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 2023  giugno 29 Giovedì calendario

Meglio un freno al Pil che anni di inflazione


La premier Giorgia Meloni, parlando ieri alla Camera in vista del summit Ue in programma giovedì e venerdì, è stata netta su due temi europei di fondamentale importanza: la lotta all’inflazione intrapresa dalla Banca centrale europea (Bce) e la ratifica della riforma dello statuto del Meccanismo europea di Stabilità (Mes). Sul primo ha spiegato che la strategia della Bce rischia di essere miope; sul secondo ha delineato un metodo, quello del pacchetto. Entrambe le posizioni sollevano diverse perplessità. Andiamo con ordine, cominciando dalla politica monetaria di Francoforte. Secondo Meloni «l’aumento costante dei tassi rischia di essere una cura più dannosa della malattia». Il risultato potrebbe essere quello di creare «ulteriori squilibri». Effettivamente, ha ragione Meloni. La cura della Bce sta portando ad una recessione. I dati del primo trimestre mostrano che il Pil dell’area dell’euro si è contratto dello 0,1 per cento. Ma questo è – esattamente – il risultato atteso in base all’analisi economica e l’esperienza storica. Ovvero un rallentamento temporaneo che è molto meno costoso di un’inflazione permanente. Un simile risultato non piace alla politica: non a caso le banche centrali sono indipendenti! Ma come si è detto, si tratta di un fenomeno di breve durata. Nel medio termine, un’inflazione sotto controllo porta alla stabilità dei prezzi, condizione fondamentale per garantire la crescita economica. E qui veniamo al secondo tema, quello del Mes.
Meloni sostiene che «discuterne adesso non è nell’interesse nazionale». A suo avviso è necessario adottare il metodo «del pacchetto, nel quale le nuove regole del patto di stabilità, il completamento dell’Unione bancaria e i meccanismi di salvaguardia finanziaria si discutono nel loro complesso». Come è noto, il Mes è un’istituzione creata per assicurare stabilità nell’intera Unione monetaria: lo dice il nome stesso. Con la riforma dello statuto, verrebbe dotato di uno strumento nuovo da utilizzare in caso di crisi bancaria. Ad oggi, si può contare sul fondo di risoluzione unico (finanziato dagli istituti di credito europei) che ha una capacità pari a 55 miliardi. Nel caso in cui non fossero sufficienti, altre risorse – circa 60 miliardi – potrebbero essere messe a disposizione dal Mes. Quell’ultimo agirebbe da rete di protezione per bloccare il contagio finanziario, un film che abbiamo già visto. È vero, come dicono in molti tra le fila della maggioranza che non vi sono all’orizzonte rischi di crisi bancarie e, pertanto, nell’immediato non serve ratificare. L’esperienza insegna, tuttavia, che simili strumenti vanno introdotti nella cassetta degli attrezzi prima dell’emergenza, non durante. Agire per tempo è un modo per segnalare ai mercati che l’area dell’euro diventa sempre più resiliente, quindi stabile.
Per questo davvero sorprende il temporeggiare del governo. Poter disporre al più presto del nuovo Mes è nell’interesse dell’Europa. E, al contrario di ciò che afferma Meloni, soprattutto nell’interesse dell’Italia. Il nostro Paese, a causa del suo elevato debito pubblico, dispone di spazi fiscali limitati. Che cosa significa? In caso di crisi bancaria sarebbe difficile per noi intervenire con risorse pubbliche (leggi debito). Altri, a cominciare della Germania, avrebbero margini di manovra ben più ampi. Chiarito questo punto, veniamo al metodo. Ha ragione Meloni a ricordare che a Bruxelles ci sono vari negoziati in corso, a cominciare da quello del Patto di Stabilità da riformare. Tuttavia, la logica del pacchetto non sembra essere ottimale. Per un motivo molto semplice. Si tratta di dossier con obiettivi diversi: la riforma del Patto serve per garantire la stabilità di bilancio delle singole economie, quella del Mes la stabilità finanziaria dell’intera area. E, soprattutto, tempi diversi. La riforma del Patto è nella fase iniziale. Sul tavolo vi è la proposta della Commissione. L’Italia non ha preso nessun impegno. E, aggiungerei, giustamente visto che l’impianto in esame contiene molte criticità. La riforma dello statuto del Mes, invece, è nella fase finale. Le diverse economie dell’area dell’euro l’hanno già discussa e negoziata. Per questo tutte l’hanno ratificata. Incluse la Croazia che ha adottato la moneta unica solo pochi mesi fa e i cinque Stati (Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna e Cipro) che hanno aderito ai programmi di aggiustamento messi a disposizione dal Mes in caso di crisi di un’intera sistema economico, il vecchio Mes per intenderci. Manca solamente l’Italia. La responsabilità è ovviamente è anche dei precedenti governi... Quello guidato da Giuseppe Conte che lo ha negoziato e quello guidato da Mario Draghi che ha lasciato l’impiccio all’attuale esecutivo. È in gioco la nostra credibilità, ingrediente fondamentale nelle trattative europee.