la Repubblica, 29 giugno 2023
Come parlano gli alieni
Il segnale è stato captato dai radiotelescopi alle 20.15 ora italiana del 24 maggio. Arrivava da Marte.
C’era un messaggio nascosto in quella modulazione di onde radio. E ora è partita la corsa a decriptarlo e interpretarlo. Ma gli alieni siamo noi.
Il progetto A sign in space è una prova generale per quando, ma soprattutto “se”, riusciremo a captare un messaggio da una civiltà extraterrestre. È stato scritto dall’artista multimediale romana Daniela De Paulis, assieme all’Inaf, all’Istituto di ricerca di intelligenza extraterrestre (Seti) e grazie all’Agenzia spaziale europea (Esa). De Paulis, artist in residence al Seti, spiega come questa sia soprattutto un’operazione culturale, una live performance per spingerci a metterci nei panni di Et e a guardarci allo specchio.
La prima sfida è stata quella di riconoscere il messaggio dentro il segnale radio. Perché?
«Un messaggio extraterrestre arriverà da molto lontano contaminato e distorto. La mia è una simulazione che evidenzia ladifficoltà che gli astronomi avrebbero nel trovarlo».
E ora chi sono le persone giuste per decriptarlo e interpretarlo?
«La prima fase è stata affrontata principalmente da specialisti di segnali radio. Poi si sono aggiunti gli informatici per interpretare il codice binario estratto: 8 kilobyte, avevamo uno spazio ridotto nell’hard disk della sonda Esa, Tgo in orbita attorno a Marte, che lo ha trasmesso. Ma ci sono tante interpretazioni che si sono aggiunte da persone con altri tipi di conoscenze, di idee, di creatività».
Che percorso ha seguito per immaginare un alieno che vuole inviarci un messaggio?
«In due anni ho preso in considerazione un po’ tutte le idee proposte non solo da scienziati, ma anche da antropologi, poeti, musicisti. Abbiamo fatto una rassegna di idee: dal colonialismo alla cultura occidentale, ai limiti tecnologici, cognitivi e sensoriali».
Bisognava immaginare creature nate ed evolute su un pianeta
diverso. Totalmente non umani».
«Da anni nelle conferenze del Seti ci si domanda come gli alieni potrebbero percepire, oppure quale potrebbe essere il loro sistema nervoso, essendo evoluti in un ambiente diverso con un’atmosfera differente»
Con gli alieni abbiamo già provato a comunicare: il messaggio di Arecibo di Frank Drake e Carl Sagan, i dischi sulle sonde Voyager e Pioneer.
«Sì, sono stati molto creativi. Però non c’è stato un vero e proprio sforzo di fare il contrario: immaginare che cosa potrebbero mandarci degli extraterrestri».
Cosa serve per immaginare il punto di vista di un alieno?
«Non sappiamo nemmeno quale sia il punto di vista di un cane, un pappagallo o una formica. Anche le altre specie con cui modelliamo il pianeta in fondo sono degli alieni, per non parlare degli umani. È un po’ un una riflessione sul limite della comunicazione».
Sembra un esercizio estremo di immedesimazione: lo straniero el’alieno sono la stessa cosa?
«Sì, è stato unthought experimentestremo, che io penso sia molto utile anche proprio per le scuole e per chiunque voglia mettere un po’ in discussione le nostre costruzioni umane, specialmente occidentali. In un breve film The death of David Cronenberg il regista vede sé stesso morto sul letto e il lui vivo abbraccia sé stesso morto. Noi non pensiamo, non vediamo mai noi stessi dal di fuori».
Anche l’interpretazione del messaggio non è per forza scritta.
Perché?
«La piattaforma interattiva sul sito permette alle persone di varie parti del mondo che hanno disponibilità tecnologiche più o meno efficaci di mandare comunque il proprio contributo, uno scritto, un disegno, una serie di suoni. Sulla piattaforma Discord migliaia di persone collaborano, ognuno porta una competenza, un’immaginazione e una complessità anche psicologica.
Se davvero riceveremo un segnale dagli alieni spero che possa andare così».