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 2023  luglio 02 Domenica calendario

Gli industriali criticano Meloni. Domani l’assemblea di Assolombarda

L’appuntamento è domattina in via Rubattino, periferia Est di Milano. In quella che era una fabbrica dismessa e adesso ospita un avveniristico stabilimento dove si fa automazione industriale, Giorgia Meloni è attesa tra robot e stampanti 3D come ospite d’onore all’assemblea degli industriali milanesi.
La loro Assolombarda, con quasi settemila aziende associate tra Grande Milano, Monza e Brianza, Lodi e Pavia, è il cuore della regione che produce quasi un quarto del Pil nazionale e rappresenta la prima forza territoriale di Confindustria. Gli imprenditori saranno là per ascoltare con attenzione la premier, ma anche per mandarle un messaggio preciso: dopo quasi nove mesi dal suo arrivo a Palazzo Chigi, e passata una prima luna di miele, l’industria chiede un’attenzione che oggi ritiene non ci sia. O almeno non basti.
È un vento del Nord, quello che spira sul governo, che sta cambiando temperatura e segue un ciclo inverso alle stagioni: caldo in autunno, quando il successo elettorale di Fratelli d’Italia aveva dato la speranza di una coalizione compatta e di una leadership legittimata, ancor più dolce in inverno, mentre Melonimostrava che al di là dei toni della campagna elettorale non avrebbe abbandonato la “linea Draghi” di rigore sui conti. Ora che l’estate avanza si sta raffreddando, sull’onda di una serie di episodi e di un approccio ai problemi concreti che – a partire da un certo atteggiamento rinunciatario sul Pnrr – viene considerato deludente.
Non è una questione solo lombarda. Fiera di Padova, 28 novembre scorso, si tiene l’assemblea congiunta di Assindustria Veneto Centro (Padova e Treviso) e Confindustria Venezia Rovigo, che battezza l’ambiziosa Confindustria Veneto Est: 5 mila imprenditori associati e secondo posto tra le associazioni territoriali. Meloni è al governo da un mese e in videocollegamento da Roma. Diciannove minuti di intervento a braccio e una promessa: «Cammineremo accanto alle imprese». Scrosciano gli applausi.
Dieci giorni fa la prima assemblea privata della stessa Confindustria Veneto Est. Prende la parola il presidente Leopoldo Destro: «Più donne e giovani nel mondo del lavoro, contro l’inverno demografico servono immigrati e politiche per la casa, dobbiamo fare rete tra pubblico e privato mettendo a terra il Pnrr». Non è una bocciatura dell’esecutivo, anzi – interpellato adesso – Destro spiega che «a questo governo do la sufficienza». Ma aggiunge che «deve fare di più, specie in un momento in cui le cose sono critiche», leggasi il rialzo dei tassi e una certa aria di rallentamento che tira dai länder tedeschi e fa correre un brivido in quelle aree dell’Italia più connesse all’estero. Meno tenero di lui Enrico Carraro, dinastia dei trattori e presidente di Confindustria Veneto: «Meloni si è concentrata sul suo elettorato e sulla pancia del Paese, ad esempio con il decreto sui rave party. La componente industriale non guarda certo al colore politico, ma a quello che un governo fa o non fa». Dunque, il giudizio? «Finora neutrale, servono tempi più lunghi. Ma a parte qualcosa sul cuneo fiscale non abbiamo visto molto. Il Pnrr, poi, è una grandissima delusione: fare politica industriale significa anche costruire asili che aiutano le mamme a lavorare». Lavoro femminile e immigrazione, vista dal Nord la questione demografica è fondamentale. E non è ovviamente un invito al via libera ai barconi, ma una richiesta di mettere da parte le ideologie, archiviare le uscite sulla «sostituzione etnica» e capire come si possa affrontare in modo pragmatico il tema. «Bisogna giocare d’attacco – dice ancora Destro – come ha fatto la Germania con gli immigrati dalla Siria, ma anche aprendo agli ingegneri indiani».
