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 2023  luglio 01 Sabato calendario

Intervista a Giuliano Amato

«Là dove non c’è maternità surrogata, nelle coppie omosessuali femminili non vedo ostacoli al riconoscimento della genitorialità piena anche della madre non biologica. Nel diritto, in sostanza, dovrebbero poterci essere due mamme». Giuliano Amato, presidente emerito della Corte Costituzionale, va oltre i confini finora tracciati dalla giurisprudenza e dalla stessa Consulta e apre a nuove possibilità per i figli di coppie di donne gay.
Con un’avvertenza sia per la destra che per la sinistra politica. E una riflessione di ampio respiro sulla democrazia, l’eredità politica di Berlusconi, il preoccupante scenario internazionale con il gigante nucleare russo dai piedi d’argilla.
Professor Amato, il frutto più velenoso della campagna della destra contro le famiglie omogenitoriali è stata l’iniziativa della procura di Padova che ha impugnato trentatré atti di nascita di figli di mamme gay.
Questi bambini sono stati formalmente privati della madre non biologica, del suo cognome e della sua rete parentale.
«Avendo fatto parte per nove anni della Corte Costituzionale, e non solo per questo, non assumo come dato di partenza che l’iniziativa di una procura della Repubblica sia dettata dalla destra al governo.
Perché, se così fosse, sarei a dir poco rammaricato dal momento che continuo a credere nella divisione dei poteri e che quindi una procura agisca perché ha fatto le sue valutazioni».
La domanda è se l’iniziativa della procura sia in linea con lo spirito delle sentenze della Corte Costituzionale in materia. Al centro di queste sentenze è la tutela del miglior interesse del bambino che viene individuato “nel riconoscimento dei legami che di fatto già lo uniscono a entrambi componenti della coppia”.
«Questo principio è stato ribadito anche in pronunciamenti molto recenti: l’identità di un figlio deriva dalla sua vita familiare. Nel caso però della maternità surrogata, secondo la stessa Corte Costituzionale, il genitore intenzionale può solo adottare, non riconoscere. Solo in questo modo rimane per la maternità surrogata quel disvalore che gli ha dato l’ordinamento riconoscendola come reato».
Ma nel caso in cui non si ricorra alla maternità surrogata? Nella vicenda di Padova, i bambini sono figli di coppie di madri, nati dalla fecondazione eterologa.
«In questo caso io personalmente non vedo ostacoli al riconoscimento della genitorialità piena anche della madre non biologica. Quel bambino è il frutto della volontà di due donne, è stato cresciuto da entrambe, quindi può essere il figlio delle due madri.
Perché non riconoscere questo diritto anche alla madre non biologica? Questo però la Corte Costituzionale non l’ha ancora detto. E la legge che vige in Italia sulla fecondazione artificiale autorizza l’eterologa solo per le coppie eterosessuali».
Quindi le esprime una posizione morale e giuridica cheva oltre la Corte e la giurisprudenza. Nel diritto si aprirebbe lo spazio per due mamme.
«Io pongo una domanda, che vale là dove non ci sia il ricorso alla maternità surrogata. Questa domanda attende ancora una risposta».
Ciò comporterebbe una differenziazione tra i figli di due uomini e i figli di due donne.
«È una conseguenza inevitabile».
Ma in questo modo i figli delle coppie che ricorrono alla maternità surrogata non rischiano di diventare “i nuovi figli illegittimi” del nostro tempo, come li ha definiti Chiara Saraceno?
«Noi amiamo le parole forti, ma “illegittimo” mi pare un termine inappropriato. Non sono figli illegittimi, neppure lontanamente paragonabili ai figli non riconosciuti d’un tempo, dal momento che possono essere adottati dai genitori intenzionali.
Il punto è che l’adozione così come oggi è concepita è un congegno molto difettoso. E la Corte, che pure lo ha migliorato, ha ripetutamente invitato il Parlamento a intervenire, un appello finora rimasto inascoltato». In un’intervista la ministra della Famiglia Eugenia Roccella ha prospettato una sanatoria per i figli della maternità surrogata. Le pare una soluzione?
