il Giornale, 2 luglio 2023
Intervista a Laura Pausini
Bentornata Laura Pausini dopo cinque anni senza palco.
«E trenta di carriera da festeggiare anche dal vivo».
In Piazza San Marco l’anteprima del tour mondiale: tre concerti di seguito, venerdì il primo bagnato anzi inzuppato dalla pioggia.
«In tutti questi anni ho capito che al pubblico piace quando ricordo il luogo in cui sono».
Non a caso sul megaschermo del suo palcoscenico passa anche l’immagine stilizzata della Basilica di San Marco.
«Con Luca Tommassini, e con la collaborazione di Fabio Novembre e di tante altre eccellenze italiane, ho voluto uno show che fosse un omaggio alla piazza che ci ospita».
In realtà il vero omaggio a Piazza San Marco è stato soprattutto il concerto di sabato sera che Laura Pausini ha affrontato a modo proprio, con la robustezza dei sentimenti di un personaggio goldoniano e con la scanzonata, caciarona caparbietà di un vero romagnolo. Iniziato con l’acqua (poco) alta a lambire le seggiole davanti al palco, il concerto è stato mitragliato per più di metà dalla pioggia, a tratti battente, sempre fastidiosa. In poche parole, la situazione più difficile non solo per il pubblico ma pure per l’artista sul palco. Pausini non si è mai fermata (nonostante dalla «regia» la invitassero a farlo), ha cambiato un poco la scaletta ritrovandosi a cantare alcuni brani a cappella perché la pioggia aveva messo tra parentesi gli strumenti della band. In questi casi si vede chi davvero sa tenere il palco e chi no. Chi non fa scendere l’attenzione degli spettatori e, magari anche con battute a doppio senso (come «quando sono bagnata canto meglio») si porta a casa uno show che nessuno dimenticherà, tanto meno lei perfezionista com’è e quindi probabilmente furiosa per quelle gocce impertinenti che rovinavano un ritorno atteso da cinque anni. Il concerto è diviso in tre parti, la parte «rossa», come l’abito iniziale, è legata alle ballad più classiche e, non a caso, inizia con la Solitudine da Marco se ne è andato e non ritorna più. Poi c’è il «blu» con i brani più contemporanei e il verde, più pop dance con lei, Laura, che lo definisce «più verso il futuro». Il suono è compatto, forse talvolta troppo poco definito ma su tutto c’è lei che ha 49 anni solo all’anagrafe perché sul palco è sempre la stessa ragazzina che non si fermerebbe mai.
Ha vinto un Grammy Award, un Golden Globe, è stata nominata agli Oscar e la Latin Record Academy l’ha appena eletta «Person of the Year», eppure ritorna in piazza.
«Il mio primo tour dopo il primo Sanremo è stato in piazza sia in Italia che in Spagna. Questa è una sorta di ritorno al futuro. E poi a Venezia venivo spesso da ragazzina ma non ci avevo mai suonato».
Trenta anni di carriera.
«Nel 1993 a Sanremo c’ero io con altri intorno. Ma oggi sono rimasta solo io. Quando sono triste, anzi quando ho paura, ci ripenso e mi convinco che sì, qualcosa ho combinato in tutti questi anni».
Nel concerto c’è un’invocazione alla tutela ambientale che è abbastanza lineare e didascalica. Ma c’è anche un lungo momento (con l’arrivo di tante ballerine) dedicato a sensibilizzare sulla violenza alle donne.
«Quello che ho il coraggio di dire a casa quando parlo con mia figlia è quello che ho il coraggio di spiegare anche in pubblico».
Per questo non ha quasi mai preso posizioni politiche.
«Sì, su certe cose non mi voglio schierare, la politica è proprio una di queste. Sui diritti umani invece me la sento».
Ha cantato Io sì (Seen) che ha vinto il Globe nel 2021.
«L’ho dedicata a Michelle e a Giulia (ultime vittime della violenza, ndr). C’è un verso in quel brano che fa Sono qui, nessuno ti vede, ma io sì che identifica la situazione nella quale la donna non ha il coraggio di denunciare, si sente invisibile».
Ha fatto anche il gesto della mano con le dita che si chiudono a pugno coprendo il pollice. Il gesto è il segnale di aiuto delle vittime di violenza.
«Denunciate! Io invito sempre a farlo».
Però molti giovani artisti non hanno tanta voglia di schierarsi.
«Sono giovani, non hanno il coraggio e sono in un’epoca molto diversa dalla mia, da quella in cui siamo artisticamente nate io, Giorgia, Elisa.... Io ho sempre faticato a tenere la bocca chiusa, dopotutto alle superiori ero rappresentante di classe. Ma capisco che le nuove generazioni sentano forte la pressione, il dito puntato».
Da dicembre partirà ufficialmente il tour mondiale, che passa da San Paolo a Los Angeles fino a Parigi.
«Nel 2024 si festeggiano anche 30 anni del mio successo in Spagna e poi in Sudamerica».
E nel 2025? Sanremo?
«Oddio, boh, forse è più facile presentare l’Eurovision Song Contest (come ha fatto nel 2022 a Torino, ndr)».
In ogni caso tutti si aspettano un nuovo disco.
«Non l’ho ancora finito e l’idea mi spaventa perché, a pensarci bene, non ho mai impiegato così tanto in vita mia per fare un disco».
Per decenni sul palco è stata la «ragazza che impara». Ora sembra anche «la mamma che consiglia».
«Intanto voglio dire che io sono di quelle persone che spalavano fango cantando Romagna mia. Non a caso il mio cachet di questi concerti va a Solarolo, dove sono nata, a Castel Bolognese, dove abitano i miei genitori, e a Faenza dove vive mia sorella e dove ho studiato».
Quanta strada da allora.
«Ai miei colleghi più giovani dico che ci vuole disciplina. Bisogna buttarsi e unire l’istinto con lo studio e la professionalità. A rimanersene sdraiati sul divano, magari anche di fianco a tanti premi, non si combina nulla».