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 2023  luglio 01 Sabato calendario

Quando cadono i sovranisti


Sono due le notizie politiche del giorno, apparentemente slegate tra loro ma connesse più di quanto possa sembrare. La prima è il fallimento del vertice europeo proprio sul punto su cui la premier italiana si era spinta a vantare il suo successo internazionale: il tema immigrazione. Il secondo fatto politico rilevante è il primo accordo tra tutte le opposizioni – tolta Italia Viva – su un principio-bandiera come il salario minimo.
Partiamo dal Consiglio europeo. Per sintetizzare in maniera estrema quello che i nostri inviati a Bruxelles raccontano nelle nostre pagine, Polonia e Ungheria, i due Paesi sovranisti, alleati della sovranista Italia, hanno messo il veto sulle conclusioni del summit Ue.
Impedendo l’approvazione di un testo che, per paradosso, sposava le loro tesi sulla “Fortezza Europa” e spingeva per un rafforzamento degli accordi con i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, come la Tunisia, per impedire le partenze dei migranti. Ma allora perché bloccare tutto e prendere in ostaggio le conclusioni del Consiglio europeo? A pesare è stata la rabbia del polacco Mateusz Morawiecki e dell’ungherese Viktor Orbán per l’approvazione a maggioranza qualificata, nell’ultimo Consiglio Affari Interni a Lussemburgo, del nuovo patto per le migrazioni. Un testo che, prevedendo il principio della solidarietà obbligatoria nei confronti dei Paesi di primo approdo, è stato salutato con colpi di cannone e giubilo da parte del governo italiano.
Da qui il corto circuito in cui è caduta Meloni che, quando va in trasferta a Bruxelles, assomiglia sempre più a Vitangelo Moscarda, il protagonista diUno, nessuno e centomila
di Pirandello. Quando si confronta con gli altri 26 leader scopre improvvisamente, come Vitangelo, di aver il naso che pende a destra e non si piace. Si vede allo specchio come la leader sovranista che è stata fino a ieri, così cerca di emendarsi e prova a camuffarsi da europeista. Ma il tentativo è fallimentare in partenza, visto che al fondo condivide le ragioni degli sfascia-Unione. Lo ha ammesso lei stessa: “Nonostante capissi perfettamente le posizioni di Polonia e Ungheria, ho tentato, con il consenso di tutti gli altri Paesi, una mediazione fino all’ultimo”. Mediazione inutile, vertice finito male. E si può scorgere una certa furbizia nell’accorto Charles Michel, il presidente del Consiglio Ue, che ha fatto un passo di lato invitando proprio Meloni a provare a convincere i suoi amici dell’Est.
“Prego Giorgia, accomodati”. Un modo, diremmo noi italiani, molto andreottiano per farle capire in presa diretta che con l’Europa dei veti e delle nazioni sovrane non si va da nessuna parte e i primi a perderci sono proprio quei Paesi, come il nostro, che hanno tuttol’interesse ad avere un’Unione più forte. Perché la lezione del Consiglio europeo di ieri è la stessa di sempre: l’architettura comune non è la somma degli interessi nazionali, ma una sintesi più alta, e gli opposti sovranismi – alleati solo sulla carta – alla fine vanno in conflitto tra di loro. L’Europa delle patrie non esiste, non funziona, è fondata sulle menzogne. Come quella spacciata ieri da Matteo Salvini sul Mes, ennesima fake news su un fondo “straniero che ha interessi stranieri”, mentre tutti sanno che proprio l’Italia è uno dei maggiori contributori netti del Salva-Stati con quasi 15 miliardi di euro. Come scrive la Banca d’Italia, i diritti di voto dei membri del Consiglio del Mes sono proporzionali al capitale sottoscritto dai rispettivi paesi: Germania, Francia e Italia hanno diritti di voto superiori al 15 per cento e possono porre il loro veto anche sulle decisioni prese in condizioni di urgenza. Quindi il Mes è un fondo quasi italiano, altro che straniero.
E veniamo alla seconda notizia significativa, il patto delle opposizioni sul salario minimo a 9 euro l’ora. Al di là dei bisticci infantili sulla primogenitura della proposta, è la prima volta da quando governa Meloni che i leader che le si oppongono trovano una convergenza su un tema forte, facile da spiegare e da capire. È presto per parlare non solo di alleanza, ma anche di un semplice cartello elettorale. E tuttavia sarebbe sbagliato anche sminuire quello che è successo. Partire dal basso, dalle convergenze concrete, è un metodo utile per evitare veti preventivi e per dimostrare agli elettori del centrosinistra che si comincia a fare sul serio. Di fronte a un governo che inciampa in Europa, che sta facendo fallire il Pnrr, che isola il Paese sul Mes, è dovere dell’opposizione almeno provarci.