«No, i bambini non sono abusi edilizi, come già è stato detto. Ne va definito il trattamento più rispondente al loro interesse, nelle diverse situazioni. Punto».
Colpisce che, in nome della difesa della famiglia tradizionale, l’Italia resti il Paese dei figli diseguali. Fino al 2012 èsopravvissuta la distinzione tra i figli cosiddetti legittimi e i figli naturali, riconosciuti dal padre ma non facenti parte della sua rete famigliare. Un ritardo culturale enorme.
«Quello sì fu un ritardo colpevole, ma non concordo con questa analisi pessimista della realtà italiana. La maternità surrogata ha messo in crisi tutti i paesi europei.
E oggi mi spaventa in Italia la divisione così marcata tra i paladini delle famiglie tradizionali e i sostenitori dei diritti delle famiglie diverse. La sinistra non può ignorare che larga parte di quei ceti popolari che vuole recuperare – l’elettorato che vota le destre in Europa e Donald Trump in America – è fedele ai valori tradizionali espressi dalla triade “Dio, patria e famiglia”.
Questo non significa che bisogna assecondare la deriva tradizionalista, al contrario. Ma per combatterla serve un lavoro politico profondo, non limitarsi a fare una comparsata al Gay Pride».
Sta parlando al Pd di Elly Schlein?
«Sto ricordando alla sinistra che cosa è la politica. Oltre cinquant’anni fa, il partito di cui facevo parte – il Psi – cominciò una campagna a favore del divorzio con la proposta di legge Fortuna-Baslini. I tempi erano molto diversi, ma ci saremmo ben guardati dal limitarci a fugaci spot elettorali. Io andavo a parlare con i compagni, sezione per sezione, nelle campagne della Lucchesia o tra i marmisti delle Apuane.
“Amato”, mi disse una volta un vecchio socialista, “avrai pure ragione ma queste donne esagerano”. Se non avessimo fatto così, se così non avesse fatto il Partito comunista con la sua reteben più fitta, il divorzio non sarebbe passato. Oggi la sinistra dovrebbe trovare i modi per fare lo stesso: andare in periferia, promuovere assemblee di quartiere. Altrimenti si condanna a restare maggioranza ai Parioli o a Manhattan, e minoranza al di fuori di quei ristrettissimi confini».
Visto che siamo passati a un ragionamento politico, le chiedo se dopo la scomparsa di Berlusconi ci sia ancora spazio per il centro nella geografia politica italiana.
«La destra potrebbe conquistarlo con il progressivo spostamento di Fratelli d’Italia verso l’ortodossia europea: non tutti saranno capaci di spogliarsi delle antiche vesti, ma molti potrebbero concorrere alla formazione di un centro politico che sarà più a destra rispetto a Forza Italia. Questo potrebbe provocare di rimbalzo la nascita di una formazione centrista più a sinistra. Non c’è dubbio che sarà qui che avverranno le cose politicamente più interessanti».
L’addio a Berlusconi non è stato caratterizzato da misura.
La stampa internazionale, anche la più moderata, non ha avuto gli accenti celebrativi di larga parte della nostra informazione.
“Anche io sono stato colpito dall’atteggiamento ben più storicizzato dei giornali stranieri.
Il più espressivo mi è parso il titolo dell’Economist: The great seducer, il grande seduttore»
Un grande seduttore merita funerali di Stato e protratta sospensione del Parlamento?
«Beh, i funerali di Stato gli spettavano in qualità di ex premier».
Non tutti gli ex premier ne hanno beneficiato.
«Ma spetta a tutti. Pensi che io nei avrei doppia titolarità, in qualità di ex presidente del Consiglio ed ex presidente della Consulta. Ma non voglio averli».
Perché?
«Io lo Stato l’ho servito, ma il commiato lo vorrei più intimo».
Berlusconi, che lo Stato l’ha servito a modo suo, non deve aver lasciato disposizioni contrarie.
