la Repubblica, 1 luglio 2023
Intervista a Elly Schlein
Sarà il lungo cammino di Elly Schlein nel deserto politico dell’Italia meloniana, cominciato ieri al Pigneto, non a caso fuori dalla Ztl romana. La battaglia per il salario minimo diventa la prima tappa di un percorso a ostacoli e tutto in salita, ma acquista un valore politico al di là del merito perché è frutto di una convergenza senza precedenti tra tutte le opposizioni. Quasi tutte, dato che Matteo Renzi si è già premurato a distinguersi.
Sullo sfondo di questo colloquio conRepubblica, la preoccupazione per un governo che «ci sta isolando in Europa» e che nel Paese sta «abbandonando i lavoratori poveri» nella morsa dell’inflazione.
A breve andrà in soffitta il Reddito di cittadinanza. Perché fa del salario minimo la sua prima scommessa politica, segretaria Schlein? E perché la ritiene una “cosa” di sinistra?
«La ritengo importante, oltre che di sinistra, perché il Paese è segnato da enormi sacche di lavoro povero, sottopagato, disconosciuto, mortificato.
Parliamo di tre milioni di italiani indigenti benché, sulla carta, dotati di un impiego.
Sono quei lavoratori che il governo Meloni sceglie di non vedere, si ostina a cancellare. Il decreto Lavoro, varato il Primo maggio, estende i contratti a termine e i voucher, ma archivia il reddito di cittadinanza che si era rivelato in questi anni uno strumento fondamentale per affrontare l’impoverimento progressivo.
Il 20 per cento di chi lo prende è povero anche se lavora. Grazie a Giorgia Meloni perderanno questo supporto».
A cosa puntate?
«La nostra è una risposta forte delleopposizioni, che intanto fanno valere il principio per cui sotto una certa soglia non è più lavoro ma è sfruttamento, è povertà, appunto. Non è solo una proposta sul salario minimo, perché rafforza la contrattazione collettiva e estende la retribuzione del contratto più rappresentativo a tutti i lavoratori del settore. Fissa una soglia minima di nove euro all’ora sotto la quale non si può andare. Per noi lavoro e povero non devono più stare nella stessa frase».
Cosa le fa pensare che il governo Meloni, che ha già chiuso la pratica col decreto Lavoro, possa tenere conto della vostra proposta?
«È importante che lo faccia. Intanto perché non è una proposta velleitaria o strumentale ma un progetto avanzato da tutte le forze politiche che rappresentano l’altra metà degli italiani, quella che non ha votato centrodestra. Ma soprattutto, per l’obiettivo che si propone: far fronte al peso dell’inflazione che grava su moltissime famiglie, erodendone il potere di acquisto e creando sacche enormi di nuova povertà. Meloni e il suo governo non possono girarsi dall’altra parte».
Finora non avete dato prova di grande compattezza con le altre forze di centrosinistra, a fronte di una destra che marcia determinata.
«Abbiamo insistito perché si lavorasse in modo condiviso. Alla fine, la proposta sarà firmata e depositata da M5S, Pd, Azione, Sinistra italiana, Verdi e + Europa. Ci siamo sentiti con gli altri leader, ci sono state riunioni congiunte tra i dirigenti e i parlamentari competenti in materia, per noi la responsabile lavoro Cecilia Guerra.
Loro hanno portato a termine la stesura del testo. Un metodo che funziona. Lo ritengo davvero un buon inizio».
In queste ore si è registrata la retromarcia del governo sul Mes chel’Italia, unico Paese, si ostina a non ratificare. Il via libera viene rinviato adesso di quattro mesi e non più per un anno. Lei è reduce da tre giorni a Bruxelles, che idea si è fatta della percezione che gli altri hanno di noi?
«Questo è il governo dei rinvii e dello scaricabarile. Non si era mai vista una maggioranza che diserta in massa una seduta parlamentare dedicata alla ratifica di un delicato trattato internazionale, lasciando la sola opposizione in aula a votarla. Ratificare il Mes non significa chiedere l’attivazione di quello strumento, sono due cose diverse. Ma la propaganda e le fake news di Salvini e Meloni oggi si scontrano con la realtà.
