La Stampa, 1 luglio 2023
Le rivolte dei francesi
Emmanuel Macron è di nuovo sul filo, da una parte le fiamme delle banlieues che chiedono giustizia per un ragazzo ucciso con un colpo a bruciapelo dalla polizia, dall’altra un’opinione pubblica che vuole sicurezza e reclama ordine dopo tre notti di folle rivolta. Macron ha prima mostrato compassione per la vittima e la famiglia; poi fermezza con il poliziotto per un gesto «inesplicabile e ingiustificabile»; ora deve riprendere il controllo della Repubblica. Si annunciano misure mai viste, uno stato di emergenza di fatto.
La Francia rivive lo spettro della rivolta del 2005, anche se le circostanze sono molto diverse, il Paese sembra più infiammabile di allora, il presidente pareva appena risalire dall’abisso di popolarità in cui era precipitato. Dopo la gogna incessante e trasversale per la riforma delle pensioni, si ritrova a tu per tu con gli spezzoni di un popolo sempre più reattivo. Come nell’autunno del ’19 di fronte alla rivolta popolare dei gilets gialli, come accade fin dalle prime battute del suo primo mandato nel 2017 quando sulla spinta del movimento delle “Nuits débout” (le notti in piedi) nacque il movimento “I giovani contro Macron”. Situazioni molto diverse con la costante di un Paese dall’atmosfera satura di un composto infiammabile. Un cerino buttato a Nanterre nella banlieue parigina ha riacceso in poche ore i quartieri “sensibili” di Tolosa, Lione, Digione e decine di altri che già vent’anni fa furono chiamati “territori perduti” della Repubblica. Nel 2005 la rivolta era durata tre settimane. Diecimila auto incendiate, tre mila arresti, tre morti, i conti rimasti in sospeso con i giovani immigrati di seconda e anche terza generazione che reclamavano la loro doppia identità, quella materna e quella matrigna e denunciavano la promessa mancata dell’integrazione repubblicana. Rivendicazione identitaria e sociale che rivelava una realtà ben diversa dalla narrazione nazionale. Lo scontro fu duro, Nicolas Sarkozy ha costruito il suo successo con gli elettori moderati già blanditi e tentati dall’estrema destra di Jean-Marie Le Pen. Nel 2007 Sarkò è arrivato all’Eliseo sulla spinta della promessa di ripristinare legge e ordine: «Vi libererò da questa la spazzatura umana ("racaille")». Non è successo.
Nel 2005 tutto era cominciato a Clichy-sous-Bois con la morte di due ragazzini fulminati in una cabina dell’alta tensione dove si erano rifugiati per sfuggire ai poliziotti. Un’altra banlieue parigina, da dove la capitale si vede come un miraggio: vicina ma irraggiungibile. Questa volta è cominciata a Nanterre, ma in circostanze diverse. Nahel M., 17 anni, è morto per un colpo sparato da un agente motociclista. Lo avevano fermato per un controllo dopo una folle corsa. Gli agenti lo tenevano sotto tiro, all’improvviso è ripartito, uno dei poliziotti ha sparato e colpito al torace, morto sul colpo. Non aveva la patente, era disarmato. Era nato un anno dopo la rivolta del 2005, apparteneva a un’altra generazione, quella che ora Le Monde chiama «esplosiva». Nelle interviste ai giornali, i politici locali raccontano la sensazione di vivere su una «polveriera», non si sa cosa rispondere a chi dice «spacchiamo tutto». Se il marchio del 2005 erano state le auto incendiate, in questi primi tre giorni di rivolta i bersagli sono stati i simboli della République: commissariati, carceri, municipi e persino le scuole. E intorno ai roghi improvvisati, cortei di auto in festa con i clacson dispiegati.
La differenza, spiegava ieri su Le Monde uno studioso dei movimenti giovanili, la fanno anche i social e i video che si diffondono in rete nel giro di qualche ora. Sono migliaia, ognuno ha il suo rogo da mostrare, il suo quartiere che brucia, la sua vendetta che si consuma. È come se fosse in corso una gara nazionale a chi la fa più grossa.
In questo caso, poi, un video girato da un cittadino ha giocato un ruolo determinante, smentendo la solita versione della polizia secondo cui il poliziotto aveva sparato per legittima difesa. Le immagini sono inequivocabili; quando Nahel è partito di scatto sulla sua auto gialla, i due agenti erano su un lato, niente li minacciava. L’agente che ha sparato è stato arrestato e accusato di omicidio volontario. Ha commesso un errore «ingiustificabile e inesplicabile», come ha detto il presidente. Solo Marine Le Pen ha concesso all’arrestato la presunzione di innocenza. È sempre lei lo spettro che si aggira nei corridoi del potere francese, una competizione politica sfrenata e spesso feroce che in questo caso assomiglia a una danza macabra. —