La Stampa, 2 luglio 2023
Processo a Santanchè
La ministra Santanchè, che affronta un difficile passaggio parlamentare sulle accuse che la riguardano, si accorgerà presto, anche prima che il dibattito abbia inizio, che il “processo” a un ministro in Italia non si pone in termini di garantismo e giustizialismo, né si svolge in base ai numeri parlamentari, per cui se l’ “imputato” può contare sulla propria maggioranza può considerarsi in salvo. No: in realtà a contare non sono neppure la qualità e la quantità delle accuse, ma il peso della campagna mediatica che pian piano monta attorno all’interessato, specialmente sui social. E una sorta di “ragion di Stato” per cui a un certo punto il presidente del consiglio, e qualche volta il Capo dello Stato, consigliano la via delle dimissioni per chiudere il caso.
Tutti i precedenti recenti vanno in questa direzione. Anche quando – vedi Renzi – il premier aveva fatto in passato professione di garantismo, questo non ha impedito che convincesse/costringesse a lasciare due ministri come Guidi e Lupi, poi risultati perfettamente innocenti o neanche sottoposti a processo. E nel passaggio drammatico tra Prima e Seconda Repubblica altre due furono le volte in cui il sollevarsi dell’opinione pubblica portò a una rapida quanto ingiusta soluzione del problema. Il primo fu quello del ministro di Giustizia Conso, un insigne giurista chiamato alla responsabilità di Guardasigilli proprio per le sue rinomate qualità di tecnico. Conso, ministro del governo Amato, l’ultimo della Prima Repubblica, mise a punto un meccanismo che doveva depotenziare le accuse del pool di Mani pulite contro il gruppo di comando dell’allora classe dirigente. Lo fece, ovviamente, d’intesa con il Presidente della Repubblica Scalfaro, che però all’ultimo momento non se la sentì di firmare il decreto. Così Conso fu travolto e si dimise, anche se le sue dimissioni furono respinte. Non andò così al suo successore Filippo Mancuso, che arrivò ad accusare in Parlamento Scalfaro, già ministro dell’Interno, per lo scandalo dei fondi segreti del Sisde. La sua stessa maggioranza lo sfiduciò. Ecco perché l’argine dell’eventuale rinvio a giudizio di Santanchè, fissato da Meloni, a favore della ministra, come metro di valutazione delle accuse, è formalmente solido ma politicamente fragile. —