la Repubblica, 2 luglio 2023
Usa-Cina la grande sfida sul Sud Globale
Nella sfida per la leadership mondiale che contrappone Stati Uniti e Cina c’è un nuovo attore con cui entrambi i contendenti devono fare i conti: il “Sud Globale”. Discendente del movimento dei “Non Allineati” che durante la Guerra Fredda si posizionava fra Est ed Ovest ed erede diretto del “Terzo Mondo” con cui i Paesi più industrializzati hanno dovuto fare i conti dall’inizio della stagione della globalizzazione, il “Sud Globale” si è imposto con forza sotto i riflettori come una vasta, disomogenea, coalizione di Paesi di Africa, Asia ed America Latina che da fine febbraio 2022 all’Onu si astengono sulle sanzioni alla Russia per l’invasione dell’Ucraina. Da quel momento India, Brasile, Argentina, Indonesia, Messico, Nigeria, Pakistan, Sudafrica e molte altre nazioni si sono ritrovate nel “Gruppo 77” – nato all’Onu nel 1964 per raccogliere i 77 Paesi allora non allineati – che conta oggi ben 130 adesioni ovvero una somma di nazioni che rappresenta la maggioranza della popolazione e del Pil del Pianeta.
Seppur assai diversi fra loro, questi Paesi del “Sud Globale” si ritrovano attorno alla volontà di affermare la necessità di far emergere un nuovo ordine internazionale multipolare dove i loro interessi economici e strategici vengano ascoltati e compresi. E non più considerati semplici “pedine” nel Grande Gioco fra le superpotenze del nostro tempo, Washington e Pechino.
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segue dalla prima paginaPechino è stata la più veloce ed abile nel gettare ponti verso il “Sud Globale”: organizzando spesso all’Onu incontri “G77 più Cina”, coinvolgendo molti di questi Paesi nell’imponente progetto di infrastrutture transcontinentali della “Nuova Via della Seta”, invitando i partner di maggior peso a far parte del forum economico dei “Brics” e di quello strategico dell’Organizzazione di Cooperazione di Shanghai (Sco), e spingendosi fino ad impegnarsi a risolvere singole dispute regionali – ad esempio, le tensioni Iran-Arabia Saudita – per guadagnare credibilità come mediatore di crisi apparentemente irrisolvibili. La Russia di Vladimir Putin – partner privilegiato di Pechino nei “Brics” come nella “Sco” – ha visto con favore quest’offensiva diplomatica di Xi, sostenendola in ogni modo al fine di dimostrare che riflette il bisogno di «un mondo che vuole liberarsi dalla dipendenza dagli interessi dell’Occidente». Ovvero, lo stesso motivo che ha generato l’attacco del Cremlino all’Ucraina di Volodymyr Zelensky.
È questo scenario che spiega l’importanza della recente visita del premier indiano Narendra Modi a Washington perché ha fatto emergere il tentativo dell’amministrazione Biden – sostenuto dal Giappone di Fumio Kishida – di puntare su New Delhi per contendere a Pechino proprio la leadership del “Sud Globale”. Numeri alla mano l’India è l’unico gigante del Sud del Pianeta che può rivaleggiare con Pechino: se il suo Pil è solo un sesto di quello cinese, la sua popolazione ha già superato quella di Pechino e nello sviluppo delle nuove tecnologie, come nella ricerca delle terre rare, è l’unica vera concorrente potenziale di Xi. La competizione fra i due giganti confinanti attraversa la Storia della decolonizzazione – passando per il legame strategico di Pechino con il Pakistan, la guerra di frontiera del 1962 e la contesa sul Ladakh con relativi scontri armati e vittime fino al 2020 – ed arriva alle aspre critiche di New Delhi alla “Nuova Via della Seta” che l’ex consigliere per la sicurezza nazionale, Shivshankar Menon, riassume così: «La Cina ha esacerbato il problema del debito in molte nazioni in via di sviluppo e, mentre l’Occidente è impegnato nella guerra in Ucraina, tocca a noi indiani affrontare queste sfide globali».
Insomma, se Washington, Londra e Parigi si impegnano a rispondere all’aggressione russa contro Kiev, può essere New Delhi a fronteggiarePechino in Asia per soccorrere quelle nazioni, dallo Sri Lanka alle Maldive, rimaste intrappolate nella rete dei debiti contratti con le banche di Stato cinesi.
È questa visione del ruolo “globale” dell’India che spiega la scelta di Modi di affiancare il Segretario di Stato Usa, Antony Blinken, nel viaggio di maggio in Papua Nuova Guinea per presenziare alla sigla del trattato di difesa bilaterale con gli Usa e, soprattutto, per avere 14 incontri con altrettanti leader di piccole nazioni del Pacifico su Sanità, sviluppo economico e risposte ai cambiamenti climatici. Il premier giapponese Kishida, presidente di turno del G7, è convinto che l’India possa essere il partner migliore delle democrazie per scongiurare il rischio che il “Sud Global” scivoli nel campo della Cina. Anche perché New Delhi fa parte del “Quad”, l’intesa strategica con Usa, Australia e Giappone che punta ad avvicinare gli interessi delle democrazie in Occidente e in Asia.
Da qui l’importanza degli incontri avuti da Modi con Biden a Washington perché suggeriscono la scelta da parte della Casa Bianca di guardare all’India con un approccio disseminato di novità. Ad esempio, l’amministrazione Usa rinuncia ad arruolare New Delhi a pieno titolo nella propria agenda anti-Cina ed anti-Russia mentre si impegna a favorire lo sviluppo congiunto delle più moderne tecnologie in ogni settore (a cominciare dalla Difesa) e sceglie di avere come focus sulla cooperazione di sicurezza lo scacchiere dell’Oceano Indiano più del Mar della Cina Meridionale. Nel legame Usa-India diventa dunque prioritario lo sviluppo di Delhi e non il contrasto a Pechino, lasciando così intendere che Biden comprende la visione di un mondo «multipolare» dove i maggiori partner hanno «delle agende nazionali con interessi globali». È un approccio che può essere teoricamente ripetuto, magari d’intesa con l’Europa, con le altre nazioni del “Sud Globale”: dall’Indonesia al Sudafrica fino al Brasile.
Il riassunto di Kishore Mahbubani, veterano della diplomazia di Singapore ed ex ministro degli Esteri, è limpido: «Gli Stati Uniti vorrebbero che molte nazioni si unissero a loro contro la Cina ma si stanno rendendo conto di quanto è difficile isolare Xi, dunque l’unica soluzione è intensificare i rapporti bilaterali, umani e commerciali, per dare vita ad un mondo davvero multipolare». Ma più vicino all’Occidente che a Pechino.