il Fatto Quotidiano, 28 giugno 2023
Intervista alla montatrice Thelma Schoonmaker
Ci sono incontri e Incontri. Quello con Thelma Schoonmaker è maiuscolo, e speciale. È raro trovare persone completamente soddisfatte della vita, passata e presente. “La fortuna ha baciato la mia esistenza privata e professionale, sono la donna più felice del mondo”: 43 dei suoi 83 anni li ha trascorsi a montare tutti i film di un solo regista, Martin Scorsese, da Toro Scatenato al recente Killers of the Flower Moon. E contestualmente si è sposata con un altro immenso cineasta, Michael Powell, “senza il quale Marty non sarebbe mai diventato Scorsese” e a cui è dedicata una retrospettiva a Il Cinema Ritrovato di Bologna, dove Schoonmaker è ospite. Così Thelma da New York, oggi da molti considerata la miglior montatrice cinematografica vivente, si è nutrita di una doppia genialità, e le 8 candidature all’Oscar di cui 3 vittoriose – (Toro Scatenato nel 1981, The Aviator nel 2005, The Departed nel 2007) ne rappresentano la vibrante testimonianza.
Quarantatré anni al montaggio con Scorsese: non ha mai pensato di variare?
E perché mai!? Marty è il migliore! Mi ha insegnato tutto, soprattutto che il cinema si fa al montaggio. Lui stesso è un eccellente montatore, la sua visione di cinema appare cristallina dal materiale che mi consegna: ormai ci capiamo all’istante. Come una sorta di matrimonio professionale.
Nei matrimoni si litiga però…
Non sono veri litigi, sono discussioni su scelte alternative: io monto varie versioni, ci confrontiamo e tendenzialmente vince sempre lui.
Qualche volta l’avrà spuntata lei…
È accaduto sulla scena iniziale di The Departed. Avevamo difficoltà a “entrare nel vivo” della narrazione. Ci voleva un inizio forte, e a Martin è piaciuta la mia idea che poi è rimasta.
Per quel film ha vinto il suo terzo Oscar, ma a quale è più affezionata?
Senza dubbio Toro Scatenato, il mio primo vero film con Scorsese anche se insieme avevamo già lavorato al doc Woodstock nel 1971, e di Marty avevo casualmente contribuito ad “aggiustare” il suo film di laurea, Who’s That Knocking at My Door?.
Per la scena dell’incontro di boxe di Toro Scatenato Scorsese si è ispirato a Duello a Berlino (1943) tra i capolavori diretti da suo marito Powell con Pressburger. In cosa consiste quest’ispirazione?
Le scene così come lo sguardo di Powell e Scorsese sono assai diversi. Marty ha raccolto la potenza visionaria di quel duello, il senso evocativo del movimento, della luce, di quella salita in alto della macchina da presa che abbandona il combattimento. Il nostro incontro è stato montato a ritmo di flash. Scorsese mi ripeteva: “Il match deve essere velocissimo, fai un montaggio rapidissimo!”. In qualche modo era passata un’ispirazione visiva da Michael a Martin.
È stato lo stesso Scorsese a presentarle Powell e vi siete sposati nel 1984.
Se Powell ha ispirato Scorsese, lui in cambio gli ha ridato la vita quando era caduto nell’oblio. Non solo ha contribuito al restauro di Scarpette rosse del 1948 – che considera tra i migliori film della Storia del cinema – ma continua a ricordarne il valore e la memoria. Ogni volta che penso a questo mi commuovo.
Una vita fra due geni: cosa apprezza di più del cinema di Powell e di Scorsese?
Direi l’uso della luce e la visionarietà di Michael, mentre di Marty la costante ricerca della verità negli esseri umani. Ma i geni con cui lavoro sono anche gli attori che passano da anni sui miei monitor. I migliori interpreti della nostra generazione, De Niro, Day-Lewis, Di Caprio…
De Niro l’accompagna dal 1980 e recita anche in Killers of the Flower Moon, l’ultimo film di Scorsese che abbiamo visto al recente festival di Cannes.
Bob è un genio, ma è un uomo impossibile perché non rivela i suoi segreti. È semplicemente un mistero. Quando lo osservo, mi soffermo sulle sue espressioni, i gesti e gli chiedo: “Ma come sei riuscito a fare questa cosa Bob?”. E lui evasivo: “Mah sì, niente di speciale, andava fatta così”. Io trovo peraltro che sia stato sottovalutato in The Irishman, per cui meritava l’Oscar, così come in Killers, dove è semplicemente strepitoso.
Forse una delle più straordinarie e subdole interpretazioni di De Niro di questi anni. E a proposito di Killers of the Flower Moon, il film a oggi più lungo di Scorsese, come avete lavorato?
È stato un lavoro mastodontico, molto complesso: abbiamo fatto 12 versioni di montaggio, quasi un record.
Puntiamo al quarto Oscar…?
Io sono già felice così.