la Repubblica, 2 luglio 2023
Il ruolo dell’Italia nella questione di Cuba
«A NEW YORK MWHIP/1 viaggerà a Roma alla fine di gennaio, per una combinazione di affari personali e KUBAK. A/1 avrà incontri con AMLASH/1 e AMBIDDY/ 1, coinvolti in operazioni interne a PBRUMEN molto delicate». Sulle prime, un comune mortale non può avere la minima idea di cosa significhi questo messaggio segreto, inviato dal direttore della Cia al capo della sede di Roma il 21 gennaio del 1965. Con un minimo aiuto dei professionisti del settore, però, si capisce come sia la prova di uno straordinario coinvolgimento dell’Italia nelle trame per eliminare Fidel Castro, migliore della sceneggiatura di un thriller spionistico.
AMWHIP/1 infatti è Carlos Tepedino Gonzalez, esiliato cubano molto amico di AMLASH, ossia il medico Rolando Cubela Secades, ingaggiato dall’intelligence americana per assassinare il Líder Maximo. Con loro lavorava AMWHIP-2, Juan Ventura Valner, che usava un negozio di gioielli come copertura. KUBAK è la Cia e PBRUMEN è Cuba, da cui si capisce il senso del messaggio. In sostanza John McCone, allora direttore della Company, sta informando William Harvey e Mark Wyatt, capo e vice a Roma, che nella loro città stanno arrivando pedine chiave per l’uccisione di Fidel. E non è l’unica rivelazione sorprendente sul coinvolgimento dell’Italia in quei complotti, contenuta nei nuovi documenti sull’assassinio di John Kennedy appena desecretati dalla Cia.
Nei primi anni della Guerra fredda Roma era un crocevia di spie e trame. Felton Mark Wyatt, che firmava i rapporti con lo pseudonimo Walter Bunce, era dal 1948 in Italia, dove per sua stessa ammissione alla Cnn, nell’Hotel Hassler consegnava valige piene di dollari ai dirigenti della Democrazia cristiana, per aiutarli a battere i comunisti nelle prime elezioni della Repubblica. In seguito sarà anche incaricato di sviluppare Gladio nel nostro paese.
Il suo capo William Harvey era un altro agente leggendario della Cia, accusato poi dai figli del collega Howard Hunt di aver partecipato al complotto per uccidere Kennedy, ipotesi mai confermata. Era naturale, quindi, che la Company si affidasse a loro anche per gestire la pratica Castro.
Roma era un centro spionistico e politico, come dimostra un documento che rivela come il presidente del Movimiento Democrata Cristiano de Cuba, Josè Ignacio Rasco, frequentasse i seminari della Dc per «cercare aiuti finanziari». Secondo la Cia «in apparenza la Dc non ha offerto soldi, ma la sua segreteria ha istruito il soggetto a mettersi in contatto con noi». In futuro Rasco sarebbe diventato un mentore di Oswaldo Payá Sardiñas, fondatore del Movimiento cristiano de liberación, morto nel 2012 in un incidente d’auto mai del tutto chiarito. Non è dato sapere quanto fossero a conoscenza di queste trame Amintore Fanfani, Giovanni Leone e Aldo Moro, capi del governo in quegli anni, o i presidenti della Repubblica Gronchi, Segni e Saragat, ma è altamente improbabile che non sapessero nulla.
L’Italia era un anche una centrale operativa, basti pensare che ClayShaw, faccendiere di New Orleans indagato per l’omicidio Kennedy, aveva rapporti d’affari con il Centro mondiale commerciale, di cui la Cia aveva trovato conferme nell’Annuario parlamentare. Un documento poi rivela che la Company aveva condotto un’inchiesta sulla «colonia cubana in Italia, circa 200 persone», sospettando che cercasse di acquistare armi e aerei da fornire poi ai dissidenti. In particolare le ricerche si erano concentrate su José Antonio Lugo, senza però trovare conferme.
Di sicuro invece c’è che Harvey e Wyatt avevano ricevuto l’incarico di gestire Rolando Cubela Secades, Carlos Tepedino Gonzalez e Juan Ventura Valner, per aiutarli nel tentativo di ammazzare Castro. La loro presenza in Italia era un segreto, ma i comportamenti dei soggetti non aiutavano il lavoro. Gonzalez, ad esempio, aveva intrecciato una pericolosa relazione extraconiugale con Carmen Silvia Villarello Tabares, che lo manipolava. Il problema era il sospetto della Cia che Carmen fosse in realtà un agente segreto cubano, incaricata dall’Avana di infiltrare la minacciosa comunità degli esiliati.
In un rapporto firmato Bunce, si racconta anche uno spiacevole episodio del 24 maggio 1966, che potrebbe aver attirato l’attenzione dei giornali locali: «AMWHIP-2 ha riportato che AMWHIP-1 era in Via Veneto con l’amante nella loro auto, quando un’altra macchina aveva lasciato il parcheggio. AMWHIP- 1 stava aspettando che si liberasse il posto, ma mentre lo faceva un altro veicolo lo aveva usurpato. Allora AMWHIP-1 era uscito dall’auto per fare una reprimenda all’usurpatore. Ma anche il guidatore italiano era uscito, erano volati insulti, e AMWHIP-1 lo aveva steso con un singolo pugno. L’italiano era rimasto privo di conoscenza per una decina di minuti». Dunque mentre preparavano l’assassinio di Fidel Castro, i dissidenti cubani trovavano pure il tempo di scazzottarsi in Via Veneto, allora centro della “Dolce Vita” felliniana, a pochi passi dall’ambasciata americana che tentava di gestirli. Nonostante queste disavventure, il rapporto organico con gli oppositori a Roma era continuato a lungo. Il complotto per uccidere Castro non aveva avuto successo, ma ormai sappiamo che era stato tentato in molte occasioni. Con l’aiuto di un paese come l’Italia, frontiera della Guerra fredda, dove prosperava il Partito comunista più forte dell’Europa occidentale.