Corriere della Sera, 30 giugno 2023
Intervista a Ivana Spagna
La celebre pettinata a istrice biondo.
«Non avevo soldi, li ho tagliati io: aculei sul davanti e dietro una coda. Per la tinta invece sono andata dalla parrucchiera. Li avevo neri e rossi, li volevo biondi. Dopo un pomeriggio intero sono uscita con la testa arancione. Quando sono tornata a casa sono scappati pure i gatti. L’indomani, dopo altre due decolorazioni, sono finalmente venuti platino».
Messa in piega da riccio.
«Con quintali di lacca e la piastra passata su ogni ciocca, alla fine li ho bruciati tutti. Ci dormivo pure. E al mattino mi spaventavo da sola».
Bastò aggiungere la giacca verde smeraldo con gli alamari -metà domatore e metà ussaro – e nel 1986 fu subito tormentone estivo da Festivalbar: «’Coz I’m a lady lady lady, easy lady». Oltre 2 milioni di copie vendute, 20 settimane in classifica, colonna sonora di Yuppies 2, Ivana Spagna incoronata regina della italo-disco. Che ancora oggi, con il nuovo singolo Crazy for the discodance reclama il trono.
Come le venne in mente?
«Ci aveva appena presi la Sony, serviva in fretta un servizio fotografico, non avevo niente da mettermi. Squattrinata, andai alla Bottega del Teatro di Reggio Emilia e noleggiai questa giacca, una divisa del Texas. Per anni ho provato a comprarla, non la volevano vendere. Alla fine invece me l’hanno regalata, è la cosa più preziosa che ho».
Sfondare, che faticaccia.
«Gavetta di quelle toste. Già a 18 anni suonavo con mio fratello Giorgio e con Larry, il mio fidanzato. Seconda tastierista e cantante. Vivevamo in un buco di casa, il tavolino con le cassette della frutta dipinte di nero e sopra la moquette rossa, l’armadio due assi inchiodate e un telo davanti, il letto due reti legate con lo spago. Ma ero felice».
On the road.
«I pochi soldi che entravano servivano per l’affitto. Perciò si mangiava solo pasta, uova e insalata, il lunedì pizza. Gli strumenti li pagavamo con le cambiali, quelle con la statuina sulla sinistra, quante ne ho firmate. Giravamo con un Ford Transit e il carrellino attaccato dietro, che vergogna. Si arrivava, si scaricava l’attrezzatura – ho imparato pure a fare una presa jack con il saldatore – si suonava per cinque ore e poi via tutto e di nuovo sul furgone, ritorno a casa alle sei del mattino. Una volta saltò l’impianto e mio fratello riparò il fusibile con un pezzo di ferro: prese fuoco tutto».
Fino a “Easy Lady”.
«Facevamo già musica dance, in inglese, nostre produzioni con nomi inventati, tipo Ivonne K, in un piccolo studio di registrazione pagato sempre con le cambiali. Un giorno scrissi questo pezzo e proposi di metterci la mia immagine. Scelsi di chiamarmi soltanto Spagna, una dedica a mio padre Teodoro. A Valeggio sul Mincio i paesani lo prendevano in giro: “Ehi Spagna, tua figlia è già diventata famosa?”. Ne abbiamo stampate poche copie, le abbiamo mandate in Francia, le hanno prese due dj e in un attimo era ovunque».
Successo bissato l’anno dopo con “Call me” e “Dance dance dance”, manifesto anni Ottanta. Li rimpiange?
«La spensieratezza di allora non l’ho mai più ritrovata».
A Sanremo 1995 cantò per la prima volta in italiano: «Gente come noi che non sta più insieme/ma che come noi ancora si vuol bene».
«Grazie a Pippo Baudo. Gli avevo presentato un brano, non gli piaceva, allora mi misi al piano e mi uscì quella canzone, arrangiata da Fio Zanotti. “Ecco, è questa la Spagna che voglio”, esclamò Pippo”».
Arrivò terza.
«Chiesi a mia madre Gemma di dire le preghierine. Quando mi chiamarono sul palco per la premiazione temevo le venisse un colpo».
Feeling con le colleghe festivaliere, da uno a dieci?
«Non ho mai avuto grandi amicizie, parlo poco per paura di perdere la voce. A un altro Sanremo dividevo il camerino con Patty Pravo. Io facevo i vocalizzi, lei si truccava. “Ma cossa te canti ti?”, mi chiese (la imita). Mitica Patty. Nel 2008 mi chiamò Loredana Bertè per il duetto, anche se poi la canzone fu squalificata. Cantammo fuori gara per tre sere. Loredana è un uragano, una forza della natura, aveva disegnato anche i vestiti. Mi disse: “Dai, fatti i capelli belli gonfi”. Andai a dormire con le treccine, il giorno dopo le sciolsi e cotonai i capelli, un testone incredibile. “Perfetta”, approvò lei. Mi sono tanto divertita, la ringrazio ancora».
Rimorchiò Richard Gere.
«A Milano, cantavo per il Dalai Lama, c’era anche lui, in un angolo. Ad un tratto si avvicinò e mi prese la mano tra le sue, bello come il sole».
Il quadro per Tina Turner.
«Mi invitò alla sua festa di compleanno. Mi piace dipingere, perciò le feci un ritratto a olio, lo teneva sul camino nella casa di Zurigo».
Nel 1992 si sposò a Las Vegas, ma il matrimonio durò solo una settimana.
«Patrick, ex modello, produttore musicale. L’avevo conosciuto a Parigi, lavorava con Sandy Marton. Colpo di fulmine,. Era sposato, io stavo con Larry, non se ne fece niente. Mi cercò quando vivevo a Los Angeles. Dopo un mese mi chiese di sposarlo».
E lei?
«Ne parlai con un mio amico sensitivo, Mario De Sabato. Mi rispose: “Lascia stare, durerebbe una settimana”. Ci sposammo in una cappella di Las Vegas, in jeans, pranzo di nozze con hamburger e patatine. Scrisse il mio nome sul fondo della piscina vuota».
Post-Romantico.
«No, scrisse “Spagna”, non “Ivana”. Fu il primo di tanti segnali rivelatori, capii che avrei sofferto e la chiusi lì».
La depressione profonda.
«Dopo la morte di mia madre, nel ‘97, mi sono sforzata di concludere il tour. Prendevo troppe pastiglie, non dormivo. Mi chiusi in me stessa. Mi isolai. Avevo un corvo nero sulla spalla. Decisi di farla finita. Nella lucida follia ho pulito la casa, volevo andarmene lasciando tutto in ordine. Con calma fredda avevo organizzato ogni dettaglio».
Ci ha ripensato.
«Stavo per farlo, la mia gattina mi è saltata in braccio miagolando. E mi sono risvegliata dall’incubo. Ho pianto per ore. Ma ero di nuovo io. In un attimo la mia vita è cambiata. Ho capito che avrei punito le persone che mi volevano bene, non era giusto».
Il successo così come viene, a volte se ne va.
«Ma io lavoro sempre, torno ora dalla Danimarca, a luglio sono strapiena di serate. Il periodo d’oro certo non torna più, ma quando sto sul palco sento che la gente mi vuole ancora bene. E ogni giorno è una grazia ricevuta dal cielo».