il Giornale, 3 luglio 2023
La villa dei debiti di Pelè
Sì sì, giusto. La cultura di destra non esiste. Vero. Ma quella di sinistra? Oggi le sono rimaste due pagliacciate buonistico-lgbtarie, diffuse ossessioni giornalistiche fascio-compulsive, il ridotto torinese del Salone del libro, gli editoriali di Massimo Giannini e le strisce centrosocialare di Zerocalcare. Marx and stripes. Come titolò con rara mancanza del senso del ridicolo il settimanale l’Espresso (per cui collabora): «Zerocalcare l’ultimo intellettuale d’Italia». Il penultimo era Tommaso Zanello detto Er Piotta. Mejo così...
Il meglio del peggio dei giovani di sinistra frignoni, felpa griffata e bermuda engagé, quarant’anni e lamentarsi ancora che la colpa è der sistema, Zerocalcare e un milione di fumetti venduti è l’apologia in timeline del nichilismo acquiescente di una generazione triste. So’ di Centocelle, so’ povero, vivevo di traduzioni, siamo sfigati... Er Secco, Tor sta Ceppa, stop motion, piangersi addosso, pija male, i migranti che nessuno se vole accollà e l’armadillo de ’sto ca**o. Stacce.
Vabbè, ma chi è ’sto Zerocalcare?
Un fumettista, un vignettaro, un anticonformista conforme al pensiero pop, un genio, un grande, «Mio padre, mio fratello, mio cugino», un guru, ’No sturacess’, un idolo, un depresso, un communista de mmmerda, un maestro di vita. Post tipo del fan-calcare: «Ho finito ora la nuova serie di Zerocalcare e già mi manca». Col cuoricino.
Cuore a sinistra della sinistra e la destra codificata soltanto come un raduno di nazisti di Colle Oppio, Zerocalcare, Zero per gli amici, Michele Rech per l’anagrafe, nome ripudiato per la fastidiosa assonanza col noto Reich – «Ein Volk, ein Rech, ein Führer» – incidentalmente nato ad Arezzo ma romano, romanesco e romantic punk di Rebibbia-Ponte Mammolo, è il più grande fenomeno cultural-editoriale degli anni Duemila, ben al di là del mondo del fumetto. Giù il cappuccio. Nessuno vende come lui, pochi hanno così tanti ammiratori e i suoi sono i più lunghi firmacopie della storia dei firmacopie, cui si sottopone con generosità esemplare. Un business e una passione. Da quando nel 2011 pubblicò il suo primo albo a fumetti, La profezia dell’armadillo, ha conosciuto solo ristampe e successi, fino ai trionfi delle due serie animate scritte e dirette per Netflix Strappare lungo i bordi e Questo mondo non mi renderà cattivo, anche se a noi rende invidiosi. Zero per i suoi fanzinari è un Unto della graphic novel: inimitabile, inarrivabile, intoccabile. Hanno fede in lui anime e corpo. Per dire: in rete gira un video di un’intervista dove una tipa gli chiede una cosa, lui risponde «Io che cazzo ne so» e parte un’ovazione di sei minuti. Per i detrattori, invece, pochi e tutti fasci («Dàgli ai naziiii!»), Zerocalcare, linee deboli e temi forti, è piuttosto un enigma, «Va bene, Rebibbia Quarantine era figa, ma le due serie Netflix sono decisamente noiose», l’ennesimo esempio di come la mediocrità al servizio del sistema venga osannata in quanto mediocre. «Se abbassi l’asticella il risultato è che uno come Zerocacare viene fatto passare per Miyazaki». Alla faccia dell’Asse Roma-Berlino-Tokyo.
Comunque, per dovere di cronista, abbiamo guardato con entusiasmo la prima puntata di Questo mondo non mi renderà cattivo. Dura 30 minuti. Plot: Zero e il suo amico Secco che parlano sempre strascicato, poi strappano manifesti de merda sulla sostituzione etnica, si ironizza sui maschi, bianchi, etero e cis, si denuncia la chiusura dei centri di accoglienza, colpa dei nazi («Cerca de’ capì: fascista è troppo poco»), si spiega con la metafora dei pacchi (wow!) che chi sbarca dalla Libia è un essere umano come noi, easter eggs targati Netflix e messaggi subliminali sulle Lettere dal carcere di Gramsci e il gelato alle visciole. Bellissimo. Davvero. Ma prima di passare al secondo episodio abbiamo scaricato illegalmente Il trionfo della volontà di Leni Riefenstahl.
