La Stampa, 28 giugno 2023
Secondo discorso di Putin
«Abbiamo fermato di fatto una guerra civile». Vladimir Putin pronuncia il secondo discorso a sorpresa in appena 14 ore, scegliendo stavolta la scenografia imperiale della piazza delle Cattedrali del Cremlino. Di fronte ai reggimenti schierati in alta uniforme, sotto le cupole dorate della fortezza degli zar, il presidente russo sembrava voler annunciare qualcosa di straordinario, forse quella svolta storica della sua politica che era stata promessa dagli informatori moscoviti la sera prima, ma il suo discorso è durato di nuovo appena cinque minuti. Ha onorato con un minuto di silenzio i militari uccisi dagli ammutinati della Wagner, ma nello stesso tempo il servizio segreto Fsb ha annunciato la chiusura dell’indagine a carico di Evgeny Prigozhin, che non è più accusato di ammutinamento, rivolta armata, alto tradimento e una manciata di altri reati. In altre parole, un tentato golpe con una marcia su Mosca di un miniesercito non lascia imputati, né responsabili, e i piloti e gli equipaggi di sei elicotteri, un caccia e un aereo da trasporto – almeno 12 persone, secondo alcune indiscrezioni fino a 39 militari, contando i passeggeri del cargo – sembrano a questo punto, nonostante gli onori tributati in piazza, le vittime collaterali di un incidente da dimenticare. Non solo perché Prigozhin si è permesso di ironizzare pesantemente sui piloti abbattuti, ma anche perché sono stati colpiti dalla contraerea della Wagner in risposta alle bombe che avevano sganciato sulle colonne dei “mercenari” all’altezza di Voronezh.Un doppio affronto all’esercito, che prima ha eseguito l’ordine di bombardare il territorio russo e poi è rimasto senza una vendetta per i suoi caduti. Forse può spiegare perché Putin abbia sentito l’urgenza di tornare davanti alle telecamere per ringraziare “chi ha represso la rivolta”, nonostante non sia stata repressa da nessuno: le colonne dei Wagner si sono fermate a 200 km dalla capitale russa, secondo Aleksandr Lukashenko grazie a una sua mediazione, secondo altre indiscrezioni perché l’Fsb avrebbe preso in ostaggio i familiari di molti mercenari. Lukashenko fornisce ai giornalisti un resoconto dei suoi dialoghi tra Putin e il suo “cuoco” che sembrano usciti da una sceneggiatura di Tarantino, e ribadisce che il presidente russo voleva «far fuori» il capo della rivolta, anzi, pronuncia il verbo “mochit”, mettere a mollo”, uccidere nel gergo criminale. È la stessa parola che Putin aveva usato nel 1999, in quella frase «ammazzare i ceceni al cesso» che l’avrebbe reso instantaneamente l’idolo dei russi. Passati 24 anni, la sua debolezza viene resa ancora più visibile da confuse e brevi apparizioni in pubblico, nelle quali ribadisce di aver avuto ragione, di non aver ceduto, di aver avuto sempre tutto sotto controllo, di lodare – in contraddizione con i filmati dei Wagner che entrano a Rostov tra l’indifferenza della polizia e la curiosità quando non esultanza dei passanti – «l’unità del popolo e dell’esercito».È evidente che il problema principale del Cremlino ora sono proprio le forze armate, anzi, tutto quell’apparato repressivo, i famigerati “siloviki”, uomini della forza, che nell’ultimo quarto di secolo hanno rappresentato la priorità del putinismo, quelli che – tra servizi segreti, polizia ed esercito – avevano fornito la maggior parte dei quadri al regime, ricevuto la maggior quota dei finanziamenti, i più ampi privilegi e poteri. Il risultato è stato una congiura nel cuore del potere, ed è evidente che i regolamenti di conti sono appena all’inizio. Nella piazza delle Cattedrali è presente il ministro della Difesa Sergey Shoigu, del quale Prigozhin aveva chiesto la testa: un buon motivo per i reduci di Wagner a non firmare il contratto con l’esercito regolare che il presidente è tornato a proporgli. La convivenza dei “musicisti” – mercenari di esperienza internazionale oppure galeotti condannati per crimini violenti – con i mobilitati civili e i giovani soldati a contratto potrebbe produrrebbe una miscela esplosiva nelle caserme. E il tentativo di Putin di mostrare che i Wagner erano in realtà finanziati dalle casse dello Stato – fa anche dei numeri, 80 miliardi di rubli, quasi un miliardo di euro in un anno, senza contare 110 miliardi di assicurazioni ai mercenari e 80 miliardi guadagnati nel frattempo da Prigozhin sulle forniture di cibo all’esercito – dovrebbe mostrare quanto “l’orchestra” sia stata ingrata, ma probabilmente attiva nelle teste dei militari “regolari” un calcolatore che confronta queste somme astronomiche con il loro scarso approvvigionamento.Forse è per questo che l’altro generale presente in piazza con Putin ieri era Valery Zolotov, il comandante della Guardia nazionale, che subito dopo annuncia che il suo corpo riceverà “carri armati e altri armamenti pesanti”. La Guardia nazionale, nata dalle ex truppe dell’Interno e dotata di immensi poteri speciali, è stata creata da Putin per disperdere le manifestazioni dell’opposizione, e affidata a un’ex guardia del corpo presidenziale per sventare l’incubo di una rivoluzione in piazza, come quella sognata e organizzata da Alexey Navalny. Ora il fedelissimo Zolotov dovrà trasformare i suoi poliziotti con manganelli e idranti in un esercito alternativo, che dovrà difendere il regime dopo che l’esercito prima si è mostrato titubante a combattere per i generali di Shoigu e poi è stato umiliato dall’impunità di Prigozhin e dei suoi uomini. Putin è rimasto fedele a se stesso: non si fida dei sistemi, ma solo degli uomini, e mette vari pezzi del suo regime gli uni contro gli altri nel tentativo di controbilanciarli.