Corriere della Sera, 30 giugno 2023
Kherson dopo la piena
«I russi sono ladri, violenti e idioti!». Il professore di legge in pensione Valery Barkovsky se ne sta ritto in piedi sui resti ferrosi ingombri di rottami e tronchi divelti di quello che era il pontile di fronte al Club dei pescatori e degli sport nautici nel tratto del fiume che lambisce Kherson. Come tanti qui, ama la natura: nelle acque del Dnipro ha imparato a nuotare da bambino, ne conosce le anse segrete da navigare in kayak, già suo padre e i nonni gli avevano mostrato gli isolotti sabbiosi dove pescare. Piange quando racconta che la «grande piena causata dall’attentato russo alla diga di Nova Kachovka ha sterminato i pesci e gli uccelli proprio nel momento della riproduzione». Con le lacrime indica dove ha trovato le carcasse di alcuni cerbiatti tra il fango e la plastica.
E parla con speranza di quelle due «giovani anatre» che lui stesso ha raccolto nella melma e adesso se ne stanno accoccolate tra i resti di alcuni barconi semiaffondati, non lontano da una lamiera arrugginita dove lui ogni mattina lascia briciole di pane e pannocchie. A tratti il suo racconto è quasi un sussurro. Ma poi, all’improvviso, non ha più nulla del pensionato 71enne sconvolto dal disastro della guerra e reagisce duro, rabbioso. «Grazie per essere tornati a raccontare! L’Europa deve sapere, il mondo deve ricordare l’ecocidio brutale, gratuito e stupido commesso dai russi, senza alcun rispetto per nulla, non per l’acqua, non per l’aria, non per questa terra che dovrebbe essere di tutti», esclama con forza.
Partiamo con lui in questo racconto dalle sponde del Dnipro di fronte alla città bombardata, occupata e infine liberata di Kherson (nonostante continui ad essere presa di mira) perché, meglio di tante dichiarazioni, il suo portamento e il suo dolore incarnano il dramma della guerra voluta da Putin e i danni incalcolabili che sta procurando non solo alle popolazioni, bensì anche all’ambiente. Sono trascorse oltre tre settimane dall’attentato russo che nella notte tra il 5 e 6 giugno aprì un’ampia breccia nella diga di Nova Kakhovka. Diamo per scontato che la responsabilità sia dei comandi di Mosca per il fatto che allora furono rilevate forti esplosioni all’interno della diga controllata dai soldati russi e soprattutto per la semplice considerazione che non ha alcun senso ritenere che siano stati gli ucraini. Siamo agli inizi dell’attesa controffensiva di Kiev volta a liberare il massimo territorio possibile grazie agli aiuti forniti dagli alleati e dalla Nato, sono dunque i russi a cercare di bloccare le loro avanzate, in ogni modo.
Il docente in pensione
«L’Europa deve sapere, il mondo deve ricordare l’ecocidio commesso dai russi»
Adesso le acque si sono già ritirate, da circa una settimana il fiume è tornato a scorrere nel suo letto originario. Ma tutto attorno regnano fango e devastazione. Sino al 20 giugno il livello della piena nei quartieri di Kherson affacciati sul fiume sfiorava i tre metri. Lo testimoniano le linee scure che marcano i muri degli edifici. «La nostra casa era totalmente sommersa. Quando il 18 giugno siamo arrivati in gommone, aprendo la porta abbiamo trovato che gli intonachi erano caduti sul pavimento, i mobili erano completamente coperti di fanghiglia. Abbiamo dovuto gettarli via», raccontano il 36enne Serghei e la moglie Alona di 30. Ci fanno entrare nelle stanze i cui muri scrostati sono adesso coperti di muffa. Regna il tanfo umido e appiccicaticcio della putrefazione. Lui prima della guerra era meccanico nei giganteschi cantieri navali sul delta. La mancanza di lavoro gli garantisce il tempo per cercare di riparare la casa. Ma non sa davvero dove iniziare. «Per fortuna nostra figlia Alina di 11 anni sta in Polonia con la nonna. Qui non possiamo certo vivere, ci siamo trasferiti da amici dove la piena non è arrivata», dice. Nonostante tante promesse, sino ad ora hanno ricevuto soltanto 150 euro di indennizzi. Di fronte alle poche case ancora abitate si accumulano ogni genere di immondizie: materassi marciti, mobili incrostati, giocattoli neri, libri illeggibili, vestiti rovinati. La municipalità non è ancora riuscita a riattivare l’elettricità: chi può si adatta ai generatori che utilizza per fare funzionare i ventilatori e cercare di asciugare muri e cose. Più avanti, lungo il fiume, occorre muoversi con circospezione, dall’altra sponda i cecchini russi sparano contro tutto ciò che si muove: cercano di boicottare i soccorsi. Un pompiere mostra un rimorchiatore abbandonato sull’acqua vicino a cumuli di detriti. «Il 19 giugno il rimorchiatore stava cercando di fare defluire le acque.
Ma i russi lo hanno colpito con i droni, uccidendo due dei quattro marinai, un terzo è ferito», racconta. «Le dimensioni dell’ecocidio russo vanno ancora calcolate. L’unica rassicurazione per ora è che non abbiamo registrato casi di colera. Ma oltre 4.000 persone sono state evacuate. Circa 150 sono scappati verso di noi dalla riva orientale controllata dai russi, che hanno ucciso tre in acqua. Sappiamo anche che i russi hanno scavato un’ampia fossa comune nel villaggio di Kalanchak, verso la penisola di Crimea. Le acque sono inquinate da agenti chimici e organici. Sulla nostra sponda abbiamo contato 35 cadaveri», spiega Oleksandr Tolokonnikov, portavoce dell’amministrazione regionale. Mentre parliamo si odono forti bombardamenti, che investono il centro di Kherson: sapremo poi che sono morti due civili e altrettanti sono feriti.