Trionfo del buonismo prêt-à-penser, sensi di colpa (domanda: ma per cosa?), fragilità emotive da studentesse di psicologia fuori corso, elogio della vita straight edge – No fumo, No alcol, No droghe, No Tav, No War e No logo (ma Netflix e Nike sì) – Zerocalcare, ragazzo semplice, altruista e gentile, è entrato perfettamente nella parte del resistente. Ha scelto orgogliosamente di rimanere là dove è partito, Rebibbia, oltre la suburbia romana, fra via Bartolo Longo e ponte Mammolo, presidio fieramente antifascista e racconti murali militanti, i martiri dei Nap, i manifesti di Franca Salerno, la casa circondariale e quella di Pasolini – «Ah, giorni di Rebibbia/ che io credevo persi in una luce/ di necessità, e che ora so così liberi» – facendo del romanesco, con stucchevole snobismo, una raffinata koinè gggiovane e antagonista, un esperanto politico nazional-televisivo con cui teatralizzare le ubbie, le speranze, le rivendicazioni di quel mondo lì, fra sogni di convivenza, di emancipazione, di integrazione e l’incubo costante dell’ascesa neofascista. Indolenza, conflitti sociali e fancazzismo. E adesso Annamo a pijà er gelato.
La dote di Zerocalcare non è il disegno, e il paragone artistico con Paz è irriguardoso (per Paz). Ma la sua capacità narrativa è indubbia. È bravissimo con un pugno di pennarelli Staedtler a raccontare una generazione che non sta bene nel mondo, che ha perso speranze, diritti, desideri e parole, sostituite da emoji e asterischi. Ma il titolo «Giù le mani dal romanesco di Zerocalcare: lo dice Gadda» era demenziale. E farne il maître à penser della nuova sinistra è un errore politico.
Battaglie politiche di Zerocalcare: contro il 41 bis e per Alfredo Cospito; per il mutualismo contro ogni individualismo; a favore dei diritti delle donne curde del Rojava e contro lo sgombero delle case occupate; per la panna gratis sul gelato (perché non stamo a Milano) e contro Alain De Benoist, «faro dai neonazisti europei».
Angeli custodi del chittesencula Zerocalcare: il Prof Christian Raimo. Capossela e Sabina Guzzanti. Makkox (Zero a Zoro). Lo studente che ha usato la schwa nel tema della Maturità. Vabbè, quelli che hanno comprato la t-shirt di Mattarella stile Metallica. Elly Schlein (che lo legge sempre). Repubblica che lo intervista ogni cinque-sei giorni. Le bimbe di Zerocalcare su Twitter: «Ce piace perché ce fà sape che la vita fa schifo». E Valerio Mastandrea, simpaticissimo e politicamente attiguo a quella dimensione lì. Una volta si è anche preso la colpa per una scritta «antifa» sulle mura di San Lorenzo. Tout se tient.
Alla fine Zerocalcare tiene dentro tutto, ed è il segreto del suo successo. Un tratto di conformismo, una campitura di sentimentalismo, un’ombreggiatura di furbizia, poi si colora tutto con photoshop e buoni sentimenti, e una rifinitura di militanza. E così Zero di nome e milioni di fan, Michele Rech piace ai ragazzi, alle mamme, ai fumettari, ai Saviano e ai Veltroni, alla scena punk hardcore romana, alle professoresse democratiche dei festivàl, alla tv generalista di lotta e di Propaganda e ai colossi della tv in streaming come Netflix. Share: 100%.
Ma forse come ci permettiamo di criticare Zero?! – ha ragione lui: «Solo chi ha veramente titolo per parlare può aprire la bocca».
Ma soprattutto ha ragione il suo amico Secco: «Quando uno me sta sul cazzo, me sta sul cazzo per minimo duecento anni».