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 2023  giugno 29 Giovedì calendario

Il caso De Portago e la crisi di Enzo Ferrari

La corsa più difficile. Fuori pista, in tribunale. Processi veri e «mediatici», il dolore amplificato dalla perdita, pochi mesi prima, del primo figlio Dino. C’è stato un prima e un dopo nella vita di Enzo Ferrari. Mille Miglia, 12 maggio 1957. Guidizzolo, alto Mantovano. Il paese in festa per assistere al passaggio dei bolidi, alle fasi finali della «corsa più bella del mondo». Contadini con i vestiti buoni della domenica, operai, l’Italia che marcia verso la trasformazione industriale. Inseguendo lo stesso sogno che il Drake aveva reso possibile con le sue automobili leggendarie, il genio italiano capace di battere i giganti.
Un boato ad anticipare l’«apocalisse»: lo squarcio di un pneumatico, la 335S guidata dal Alfonso De Portago a disegnare una parabola mortale al chilometro 21 della provinciale «Bresciana». Una strage, undici vittime compresi il pilota spagnolo e il suo compagno d’equipaggio, l’americano Edmund Nelson. Cinque sono bambini. Straziati dal volo della Ferrari, il mito diventa «corpo del reato». Giace in un fosso la 335S accartocciata: attorno sangue, cadaveri, rabbia e lacrime.
Concepito come un cold case, ma con l’intensità di un romanzo e la profondità e la cura di una ricostruzione partita dall’esame di centinaia di documenti, Ferrari, presunto colpevole, in uscita domani per Cairo Editore, fa luce su uno dei periodi più bui del fondatore del Cavallino. Racconta la fine dell’epoca dell’incoscienza, quella delle gare in strada, completamente prive di misure di sicurezza, attraverso uno dei più gravi incidenti di sempre, che rischiò di spegnere la stella di Ferrari. Con passione e smisurata conoscenza, Luca Dal Monte – autore di Ferrari Rex (Giorgio Nada Editore), la biografia più completa – descrive lo choc di un Paese, l’aria giustizialista dopo la tragedia di Guidizzolo, combina elementi storici e tratti umani, scavando nell’animo di Ferrari.
Sconvolto da quelle morti, dalle famiglie delle vittime davanti ai cancelli di Maranello a chiedere risarcimenti. Imputato con l’accusa di omicidio plurimo colposo, privato del passaporto, torchiato da una commissione tecnica improvvisata che gli rinfacciava di aver utilizzato gomme inadatte sulla vettura di De Portago. Trattato come un dilettante, come un «assassino», a 59 anni quando non è ancora il «patrimonio nazionale che diventerà».
L’affronto peggiore per uno che aveva tappezzato le sale riunioni con motori e telai rotti, come monito per i suoi ingegneri perché i guasti non si ripetessero. «Un Saturno industriale che divora i propri figli, che fa del cronometro un mezzo di pubblicità anche se si identifica con la statistica delle vittime». Pur senza mai nominarlo in un editoriale di 96 righe, contro Enzo Ferrari si muove l’«Osservatore Romano», all’indomani di un’altra tragedia, quella di Luigi Musso a Reims nel luglio del 1958.
Il disastro
L’auto guidata dallo spagnolo De Portago si schianta sulla folla: 11 morti, tra cui il pilota
Il durissimo attacco del Vaticano, nell’Italia democristiana di quegli anni, gli prosciuga la solidarietà attorno. Lo spiazza e lo isola, la condanna morale fa più male del rischio concreto della prigione. «Gente che fino al sabato mi esaltava, la domenica mi stava lontano».
Dubita di sé stesso, è tentato dal ritiro dalle corse, la scomparsa di un altro suo pilota, Peter Collins (Gp di Germania 1958), peggiora la crisi «esistenziale».
Dal Monte è abile a percorrere il doppio binario delle vicende giudiziarie e personali, incrociandole in un perenne capovolgimento di fronti. Per dipingere la «tenacia di un personaggio che va oltre le vittorie sportive e industriali, dotato di un incrollabile forza morale, un inguaribile ottimista nonostante tutto».
È ciò che gli consente di rompere l’assedio, di far cambiare idea, dopo un colloquio di cinque ore, al gesuita padre Azzollini, che lo aveva stroncato come «immorale» su «Civiltà Cattolica». Fiducia incrollabile nelle sue capacità, Ferrari per capire aveva ripercorso gli ultimi istanti della vita di De Portago. Con il microscopio, sul luogo dell’incidente. Per ribaltare una sentenza che sembrava già scritta.