Corriere della Sera, 1 luglio 2023
Intervista ad Adrian Lyne
Il primo a sorprendersi di tanto amore a distanza di 40 anni per quel film in cui, a parte lui, sembrava non credere nessuno, è il diretto interessato, Adrian Lyne, il regista inglese che negli anni ’80 e ’90 ha fatto la fortuna di Hollywood con un’infilata di successi: Flashdance, appunto, 9 settimane e ½, Proposta indecente, Attrazione fatale. Pochi giorni fa, alla 59ª edizione del Pesaro film festival, un pubblico ad alto tasso cinefilo ha reso omaggio a Flashdance.
Perché si stupisce?
«Ero in Italia nel 1983, al Festival del cinema di Venezia quando lo abbiamo mostrato in anteprima, nella sezione Venezia notte. Ho ricevuto recensioni orribili. Una per esempio, la tengo incorniciata nel mio studio per quanto era atroce. Ce l’ho qui di fronte mentre le parlo».
Neanche i produttori credevano nelle potenzialità del film, svendettero i diritti due settimane prima dell’uscita.
«Fu terribile, nessuno mi seguiva. Solo contro tutti».
Come si spiega così poca fiducia?
«Penso che quello che spaventava del film era la forza, la sua energia, le scene di ballo diverse dal solito. Mi ricordo di aver insistito con lo studio sulla scena con Jennifer Beals, Alex, che balla sulla sedia con il getto d’acqua, ho immaginato gli schizzi che volava intorno e che il pubblico si arrabbiasse perché era stato bagnato. Non avevo idea di come girarla ma sapevo di non voler rinunciare. Sentivo lo scetticismo dei produttori, la cupezza sui loro volti quando mi hanno visto arrivare sul set con il tubo dell’acqua. Meraviglioso».
Ne è uscita una delle scene più iconiche del cinema di quegli anni.
«Provammo ad illuminarla nel modo giusto su uno sfondo bianco ma era ridicolo, l’acqua non veniva bene, non si vedeva. Abbiamo cambiato tutto e l’abbiamo fatta con una luce molto intensa, così le gocce si vedevano finalmente, e finalmente è riuscita bene. Bob Fosse, il grande regista di musical, mi disse che gli era piaciuta. Fui sorpreso e lusingato, gli dissi: “Sai, ho rubato dal tuo Lenny, il modo in cui Dustin Hoffman era illuminato era stupendo”, e mi rispose: “Lo so”».
Come scelse Beals?
«Avevo visto quasi ogni attrice. Poi arrivò lei ai provini mi colpì la sua vulnerabilità. la feci piangere, perché volevo vedere la sua gamma di emozioni. Lo ha fatto molto facilmente, perché aveva perso tutti suoi bagagli prima di arrivare ed era disperata. Penso che il film funzioni principalmente grazie a lei, perché aveva la qualità di una bambina, aveva solo 17 anni. E anche perché era una ballerina meravigliosa, davvero».
«Flashdance» ha influenzato profondamento l’immaginario pop di quegli anni.
«Trovo difficile parlare delle mie cose, ma è vero. Ricordo che alcuni esercenti mi raccontavano l’impatto sugli spettatori: “Ballano nei corridoi, ballano nei cinema”. Successe pure a Times Square, a New York. Le ragazze indossavano la maglietta calata sulla spalla. Anche quella fu una mia idea, l’avevo fatto in pubblicità prima di fare questo film, mi piaceva mettere le ragazze in vestiti da uomini, oversize, pensavo che enfatizzasse la loro femminilità».
Quando arrivò Jennifer Beals ai provini
mi colpì la
sua vulne-rabilità
La feci piangere, volevo vedere la sua gamma di emozioni
Anche la colonna sonora vive di vita propria: «What a Feeling», «Maniac».
«Sì, quei pezzi li senti ancora. È divertente. Ho lavorato molto su Maniac. Avevo ascoltato un gruppo tedesco, i Kraftwerk. E ho sentito nella sezione ritmica, una specie di bing, bing, bong. L’ho fatto sentire a Sembello, gli è piaciuto e l’abbiamo inserito. Abbiamo rubato ai Kraftwerk».
Quanto aiutò la sua carriera il successo del film?
«Mi cercarono da Broadway, mi proposero musical come A chorus line. Ma non volevo ripetermi».
Fece «9 settimane e ½».
«E il commento generale: “Sai che questo è un suicidio professionale”. Credo di essere sempre stato attratto da cose un po’ rischiose».
Anche con quello, «Proposta indecente» e «Attrazione fatale» lasciò il segno.
«Ho sempre cercato solo di fare film a modo mio. Mi interessano i dettagli, piuttosto che Matrix o i film della Marvel, mi colpiscono ma non voglio farli. Forse è perché resto un regista europeo».
È tornato sul set per «Deep water» con Ben Affleck. Non girava da molti anni
«Beh, è stato bello. Era la prima volta che giravo in digitale e, in un certo senso, è stato più facile, perché il processo è stato più snello e meno doloroso. Ma mi chiedo se non dovrebbe essere doloroso. Che sia più semplice non è necessariamente positivo. Anche Deep Water è stato vilipeso come gli altri film. Ma la gente lo ha apprezzato. Quello a cui sono più legato è Allucinazione perversa, del 1990. Il meno capito, per me il migliore».
Ha progetti in cantiere?
«Ne ho uno intitolato One Neck, parla di un serial killer a una festa negli Hamptons a New York. Metà risate, metà orrore, un po’ come un film di Tarantino, come Le Iene. Quella sensazione, per me deliziosa, di orrore e di divertimento un po’ isterico».