Corriere della Sera, 3 luglio 2023
Intervista a Giorgia Meloni
Giorgia Meloni commenta l’esito del Consiglio europeo e spiega perché sui migranti l’Unione «ha cambiato passo». Il salario minimo non la convince, la ratifica del Mes può attendere, il caso Santanchè non la preoccupa e nemmeno il Pnrr: «Basta tafazzismo, siamo vicinissimi all’obiettivo». E sulla proposta di Salvini di un patto per unire il centrodestra alle Europee, c’è tempo per riflettere.
Presidente, l’Europa si è spaccata sui migranti, eppure lei è tornata molto soddisfatta da Bruxelles. Perché?
«L’accordo di tutto il Consiglio Ue sulla cosiddetta dimensione esterna, che offre un approccio completamente nuovo rispetto al passato in tema di contrasto ai flussi migratori, è un indiscutibile successo italiano. La scelta è combattere il traffico di esseri umani e contrastare l’immigrazione illegale prima che arrivi in Europa. Siamo riusciti a far comprendere a tutti i nostri partner che non aveva senso continuare a litigare tra Paesi di primo approdo e Paesi di destinazione su chi dovesse avere la responsabilità di gestire il fenomeno e che l’unico modo era lavorare insieme sui confini esterni, soprattutto attraverso una cooperazione paritaria con i Paesi africani».
Suo il merito di aver «portato» in Tunisia von der Leyen e Rutte. Ma non è esagerato parlare di svolta, anche alla luce dei numeri degli sbarchi?
«Il dialogo con la Tunisia, definito “un modello” nelle conclusioni del Consiglio e la proposta della Commissione di investire fino a 15 miliardi del nuovo bilancio pluriennale su immigrazione e dimensione esterna, sono una prova di questo totale cambio di passo. Investire sulla stabilità del Nord Africa e prevenire le partenze è un primario interesse italiano e finalmente una priorità europea. Sulla dimensione esterna siamo tutti d’accordo. Sulla dimensione interna, no. Ma è normale, perché su un tema così divisivo è difficile trovare regole che vadano bene per tutti. Mi auguro ci siano margini per avvicinare le posizioni».
Perché è fallita la mediazione con Morawiecki e Orbán, a cui anche lei ha lavorato su richiesta di Michel?
«Soprattutto la Polonia, ma anche l’Ungheria, hanno accolto milioni di profughi ucraini ricevendo dalla Ue contributi inferiori al necessario. Di contro, secondo l’accordo dell’8 giugno, sarebbero tenute a versare 20 mila euro per ogni migrante anche irregolare non ricollocato. Il tutto, aggravato dal blocco degli stanziamenti per i loro Pnrr nazionali. La loro rigidità è comprensibile e io ho sempre grande rispetto per chi difende i propri interessi nazionali. Si può superare ricostruendo un rapporto di fiducia e in questo senso cerco di dare il mio contributo».
Il mancato accordo porta alla paralisi della Ue e mette a rischio il patto di Lussemburgo sulle migrazioni?
«No, il Patto migrazione e asilo va avanti. Però mi faccia chiarire, vendere questo accordo come una soluzione efficace è sbagliato. Può aiutare l’Italia in misura relativa, anche perché il principio cardine di Dublino dello Stato di primo approdo non è stato superato e l’onere su nazioni come l’Italia è ancora troppo elevato. Il Patto si occupa di gestire gli arrivi quando avvengono, la mia priorità invece è fermare i flussi illegali prima che partano e stroncare il traffico di esseri umani».
Il veto dei sovranisti dell’Est complica le trattative per l’alleanza tra i conservatori da lei guidati e il Ppe? E l’asse di Visegrad, si è spezzato o rafforzato?
«Penso sia un errore sovrapporre i temi del Consiglio Ue con i rapporti all’interno delle singole famiglie politiche, che difficilmente ne escono compromessi. Nel Consiglio ciascuno rappresenta gli interessi della propria Nazione, capita che non corrispondano e ognuno fa bene a difendere i suoi. La posizione di Polonia e Ungheria sul Patto migrazione non cambia nulla nei nostri rapporti e come ha detto il primo ministro polacco Morawiecki “siamo d’accordo di non essere d’accordo su questa questione marginale”. Tradotto significa “è normale che ciascuno faccia il proprio interesse”».
Lei vuole cambiare le politiche della Ue. La via può essere un patto per un centrodestra che tagli fuori i socialisti?
«Non ci sono trattative in corso. Di certo cresce la consapevolezza che l’accordo innaturale tra popolari e socialisti non sia più adeguato alle sfide che l’Europa sta affrontando. Da qui al 9 giugno 2024 ci saranno elezioni nazionali importanti. In Spagna, dove si vota a luglio, è possibile un governo di centrodestra con popolari e conservatori, dopo che in Italia, Svezia e Finlandia si sono imposti governi di centrodestra. Intanto a Bruxelles sui singoli provvedimenti si creano alleanze allargate alternative alla sinistra. È una fase stimolante, i conservatori e l’Italia possono giocare un ruolo centrale».