Nei cahiers de doléances delle imprese del Nord si mescolano temi locali e nazionali. A Milano pesa la vicenda del Tub, il Tribunale unicodei brevetti, che con l’uscita di Londra dall’Ue deve cambiare casa. Una sede a Parigi, un’altra a Monaco di Baviera e la terza strappata in extremis per il capoluogo lombardo, ma senza competenze ancora certe. Così la settimana scorsa, all’esultanza ministeriale sull’assegnazione della terza sede ha fatto da contraltare la prudenza di Alessandro Spada, presidente di Assolombarda: «Bene la conferma, ma per i giudizi definitivi aspettiamo di capire con esattezza quali competenze di fatto spetteranno alla sede milanese e da quando sarà operativa. Senza la chimica e la farmaceutica la sede perderebbe di importanza e funzionalità».
Dalla città alla Lombardia, e non solo, l’altra delusione per le imprese si chiama Malpensa. Lo stop del ministero dell’Ambiente al raddoppio dello scalo merci, deciso il mese scorso, è una doccia fredda per l’import-export italiano. Ancora Spada:«Le imprese avrebbero bisogno di maggiore supporto». Così ora si punta su un intervento salvifico del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che nelle terre di Malpensa è di casa. E si guarda con un certo stupore a Matteo Salvini e alla sua foga declaratoria sullo Stretto di Messina.
Sempre in tema di infrastrutture c’è un malessere che lega Piemonte, Lombardia e Liguria: quello del Terzo Valico che dovrebbe consentire al porto di Genova di servire il vecchio triangolo industriale in versione 4.0, anche ampliando la line ferroviaria merci Milano-Pavia-Tortona. La data del 2025 non è più realistica da tempo, ormai si parla del 2026, data obbligata visto che si usano fondi che arrivano dal Pnrr, ma è una scadenza troppo vicina per non immaginare nuovi ritardi.
Altro punto dolente è la risposta del governo all’emergenza alluvione in Emilia-Romagna. Quasi due mesi di attesa per la scelta di un commissario designato da Roma hanno lasciato il segno. «Ogni giorno, ogni settimana in più è un ritardo che non dico sia al quadrato, ma poco ci manca», commentava una settimana fa un esausto Valter Caiumi, presidente degli industriali della regione, prima che si materializzasse il generale Figliuolo. E Fausto Manzana, che guida la Confindustria del Trentino Alto Adige, è tagliente: «Se io ci mettessi così tanto a prendere le decisioni la mia azienda non esisterebbe».
Nella scarsa attenzione del governo alle istanze della media e grande industria, quasi tutta localizzata al Nord, c’è anche un tema di precise scelte di campo? L’ombra che aleggia è quella di un’eccessiva attenzione a Sud e Centro Italia e a particolari categorie produttive, che vanno dagli agricoltori, alle partite Iva ai piccoli artigiani. Ma qui, più che un sentimento antindustriale, pare pesare una visione ipersemplificata del sistema economico che contrappone le virtù dei “piccoli” ai vizi dei “grandi”, come se i primi potessero esistere senza essere inseriti nelle filiere produttive che fanno capo ai secondi. Gli appassionati di simbolismi politici fanno intanto notare che negli ultimi incontri a Palazzo Chigi anche la posizione fisica del presidente di Confindustria Carlo Bonomi, provenienza Assolombarda, è cambiata: non più al centro del tavolo, di fronte alla premier, ma defilata. Questa sostanziale indifferenza governativa, le imprese paiono percepirla ad esempio anche sulla flemma con cui il governo affronta la partita del Pnrr. «Non voglio sentir parlare di disincanto – ancora Manzana – perché quello del Pnrr è un treno che passa una volta sola. Non possiamo accontentarci di rotatorie e ciclabili, ma servono infrastrutture, digitalizzazione, investimenti per la sostenibilità». Il vento del Nord non tornerà a scaldare Roma tanto facilmente.