Il Messaggero, 1 luglio 2023
Intervista ad Ezio Greggio
Yuppies, Montecarlo Gran Casinò, Vacanze di Natale ’90: Ezio Greggio è stato il mattatore delle commedie di successo che hanno connotato gli anni Ottanta. Proprio a quell’epoca lontana, simbolo di euforia e speranza dopo il buio del terrorismo, rende omaggio il Conero Film Festival che si chiude stasera a Numana (Ancona) sotto la direzione artistica di Enrico Vanzina. E Greggio, 69 anni portati alla grande e una verve inesauribile, è tra gli ospiti d’onore. Reduce dal successo del Montecarlo Film Festival da lui organizzato fin dal 2001 per rendere onore alla commedia, un genere snobbato da tutte le altre rassegne, lo showman, attore, regista e filantropo ha rievocato con nostalgia l’Italia di 40 anni fa anche nel vendutissimo libro autobiografico N. 1 – una vita di avventure, incontri, scherzi e risate (Solferino).
Cosa c’è da rimpiangere degli Anni Ottanta?
«Un po’ tutto, e non solo da parte di chi faceva la tv come me. Per tutti gli italiani è stato un periodo magnifico all’insegna di spensieratezza, nuovo benessere, leggerezza. Un clima perfettamente descritto dai nostri film».
In che modo?
«Le nostre commedie avevano per protagonisti gli yuppies, professionisti rampanti che dalle loro scrivanie andavano alla conquista del mondo, gli italiani che scoprivano le vacanze a Cortina, a Montecarlo...»
Oggi la leggerezza si è persa del tutto?
«Temo proprio di sì. Il mondo è cambiato e ogni Paese affronta problemi enormi. Non penso solo alla follia sconcertante di Putin o all’Ucraina sotto attacco. La spensieratezza non c’è più».
E in questo scenario il ruolo di voi comici qual è?
«Siamo diventati dei missionari. Abbiamo il dovere sociale di riportare il sorriso. Ce la mettiamo tutta e il pubblico risponde: al festival della commedia di Montecarlo anche quest’anno le sale erano strapiene».
Ma i diktat del pensiero politicamente corretto vi lasciano lavorare?
«Al politically correct indirizzo un sincero “vaffa”, sia chiaro senza connotazione politica alla Beppe Grillo. È un terrificante bavaglio alla satira, che si nutre di attualità, e alla stessa libertà di espressione sancita dalla Costituzione. Io sono per la linea di Checco Zalone e Striscia la notizia di cui ho condotto 35 edizioni: per far ridere non si fanno sconti a nessuno».
Hanno mai provato a censurare la sua comicità?
«Mai. Nemmeno ai tempi di Drive In e delle prime edizioni di Striscia: questi programmi non erano tra i preferiti di Silvio Berlusconi, che non si è mai visto nei nostri studi, ma anche se Drive In faceva la caricatura delle donne formose che piacevano a lui, ci ha lasciati sempre liberi di esprimerci. Sicuramente in questo senso è stato politicamente corretto».
Derivavano dal politically correct anche gli attacchi da lei ricevuti sui social per aver offerto aiuto alla mamma che aveva abbandonato il suo bambino appena nato?
«Qualcuno ha cavalcato l’episodio in senso politico senza pensare all’aspetto umano della vicenda. Ma a darmi ragione sono stati i migliaia di ringraziamenti che ho ricevuto e i 18mila neonati che abbiamo salvato con le incubatrici donate dalla mia associanzione benefica. Vorrei sapere cosa hanno fatto per queste creature i miei accusatori».
Nel suo libro racconta gli scherzi. Il più cattivo?
«Durante la registrazione di Drive In, lasciammo per oltre un’ora appeso al soffitto Enrico Beruschi che faceva l’angelo. Ancora me lo rinfaccia».
A che punto è la preparazione del suo nuovo film?
«Va avanti con un po’ di difficoltà. Perché è una commedia drammatica, un genere che da me forse nessuno si aspetta».
Qual è la sua più grande soddisfazione?
«Essere riuscito, grazie ai successi del lavoro, a soccorrere i neonati prematuri, i profughi ucraini, gli alluvionati dell’Emilia-Romagna. Non c’è Telegatto, David o Nastro paragonabile alla gioia di aiutare chi ne ha bisogno».