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 2023  luglio 01 Sabato calendario

SENZA PELÙ SULLA LINGUA – PIERO PELÙ ANNUNCIA LO STOP AI CONCERTI A CAUSA DI PROBLEMI ALL’UDITO: “HO SUBÌTO UNO SHOCK ACUSTICO DALLE CUFFIE. AVRÒ BISOGNO DI UN RIPOSO FORZATO” – LA BOMBASTICA INTERVISTA BY ALDO CAZZULLO, DOVE RACCONTA IL SUO CONCERTO IN VIETNAM NEL 2007: "FINÌ CON IL PUBBLICO CHE TRAVOLSE LA POLIZIA” – “ERAVAMO INVITATI DA UN AMBASCIATORE PER UN FESTIVAL DELLA CULTURA ITALIANA. LA NOSTRA INTERPRETE ERA CHIARAMENTE UNA SPIA. NON CI MOLLAVA MAI. LA SEMINAVO PER ANDARE A VEDERE LA HANOI VERA. HO VISTO SCENE…" -

Estratto da www.tgcom24.mediaset.it Brutte notizie per i fan di Piero Pelù, che aspettavano di vederlo durante il tour estivo "Estremo live". Via social il cantante ha infatti annunciato di doversi fermare per qualche mese per problemi di salute: "Ho subìto uno shock acustico forte dalle cuffie. Questo ha acutizzato gli acufeni, rendendoli molto aggressivi. Avrò bisogno di un riposo forzato per le mie orecchie di rocker".

[…] "Ragazzaccc miei, non avrei mai voluto farvi questa comunicazione ma a questo punto è inevitabile", ha scritto ai suoi follower. "Ho ricevuto l'unanime comunicazione che avrò bisogno di un riposo, dunque il tour 'Estremo' di quest’estate 2023 dovrà essere rimandato di alcuni mesi".

"Nessun addio, è un arrivederci" […]"Sono giorni molto delicati per me che non ho mai rinunciato a nessun live, anche con le costole rotte dopo i miei stage diving, ma devo affrontare questa nuova realtà con lucidità". […] "Attenzione, questo NON è a un addio alle scene ma solo un arrivederci al prima possibile".



2. PIERO PELÙ AD HANOI NEL 2007: «IL MIO FU IL PRIMO CONCERTO ROCK NELLA STORIA DEL PAESE. E IL PUBBLICO TRAVOLSE LA POLIZIA» Estratto dell’articolo di Aldo Cazzullo per il “Corriere della Sera”

[…] Che viaggio fu? «Un flash. Ero direttore dell’Estate fiorentina, dovevo rientrare per la presentazione del programma a Palazzo Vecchio. […] nel settembre 2007 mi dimisi. […]».

[…] Con chi viaggiava? «La band si chiamava P-Trio, dove P stava per Power ma pure per Piero. Paul Baglioni (non parente) alla batteria, Fefo Forconi tatuato dalla testa ai piedi alla chitarra, Barny Bagni al basso. E sosia».

[…]Eravamo invitati da un ambasciatore molto simpatico, Alfredo Matacotta, che aveva avuto l’idea di un festival della cultura contemporanea italiana. Il Mart di Rovereto aveva mandato capolavori del Novecento: Schifano, Guttuso, Burri. Poi c’eravamo indegnamente noi».

Come fu l’arrivo? «Ci portarono subito alla conferenza stampa […]E lì si appalesò subito Svetlana».

Svetlana? «La chiamo così perché non ne ricordo il nome. Svetlana era l’interprete che ci avevano assegnato nella Mosca della perestrojka, quando ero andato per suonare, con i miei amici dei CCCP-Fedeli alla linea. Svetlana era chiaramente una spia, incaricata di sorvegliarci. E purtroppo lo era anche la nostra interprete vietnamita. Molto bella e graziosa. Ma non ci mollava mai. Cominciò un duello».

Perché? «Perché io la seminavo per andare a vedere la Hanoi vera. […]».

E i mercati? «Ho visto scene meravigliose. Nugoli di moto come se fossimo al Mugello. Motorini con a bordo padre, madre e quattro figli: da surclassare i napoletani. Ho visto con questi occhi un motorino con un maiale vivo da 250 chili davanti e un altro dietro, sul portapacchi. Un altro motociclista sul portapacchi portava una torre alta tre metri di gabbiette piene di anatre vive, cui era meglio non affezionarsi».

Oltre che viaggiatore lei è notoriamente animalista. «Mi indigno quando vedo maltrattare gli animali. Ma mi indignai ancora di più nel vedere come i poliziotti vietnamiti maltrattavano i loro compatrioti. La più banale delle violazioni, anche solo il non camminare dritti sul marciapiede, era punita con il manganello elettrico, il taser. C’era gente che era in galera da vent’anni. Ma erano punite con durezza anche le forme più banali di dissenso. Tra l’altro non potevo avere accesso a Internet e ai miei social, anzi l’unico, che all’epoca era MySpace: ero segnalato in quanto sostenitore di Amnesty International».

Un regime. «Un regime comunista. Su cui si era innescato il capitalismo selvaggio. In Vietnam producevano già beni americani, compresi gli strumenti musicali. Ma la libertà era bandita. A cominciare dal rock. Il nostro sarebbe stato di fatto il primo concerto rock nella storia del Paese».

[…] Torniamo ad Hanoi 2007. «In camerino cominciamo a preoccuparci, quando sentiamo un grido che cresce: “Elo, Elo”, poi “Ielo, Ielo”, infine: “Pielo, Pielo”... Stavano gridando il mio nome».

Ottimo inizio.  «Il bello doveva ancora venire. Ma non ero io. Era il sosia».

 […]  E cosa accadde?  «Anche i poliziotti diedero la schiena al pubblico e si girarono verso il palco. Noi ovviamente non ci risparmiammo e ci demmo dentro: Tribù, El Diablo, le canzoni più rock e anche le più ballabili. La carica partì dal fondo. Il terzo settore travolse il cordone e invase il secondo. Poi tutti insieme sfondarono l’altro cordone, e si ritrovarono con i Vip a pogare sotto il palco. La piramide sociale si era capovolta. Suonammo per due ore, sotto la pioggia monsonica, in un’atmosfera insieme folle e mistica». 

E l’ambasciatore?  «Lo vidi pogare in mezzo ai vietnamiti, con il pollice alzato: missione compiuta». 

E i poliziotti ferocissimi?  «Non pervenuti. A fine concerto cominciammo tutti insieme a gridare: “Hanoi rocks!”. Che è il nome di un gruppo finlandese; ma era anche un grido di rivolta. Tornammo felici nei camerini; li trovammo svuotati. Non ci era rimasto più nulla: soldi, cellulari, carte di credito. Recuperammo solo i passaporti, gettati in un angolo». 

E poi?  «Capimmo che era il momento di tornare a casa. Era stata la piccola vendetta di un regime che per una notte, e una soltanto, era stato sconfitto da un pezzo piccolo ma prezioso del suo popolo. Lasciai una dedica “all’ambasciata più ganza del mondo”. Per fortuna il volo di ritorno non era in overbooking. Alfredo Matacotta ci ha lasciati due anni fa. Ma quella dedica ora è scolpita su una lastra di marmo all’ambasciata italiana di Hanoi».