L’Europa sta attendendo i palleggi di un’Italia prigioniera della campagnaideologica della destra al potere. Questo è un fatto molto grave, l’impressione che ho e che corriamo rischi molto seri».
Anche sui migranti, il veto di Polonia e Ungheria racconta molto delle conseguenze dei nazionalismi e dei sovranismi. Intanto hanno fatto fallire il patto che il Consiglio europeo stava per siglare. È così?
«Purtroppo siamo isolati e lo saremo sempre di più, se Giorgia Meloni continua a scegliere gli amici sbagliati. Oggi voltano le spalle alla premier Orbán e Morawiecki, gli alleati nazionalisti. Poco male, se non fosse che a pagare le conseguenze sarà l’intero Paese. Del resto, quando ci siamo battuti per modificare il Trattato di Dublino loro erano sul fronte opposto. E oggi che la premier si appresta adaccettare un compromesso al ribasso, che non cancella il criterio del primo Paese d’accesso che lascia maggiori responsabilità sull’accoglienza all’Italia, gli amici dell’Est la mollano. C’è sempre qualcuno più sovranista di te che fa gli interessi del suo Paese a discapito del tuo.
Non è questa la solidarietà europea».
Sono giorni di grande apprensione per le sorti del Pnrr. Ritardi sulla terza rata, incertezze sulla quarta. Lei è preoccupata?
«Sì, sono preoccupata. I tentennamenti del governo rischiano di far perdere un’occasione storica all’Italia per ammodernare il Paese, per realizzare la trasformazione digitale, per affrontare la conversione ecologica e, a conti fatti, per ridurre le diseguaglianze. Da mesi il governo non comunica nemmeno le modifiche che intende sottoporre a Bruxelles. Io credo che stiano perdendo tempo perché non condividono le finalità di questo piano e sarebbe un fatto gravissimo se fallissimo gli obiettivi».
Vicenda Santanché. Un affare personale o un macigno serio per il governo? La ministra dovrebbe lasciare?
«Sono emerse da alcune inchieste giornalistiche delle vicende gravissime, secondo cui le società che fanno capo alla ministra Santanché non pagavano dipendenti, i fornitori, licenziavano senza tfr. E il Pd ha scoperto un debito con lo Stato per 2,7 milioni di euro. Ora ne risponderà in Parlamento. Ma ci sono ministri che si sono dimessi per molto meno. Quale sia l’esito inevitabile di questa vicenda, per il Pd, è molto chiaro».
In queste ore intanto lei ha aperto la sua “estate militante” dal quartiereromano del Pigneto per parlare di casa.
Perché proprio da lì e da quel tema?
«Perché riteniamo fondamentale e oltremodo trascurato il diritto alla casa.
Proponiamo un percorso in dieci proposte per un piano casa nazionale che finora è mancato all’Italia. Apriamo un confronto con gli amministratori, con gli inquilini, con i proprietari, con le studentesse e con gli studenti, con le associazioni. Sarà un percorso di ascolto.
Poi, a settembre, presenteremo il nostro piano. Vogliamo misurarci col governo su proposte molto concrete».
Aspirazione legittima per una forza che vorrebbe governare. Tuttavia, le ultime consultazioni regionali, dalla Lombardia al Molise, non vi hanno affatto premiato. E l’ultimo sondaggio dell’Atlante politico di Ilvo Diamanti, pubblicato da questo giornale, registra anche un calo del suo gradimento personale. Non la preoccupa?
«No. Quando siamo arrivati il Pd era fermo al 15 per cento. In due mesi lo abbiamo riportato sopra il 20. Non faccio politica e non compio scelte guardando tutti i giorni i sondaggi. Mi preoccupa piuttosto la massa sempre più consistente di persone che non nutre più alcuna fiducia nella politica e rinuncia al voto. Per me la politica non è competizione con le altre forze di opposizione, ma lottare giorno per giorno per riconquistare la fiducia di chi ci ha rinunciato a votare perché non crede più che la politica serva a migliorare la propria vita.
Gli elettori torneranno a scommettere su di noi e il Partito democratico se ne farà interprete per guidare un governo che abbia rispetto per i diritti, per il lavoro, per il clima e per l’eguaglianza tra tutti i cittadini».