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 2023  giugno 30 Venerdì calendario

Intervista a Gianfranco Micciché

PALERMO Nell’eremo di Sant’Ambrogio, fra le colline di Cefalù che sembrano una balconata sulle Eolie, Gianfranco Micciché, per tanti anni fidato plenipotenziario di Silvio Berlusconi in Sicilia, ha letto le trecento pagine di accuse ai pusher e ai mediatori, comprese le intercettazioni che lo riguardano.
Dicono che era destinata a lei la cocaina passata dalle mani dello chef di Villa Zito. Smentisce?
«Non ci provo nemmeno a smentire. Io, da sempre onesto, serio, non ho mai fatto del male a nessuno. Solo un errore, commesso contro me stesso. Sarei in imbarazzo se avessi rubato. Invece sono a posto con la coscienza».
Ammette quindi di avere assunto droga?
«Lo ammisi vent’anni fa in diretta durante una trasmissione di Giuliano Ferrara. Solo in studio con lui. Tornai a casa, guardato storto da mio padre: “Me lo potevi dire prima”».
E adesso? Si sottoporrebbe al test antidroga?
«Non sniffo più, ma il test no. Non devo dimostrare nulla a nessuno».
Dicono che lei usasse un linguaggio in codice: 5 giorni a Milano per dire 5 dosi...
«Io non vorrei proprio parlare dell’inchiesta e mi piacerebbe se un giornale serio si interrogasse sul senso di alcune intercettazioni malamente interpretate».
Cinque giorni, cinque dosi...
«Più di 5. Parlo dei giorni. Dal 20 al 26 novembre 2022».
Spieghiamo.
«Intanto, tutti sanno a Palermo che io mangio ogni giorno nel ristorante di Mario Di Ferro, a Villa Zito. Forse non tutti sanno che c’è sempre un tavolo per me. E quando lascio Palermo avverto. Per evitare che gli resti un tavolo vuoto. Accadde quel novembre. Devo aver detto “cinque giorni”. Ma riferiti a una partenza per Milano, a un soggiorno a Gardone Riviera, Villa Paradiso, camera 142. Ecco la fattura dell’albergo, per fortuna conservata, trovata dalla mia segretaria. E sulle carte scrivono che non partivo mai».
Intercettazioni storpiate?
«Mi chiedo: si potevano fare, visto che a fine 2022 ero senatore? Si possono pubblicare oggi? È una cosa da Paese civile? Comunque, perché esce il mio nome?».
I weekend e le figlie
«Se lo facevo era soltanto nei weekend. E mi sono dovuto giustificare con le mie figlie»
Beh, ex viceministro, ex presidente dell’Assemblea regionale, condottiero di Forza Italia messo all’angolo dal suo ex amico Renato Schifani...
«E quindi? Io non sono indagato e non potevo essere intercettato. Se poi tutto serve a sputtanare».
Aleggiarono dei sospetti anche quando era al ministero dell’Economia e l’inchiesta si fermò a un pusher.
«Voci. Solo dicerie, mai confermate. Senza indagini a mio carico, anche se restano i titoli dei giornali».
Scrivono che tante altre volte, a Villa Zito...
«Andavo a mangiare, non a ritirare droga».
La sua ammissione confermerebbe il traffico.
«La mia ammissione è solo una prova di onestà. Tanti non lo dicono. Io sì. Parlando di un peccato che, semmai, faceva male solo a me. Forse affondato in un passato che pesa».
Quale?
«Quello del Sessantotto, stagione confusa, segnata dalla morte per eroina di alcuni miei amici. L’errore, il peccato, ha quella radice».
Un peccato ripetuto spesso?
«Se lo facevo, accadeva rarissimamente, il sabato e la domenica, mai in giorni lavorativi. Roba personale di cui ho parlato con mia moglie. Mi sono dovuto giustificare con le mie figlie. Ma la coscienza è meravigliosamente a posto».
Nessun pentimento?
«Nella mia vita ho fatto cose bellissime e un errore. Pensano che possa sentirmi infelice per avere fatto un errore? Infelice è chi, invece di esaltare le cose positive, s’aggrappa a una cosa negativa. Io sono nato per essere ottimista. Nonostante tutto, nonostante Schifani...».
La frase e il senso
Non chiedevo 5 dosi: sono davvero in vacanza in Lombardia per cinque giorni: ecco la ricevuta
Come?
«Questo non l’ho detto. Non è che scrive tutto e poi mi frega anche lei? Il punto è cercare di capire perché è stata violata la legge. Qualcuno mi ha pure messo una cimice, un gps, in macchina. E non sono indagato. Come esce il mio nome? Ha ragione chi dice che la giustizia è malata».