Cosa insegna la guerriglia in Francia scatenata dall’uccisione di un ragazzo da parte della polizia?
«Voglio esprimere la mia vicinanza e solidarietà al popolo francese per le inaccettabili violenze di questi giorni. Le immagini che arrivano dalla Francia da un lato rischiano di rendere il tema ancora più critico, dall’altro mi auguro aumentino la consapevolezza sulla posta in gioco. Soltanto un’immigrazione gestita e regolare può generare integrazione. L’alternativa è la separazione e la radicalizzazione delle terze e quarte generazioni».
Che vantaggi porterà la flessibilità sui fondi Ue?
«Di fronte alla sfida globale tra Usa e Cina, che hanno iniettato nelle loro economie liquidità enormi, l’Ue non può competere se non lasciando maggiore flessibilità ai propri Stati nell’utilizzo delle risorse disponibili. È stata una richiesta italiana fin dal primo Consiglio a cui ho partecipato e sono soddisfatta che questo messaggio sia stato recepito da tutta l’Ue».
La Commissione non ha sbloccato la terza tranche del Pnrr e per la quarta sono scaduti i termini dei 27 obiettivi. Davvero lei è «ottimista»?
«Assolutamente si, soprattutto se smettiamo di fare allarmismo su una questione strategica per la nazione intera e che, nella migliore tradizione dei Tafazzi d’Italia, viene strumentalizzata per attaccare il governo. Noi siamo impegnati per rispondere alle ultime richieste di chiarimenti da parte della Commissione e ricordo che lavoriamo su un piano scritto da altri».
Vuol dire che i governi di Conte e di Draghi potevano lavorare meglio?
«Senza polemica, non posso fare a meno di notare che se il lavoro certosino che stiamo facendo adesso, senza alcuna tensione con la Commissione, fosse stato fatto a monte quando i progetti sono stati presentati, avremmo potuto risparmiare molto tempo. Poco male, siamo comunque vicinissimi all’obiettivo. E stiamo lavorando senza sosta alla rimodulazione del Piano e alla presentazione del Repower EU, per spendere tutte le risorse privilegiando progetti strategici».
Che ne sarà del Mes, dopo che avete rinviato il voto di 4 mesi? In autunno procederete alla ratifica del trattato?
«Ritengo contrario all’interesse nazionale accelerare la ratifica del trattato di riforma del Mes mentre il governo è impegnato nel negoziato decisivo per la modifica del Patto di stabilità e il completamento dell’Unione bancaria. Se abbiamo presentato una questione sospensiva alla richiesta delle opposizioni di ratifica immediata è perché questi strumenti vanno visti insieme. Chi oggi chiede la ratifica non sta facendo l’interesse italiano».
Elly Schlein la accusa di isolare l’Italia in Europa e di legarsi ad «amici sbagliati».
«Sulle “amicizie sbagliate” a livello internazionale mi permetta di non infierire su chi ancora oggi è reticente nel condannare regimi come quelli di Cuba e Venezuela. Chi è in buona fede può constatare quanto l’Italia oggi sia centrale e rispettata nei consessi internazionali. Con buona pace delle cassandre, che speravano nell’isolamento».
Santanché si prepara a rispondere alle accuse di Report rilanciate dalle opposizioni. È preoccupata?
«No, non sono preoccupata. Daniela Santanché sta lavorando molto bene e i risultati lo dimostrano. Ha deciso di riferire in Aula per spiegare al meglio la sua posizione. Una scelta di trasparenza e serietà che non era scontata e dimostra la sua buonafede».
La sinistra è in pressing sul salario minimo. Lei oggi sarà ad Assolombarda e Confindustria non chiude...
«Mi faccia dire che l’occupazione sta facendo registrare numeri record, anche grazie alle misure che abbiamo adottato. Naturalmente la condizione dei lavoratori, soprattutto giovani che percepiscono retribuzioni non decorose, non solo ci preoccupa, ma ci ha già spinto a intervenire sul cuneo fiscale e a incentivare le imprese che assumono under 36 e “neet”».
Quindi lei resta contraria al salario minimo per legge?
«Non sono convinta che al salario minimo si possa arrivare per legge e l’approccio del governo va nella direzione di favorire una contrattazione collettiva sempre più virtuosa, investire sul welfare aziendale, agire su agevolazioni fiscali e contributive, stimolare i rinnovi contrattuali. Il tavolo con le parti sociali è sempre aperto e noi ci confrontiamo con tutti, senza preclusioni».