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 2023  giugno 29 Giovedì calendario

Intervista a Alan Sorrenti


Per la rivista inglese Mojo,che lo celebra nel numero di luglio, l’album
Ariadi Alan Sorrenti del 1972 è “un tesoro nascosto”, un “esempio sublime” del miglior rock progressive di tutti i tempi. Eppure Sorrenti non è certo un artista da riscoprire: Figli delle stelleè diventato un sempreverde e a ottobre l’artista napoletano ha pubblicato Oltre la zona sicura,un nuovo disco che, dice, «mi fa sentire di essere tornato da dove sono partito: sono indipendente e ho ritrovato un pubblico giovane lontano dal mainstream». In questi giorni, poi, Sorrenti, 72 anni, torna on the road con un fitto tour: sabato 30 sarà allaTriennale di Milano, il 2 luglio a Giovinazzo (Bari) per Porto Rubino,il 9 ad Arezzo per ilMengo Feste poi proseguirà fino alla fine di agosto.
Dev’essere stata una bella sorpresa essere celebrato dal paese che il rock progressive l’ha inventato: come nacque “Aria”?
«Passavo molto tempo a Londra e tornando scrivevo musica chitarra e voce, la registravo su cassette.
Qualcuno ebbe l’idea di girarle a un funzionario Rai che si chiamava Paolo Giaccio e trasmetteva brani di emergenti alla radio: la mia musica ebbe tantissime reazioni positive. E così nacque Aria.Tornai a Londra per registrare Come un vecchio incensiere,la prima facciata è musica contemporanea, me la ispirò il film
La montagna sacra di Alejandro Jodorowsky».
Album con lo spirito del tempo.
«In quegli anni si leggeva Le porte della percezione di Aldous Huxley, era il tempo dell’Lsd. Come amo chiamarli, quelli erano “gli stati alterati di musica”. Vedevo altro, percepivo il cosmo, un mondo più ampio. Da qui sono nate tante cose, scelte di vita, gusto nella musica, nella lettura, nella scrittura. InAriasono fluite le esperienze vissute e le rivelazioni a cui quelle esperienze mi avevano portato. Ho avuto anche qualche esperienza di musica dal vivo in stati alterati, come al festival di Parco Lambro nel ’74: pensavo di poter tenere tutto sotto controllo e invece ogni volta che iniziavo un pezzo sconfinavo in qualcos’altro. La cosa straordinaria è che tutti gli altri mi seguivano in questo mio viaggio, tutto insomma aveva un senso».
Come ricorda il ragazzo Sorrenti?
«Vivevo due realtà, anzi tre perché mia madre, inglese, lavorava come segretaria di un generale americano alla base Nato. Oltre al Galles, dove andavo, e a Napoli dove vivevo, lei mi portava a Bagnoli, che era come in America, in effetti mi sono trovato straniero nella mia città: anche se sentivo molto la napoletanità, l’aspetto tradizionale non mi interessava, anzi mi soffocava. Più tardi ho capito che mi sento straniero ovunque, è così anche ora».
A Napoli incontrò la musica.
«Al Vomero, dove vivevo, c’era un negozio di dischi d’importazione, lì scoprivamo un mondo nuovo. Grazie al mio amico Umberto Telesco, che sarà il fotografo delle mie prime 4copertine, scoprii Tim Buckley, i Van der Graaf Generator, un’apertura mentale ed emozionale. Lo studio fotografico di Umberto in via Tasso era un crocevia: chi andava in India, chi ritornava da Londra, chi aveva letto un bel libro, e io assorbivo».
Con il terzo disco la popolarità.
«Cambio produttore, scrivo da cantautore e su consiglio di mio padre, che mi ha regalato il gene delcanto, faccio una versione psichedelica di un classico napoletano, Dicitancello vuje,uno dei pezzi più importanti per me, quello che mi portò in classifica».
E anche in America dove nacque “Figli delle stelle”, il singolo più venduto del 1977.
«Los Angeles era dove volevo stare, Sunset Strip era piena di musicisti, vita e creatività. Chi poteva pensarecheFigli delle stellesarebbe diventato uno stile di vita, tipo La dolce vitadi Fellini, cose che non finiranno mai».
Nel ‘79 con “Tu sei l’unica donna per me” vinse al Festivalbar: arrivò all’Arena di Verona in Rolls Royce.
«Dissi: se la facciamo allora facciamola come si deve. La Rolls decapottabile era di un mio amico, mi divertivo a esagerare ma non credo che mi rendessi cont o di cosa realmente succedeva».
La notorietà irruppe nella vita privata con gossip e liti, nell’83 lei finisce in prigione.
«Fu per un episodio di gelosia folle della mia ex, che mi fece passare per uno spacciatore di droga. C’era il desiderio di farmi male, ci sono relazioni che poi scoppiano, in realtà tra noi c’erano già le pratiche di divorzio. Fui al centro di una tempesta perfetta, il ciclone che coinvolse per altre vie anche Tortora. A Rebibbia in quei 33 giorni c’erano i camorristi della Nuova Famiglia, nell’ora d’aria incontravo Ali A?ca, che aveva sparato al Papa.
Fu un’esperienza molto forte, mentre ero in cella scrivevo per i giornali raccontando come stavano veramente le cose. La testa l’ho poi ritrovata solo grazie al buddismo».
Come?
«Grazie a una forza incredibile che mi ha aiutato a liberarmi dalla schiavitù dell’ego, dando un senso a tutto ciò che di buono e anche di meno buono avevo fatto finora. Il mio collegamento con il cosmo doveva ritrovare la sua strada: è successo con il buddismo, in maniera più terrena».