la Repubblica, 30 giugno 2023
Le purghe di Stalin
Se Vladimir Putin ha bisogno di un modello per le sue purghe dei complici veri o presunti di Evgenij Prigozhin nel tentato golpe della settimana scorsa, non deve cercare lontano: basta che si sporga dalla finestra del suo ufficio al Cremlino e guardi giù, lungo le mura dell’ex-fortezza zarista, proprio alle spalle del Mausoleo di Lenin. Lì troverebbe, fra le tombe di tutti gli ex-segretari generali del Partito comunista sovietico (tranne gli apostati riformatori Krusciov e Gorbaciov), l’urna che custodisce il corpo di Josif Vissarionovic Stalin, il peggiore tiranno nella storia totalitaria dell’Urss, lo Stato predecessore della Russia odierna.
Fu Stalin a elevare a ossessione il concetto di “purga”, ovvero la drastica eliminazione degli oppositori da parte di un regime dittatoriale. Non per nulla lo scrittore inglese Martin Amis intitolò “Koba (soprannome di Stalin, ndr ) il Terribile” la sua biografia dedicata agli anni del Terrore staliniano, per assonanza con Ivan il Terribile, lo zar che,chiamato a vedere la cattedrale di San Basilio appena completata, prima si complimentò con l’architetto, poi lo fece accecare, sospettando che potesse disegnare capolavori simili per qualcun altro.
Dopo la morte nel 1924 di Lenin, che nel suo testamento si era espressamente schierato contro ogni ipotesi di averlo come successore, Stalin riuscì a prendere egualmente il potere e a costringere all’esilio il suo principale avversario, Lev Trotskij (lo avrebbe poi fatto assassinare, un altro esempio seguito da Putin nei confronti di oppositori e dissidenti). Ma nel giro di un decennio, davanti agli scarsi risultati economici, provocati in parte dall’abbandono della Nep, la Nuova Politica Economica avviata da Lenin (quando comprese che l’economia di Stato comunista non funzionava e cominciò a ripristinare il capitalismo), in parte dalla collettivizzazione forzata delle campagne (facendo milioni di morti tra i contadini, in particolare in Ucraina), vari rivali di Stalin cominciarono a tramare per rimuoverlo o perlomeno per diminuirne l’influenza.
Va ricordato, per un confronto con la situazione di oggi, che all’epoca, pur in assenza di democrazia, a Mosca esisteva una sorta di governo collettivo, il Politbjuro del comitato centrale del Pcus, composto da una dozzina di membri: mentre Putin di fatto governa da solo, come rivelano i video trasmessi dalla tvrussa in cui i ministri e capi dei servizi segreti lo ascoltano come timidi scolaretti.
In un’atmosfera di crescenti sospetti e di vera e propria paranoia del complotto, è allora che prendono il via le purghe staliniane. Uno dei primi a cadere è Sergej Kirov, un dirigente del partito assassinato perché ritenuto ostile a Stalin. I suoi presunti alleati vengono arrestati, indotti a confessare, si può immaginare con quali metodi, e a loro volta uccisi o chiusi nei campi di concentramento in Siberia, l’arcipelago Gulag poi descritto da Aleksandr Solgenitsyn. Nel 1936 i sospetti di tradimenti e infedeltà alla linea raggiungono l’apice e comincia quella che verrà ribattezzata la Grande Purga. L’Nkvd, la polizia politica (in futuro Kgb), arresta e uccide o fa sparire nel Gulag migliaia di persone, accusate di complottare contro Stalin e il suo regime. Vengono colpiti vecchi bolscevichi, funzionari di governo, capi regionali del partito, alti ufficiali, artisti. Iniziano esecuzioni di massa di “sabotatori” e “contro-rivoluzionari”. Violenti interrogatori e tortura sono la norma.
Secondo Robert Conquest, lostorico americano autore di “Il grande terrore”, almeno 700 mila persone hanno perso la vita nelle purghe staliniane. Nella stragrande maggioranza si trattava di innocenti, gente che non aveva minimamente considerato la possibilità di avversare il capo del Cremlino. A un certo punto, nel 1938, Stalin decide che le purghe possono concludersi, afferma che tutti i nemici sono stati eliminati. Ma non è finita. Intanto, per prima cosa fa uccidere i capi dell’Nkvd, i massacratori che avevano ucciso o torturato su suo ordine, criticandoli: un buon modo per mettere a tacere potenziali testimoni. E le purghe comunque non finiscono mai del tutto. Trotskij viene assassinato a Città del Messico nel 1940, con un colpo di picozza: non erano ancora stati inventati il polonio radioattivo e il gas nervino utilizzati in anni recenti dai killer di Putin. Nel 1950 esplode il “complotto dei dottori”, inesistente congiura di medici, quasi tutti di origine ebraica, che finiscono nel tritacarne staliniano. Bisogna attendere la morte di Koba, nel 1953, perché cali davvero il sipario su sospetti e paranoie. Tre anni più tardi, al XX Congresso del Pcus, Krusciov denuncia i crimini dello stalinismo e apre un nuovo capitolo. Ma ora Krusciov è seppellito altrove, Stalin giace lungo le mura del Cremlino. Putin deve solo sporgersi dalla finestra per vederne la tomba.