«Papà diceva al pubblico, un saluto alla prima fila e alla decima. Lui nella Decima Mas durante il fascismo aveva militato davvero. Dopo, non sopportò l’egemonia culturale della sinistra. Ma lo ricordo quando mi diceva, Simone, non hai capito che io sono più a sinistra di tutti, era solidale, siamo tutti uguali, diceva».
L’egemonia culturale della sinistra la pagò?
«Non in carriera, Ugo Gregoretti e alcuni Teatri Stabili di sinistra si innamorarono di mio padre. Ma di fatto l’intellighenzia aveva un complesso d’inferiorità e godeva nel vedere certi idoli cadere. Papà i libri li divorava, si era fabbricato da solo una cultura. In un certo senso l’egemonia comunista la pagò con la galera».
Non furono proprio loro a incarcerarlo. Quando lei nacque, suo padre era a Regina Coeli per droga.
«Io ‘sta cosa l’ho scoperta a casa della zia materna, Marilena, a dieci anni, sono stati bravissimi in famiglia a tenermela nascosta. Leggevo giornali tipo Novella 2000 e lessi un titolone sul suo passato in carcere. Mia zia sbiancò».
E lei cosa pensò?
«Mi sono detto, figurati se uno così non finiva in galera. Ne parlai con papà, ma non lo riteneva rilevante. Io sapevo dei suoi vizi».
Uso e spaccio erano la stessa cosa.
«Fu Marisa Maresca, la soubrette, che lo prese come capocomico per portarselo a letto, a introdurlo alla cocaina. A fine spettacolo papà si allontanava con la ballerina di turno, la cocaina era legata al sesso, era timido e lo sbloccava, era il suo viagra».
Mise nei guai Lelio Luttazzi, finì in manette, un galantuomo che non sparò mai a zero su suo padre.
«Però poi non si videro più. Erano stati come fratelli. Se potessi tornare indietro, darei la mia vita al posto di quella di Lelio, che finì in carcere da innocente».
Walter Chiari era un grande seduttore.
«No, era bello, atletico. E pudico. Erano le donne che gli andavano dietro. Ho la lettera che gli scrisse Ava Gardner, “Sono a letto sola pensandoti e desiderando di essere a letto con te”; ho una foto molto bella di lui che esce da un locale di via Veneto con Anita Ekberg, e poi Delia Scala che era bellissima, con Anna Magnani fu una storia breve e privata, Elsa Martinelli. Mi diceva, non sai quali volgarità possano uscire fuori da certe donne che sembrano principesse. E Mina, che in una lettera si finse bambina, faceva apposta errori di ortografia, scriveva di aver perso un palloncino. Per me, mamma e papà che cambiavano partner era normale».
Sua madre, l’attrice Alida Chelli, come la ricorda?
«Doveva fare la figlia, non la mamma. Piena di problemi, paure. Era nevrotica, urlava invece di parlare. Gli amici avevano un’altra idea, dicevano che rideva, che era simpatica. Tony Renis girò il mondo con i miei genitori e disse che quando litigavano mamma metteva in difficoltà papà, era lui a perdere le staffe».
Quanti anni aveva quando i suoi si lasciarono?
«Tre. Si mise con Rocky Agusta, quelli degli elicotteri e delle moto, ricchissimi, mentre papà era figlio di un brigadiere pugliese e di una maestra di scuola che per sopravvivere lasciarono Andria e si trasferirono al Nord. Non ho un buon ricordo di Rocky. D’estate ero l’unico bambino su uno yacht, solo come un cane. La prima adolescenza l’ho vissuta un anno in America, un altro anno in Australia... C’erano le Brigate Rosse, il rischio di venire rapiti era alto. Un anno intero lo passai a Cortina, quando i miei riprovarono a stare insieme».
A un certo punto fu l’attore più pagato d’Italia.
«Fece 109 film. Il più bello è Il giovedì di Dino Risi, dov’era un padre scapestrato. Ma il ruolo che gli riusciva meglio era essere Walter Chiari. Metteva i premi per fermare le porte, usava il Nastro d’argento per schiacciare le noci. Erano super divi, lui, Sordi, Tognazzi, Gassman, mica gli attori di oggi. Dieci anni fa nella fiction su di lui ho interpretato in un cameo un suo fan. Papà era soprattutto un animale da palcoscenico, a lui venne l’idea di avere in tv il pubblico nei varietà, disse ai macchinisti di portare i parenti, prima c’erano solo i tecnici».
Chi frequentavate?
«Ricordo una vacanza in barca all’Isola d’Elba con Andreotti, al Sestriere da Gianni Agnelli, avevo sei anni, feci una battuta del cavolo sul suo cognome, lui sorrise e se ne andò, papà si arrabbiò con me. Bettino Craxi veniva a casa nostra a Casal Palocco da solo, su un’utilitaria, senza scorta, ma aveva la pistola. Un giorno tolse i proiettili e me la diede, anche lì papà si arrabbiò moltissimo. Poi aveva amici gangster, tutta gente simpatica, non avresti mai pensato nulla di male. Ricordo in Costarica, dove feci l’ultimo viaggio con papà, nel 1991 poco prima che morisse d’infarto, Marietto, uno che faceva rapine a mano armata in Lombardia».
Lei abita nello stesso palazzo in cui abitava Ennio Morricone. Il figlio Marco ci ha raccontato di come lei lo aiutò quando Ennio fu ricoverato.
«C’era l’ambulanza, era caduto un enorme pino marittimo, fece un boato che pensai al crollo del palazzo di fronte. Mi affacciai e vidi un uomo in barella: Ennio. Il pino impedì a Marco di prendere l’auto e gli buttai le chiavi della mia dalla finestra».
Come descriverebbe suo padre a un ragazzo di oggi?
«Più che parlargliene, gli farei vedere lo sketch quando si fingeva balbuziente. Aveva una mimica e una gestualità infantili».
Era bugiardo?
«Mamma mia, era il re dei bugiardi. Gli avevo chiesto uno dei primi videogame, di ritorno da un viaggio dall’America. Lui se n’era dimenticato e mi inventò che il regalo si era incendiato su un’auto che andava a gas. Improvvisava con una fantasia pazzesca».
Suo padre sulla sua tomba fece scrivere, «Amici non piangete: è tutto sonno sprecato».
«Me l’hanno riferito ma io non ci sono mai andato, era stato un patto tra noi. Era fatto così. Quando morì sua madre, che aveva 84 ed era zoppa, lo chiamai costernato, papà com’è successo? Mi disse che si era iscritta a una gara di motocross a Barletta, all’ultima curva era caduta. Morta sul colpo senza soffrire. Tutta una balla. Scoppiai a ridere, quel giorno mi tolse la paura della morte».
Negli utimi anni sembrò venir meno l’iperattivismoindomabile, anche il famoso ciuffo sembrava sfibrato.
«No, non è così, l’unica rottura di scatole fu Finale di partita di Beckett a teatro con Renato Rascel. Papà ha vissuto poco, 67 anni».
L’ultima volta che lo sentì?
«Il giorno prima di morire. Mi disse, sono andato dal cardiologo e mi ha detto che posso giocare a tennis per altri dieci anni».