«Era prevedibile che la destra italiana utilizzasse questa occasione per dirne tutto il bene possibile, cancellando il male. Un tentativo di beatificazione poco credibile però – specie per il non detto – che non ha convinto gran parte di italiani, soprattutto le donne. Nessuna celebrazione può cancellare l’addolorata denuncia della moglie Veronica per le ragazze che gli venivano procurate o il voto del Parlamento italiano che ha accreditato una minorenne come la figlia di Mubarak. Quanto alla politica, il suo messaggio spregiudicato e individualista è stato lanciato quando si stavano allentando i legami delle nostre società. Il mio bilancio su di lui, insomma, non inclina certo alla santità. Tuttavia sarebbe sbagliato ignorarne le indubbie capacità imprenditoriali. E la straordinaria simpatia».
In un momento drammatico nella vita di Repubblica, all’epoca della guerra di Segrate, Eugenio Scalfari partecipò a una nostra assemblea infuocata.
“Berlusconi è un uomo di rara simpatia”, ci disse. “Ho passato serate molto divertenti, con lui al piano che suonava La vie en rose.Ma se finisce nelle sue mani Repubblica muore”. La simpatia ha insomma un valore relativo.
«Mi ritrovo nella reazione di Eugenio. Berlusconi l’ho sempre frequentato poco, ma ricordo un invito a cena nella sua casa romana di via dell’Anima: forse era il 1987, erano finiti i governi guidati da Bettino Craxi. Fu molto affabile. Mi disse a un certo punto: “In Italia ci sono solo due persone che meritano uno stipendio di un miliardo di lire all’anno. Uno è Cesare Romiti, l’altro sei tu”.
Lasciai cadere. Tornato a casa dissi a mia moglie:”Diana, non dire mai ai nostri figli che oggi ho rifiutato uno stipendio di un miliardo all’anno”. Gente come noi stava da un’altra parte».
Bettino Craxi era stato il suo protettore politico.
«Tra loro non era un rapporto di soldi ma di stima e simpatia reciproca. E Berlusconi non sempre faceva quello che Craxi gli chiedeva. Mi ricordo le telefonate del segretario socialista per far cacciare Montanelli quando scriveva sulGiornale articoli che non gli piacevano. Berlusconi ha sempre resistito, aspettando che a Craxi passasse il malumore».
Un’ultima domanda sull’attualità internazionale. Ora tutto il mondo guarda al gigante nucleare dai piedi d’argilla. Che effetti può avere l’indebolimento di Putin nella guerra russo-ucraina e negli equilibri internazionali?
«Oggi c’è preoccupazione più per un’eventuale caduta di Putin che per il contrario: questo perché l’armamentario nucleare russo potrebbe finire nelle mani di irresponsabili. È una situazione molto complessa che genera in me un’unica speranza: che i tre quarti del mondo che stanno dalla parte della Russia – o che comunque non le si oppongono – vengano spinti da questa situazione a prendere atto delle differenze profonde tra un regime autoritario super armato e le democrazie. In questo senso benedico l’incontro a Washington tra Biden e il premier indiano Modi. Il mondo deve capire che, per quanto ammaccate, le nostre democrazie non potranno mai ospitare fenomeni abnormi come Wagner e le sue conseguenze».
Lei conobbe personalmente Putin nel Duemila.
«Ero presidente del Consiglio quando Putin si propose come ricostruttore dello stato nazionale russo dopo il dissolvimento dell’Urss. Noi perdemmo quell’occasione e, nonostante molti miei amici siano convinti che le colpe siano tutte di Putin, continuo a chiedermi se la storia sarebbe stata diversa con un Occidente più aperto. Di lui mi colpiva lo sguardo assottigliato, gli occhi ridotti a una fessura. E una certa vitalità. In un Bilaterale a Mosca, mi invitò nel suo studio al Cremlino. E nel suo inglese mi indicò la parete dietro la sua scrivania. “Vedi quel muro? L’ho fatto costruire io. Con Stalin la distanza era doppia e la sua scrivania stava laggiù”. Niente lasciava supporre che presto avrebbe fatto sua la lezione staliniana sul rapporto tra spazio e potere. Il dittatore georgiano è diventato il suo eroe nazionale. E ora il mondo trema guardando a quel che succede a Mosca».